Dopo il tragico trapasso di Papa Bergoglio, tragico ma inevitabile perché nessuno foss’anche un Papa può sfuggire al Tempo, Chronos che mangia i suoi figli secondo la mitologia greca, né tantomeno alla falce della Nobile Signora (“Niente è più universale della falce senza martello”, Nanni Delbecchi).
Del resto è su questa inevitabilità della morte e quindi sulla speranza di “un’altra vita dopo la vita” che la Chiesa, come tutte le Chiese, ha costruito la propria fortuna. Esulano da questo schema il Buddismo e alcune religioni orientali che aggirano la questione rinunciando, in pratica, a vivere, mentre le metempsicosi sposta solo un po’ più in là il problema.
I media nazionali e internazionali, com’è naturale, si sono scatenati in un’orgia di commenti, tante erano le pagine dedicate al “tragico evento” che chi non era interessato poteva fare anche a meno di leggere i giornali.
Commenti su Bergoglio innanzitutto, se era progressista o conservatore, se era di destra o di sinistra, anche se a me sembra blasfemo utilizzare categorie temporali in ambito spirituale.
Insomma la storia della Chiesa è stata sondata in lungo e in largo e anche, ma senza rendersene conto, in profondità come quando si è ricordato l’apologo del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Questo l’apologo. Siamo nella Spagna del Cinquecento e Cristo, come promesso, è ridisceso sulla Terra. Il Grande Inquisitore, il novantenne Cardinale di Siviglia, lo fa immediatamente arrestare, sprofondandolo nelle più profonde segrete. E gli dice: “Tu non vuoi bene agli uomini perché hai dato loro il libero arbitrio, siamo noi ad aver tolto all’uomo questo tormento togliendogli la libertà della scelta e assumendola su di noi”.
Si sono fatti poi inevitabili, anche se problematici, confronti coi i Pontefici più recenti, dallo ieratico Pio XII al cosiddetto “Papa buono”, Giovanni XXIII, a Karol Wojtyla il più ‘politico’ dei Pontefici del Dopoguerra perché a lui si deve, così si dice, il collasso dell’Unione Sovietica e la liberazione della cattolica Croazia dal giogo della Jugoslavia serba che portò poi alle sanguinosissime guerre balcaniche.
Si è giocato poi molto al ‘toto-Papa’. Mi spiace che non sia compreso, per limiti di età, il cardinal Ravasi, uomo dalla cultura impressionante, teologo finissimo e, avendo viaggiato pressoché in tutto il mondo, cristiano e no, di grande apertura mentale.
In quanto a Ratzinger, che non è eleggibile poiché defunto, morto ad onta di tutte le acrobazie di quell’essenza misteriosa che è lo Spirito Santo, definito da Borges uno “spettro” non proprio raccomandabile, quando era ancora Cardinale pose una questione attualissima, che ci riguarda tutti, affermando: “il Progresso non ha migliorato né l’uomo né la società e si presenta come un rischio gravissimo per la sorte dell’intero genere umano”. Nonostante la questione fosse posta da una tale Autorità, fu passata sotto silenzio perché non faceva certo comodo ai padroni del vapore che sul Progresso e le ‘crescite esponenziali’, basano la loro fortuna e il loro potere.
In quest’orgia di commenti non è mai stata centrata la vera questione fondante posta dal cristianesimo e che segnerà l’intera storia, o quasi, del mondo: l’evangelizzazione. Se io posseggo la Verità perché non annunciarla anche agli altri e farli partecipi? Il vizio non è qui nell’annunciare la ”buona novella” ma nel tentativo di obbligarvi anche gli altri. Uno slancio generoso che però ci ricadrà come una tegola sulla testa, al modo di tutti i favori non richiesti.
Gli ebrei, bisogna dirlo, non hanno questo vizio, la generosità è loro estranea. Non fanno proseliti e gli altri vadano pure a scopare il mare. O meglio a farsi ammazzare dagli stessi ebrei (a mettere Cristo in croce non fu il romano Ponzio Pilato che di queste disquisizioni, da pagano, non poteva, giustamente, capir nulla ma fu spinto dalla canea tumultuante degli ebrei). Nel loro Dna c’è la vendetta e non certo il misericordioso “porgi l’altra guancia” del Cristo, questo affascinante borderline che, con magie da “illusionista”, alla Iniesta, moltiplicava i pani e i pesci, camminava sulle acque, risuscitava i morti, ridava la vista ai ciechi (anche se in questo caso l’operazione gli fu più difficile). Del resto sono o non sono il “popolo eletto”, il prediletto da Dio quello nato sul territorio sacro della Palestina mentre altri pur originari di quei luoghi, i palestinesi appunto, devono essere cancellati dalla faccia della Terra con i metodi più brutali come stiamo vedendo in questi giorni e in verità dal 1948? Peraltro con questa concezione del “popolo eletto” gli ebrei hanno declassato tutte le altre genti a popoli di serie B, ponendo le basi di quel razzismo antropologico di cui poi saranno tragicamente vittime.
Torniamo all’evangelizzazione. Nell’evangelizzazione c’è in nuce il “vizio oscuro” che segnerà l’intera storia dell’Occidente, sul quale anzi esso si fonderà: il tentativo di reductio ad unum dell’intero esistente. Con l’evangelizzazione non solo avrà, di fatto, inizio l’eurocentrismo, ma essa è, ideologicamente, alla base del colonialismo, dell’imperialismo, del totalitarismo. L’evangelizzazione partorirà molti figli, apparentemente fra loro diversissimi ma tutti con la stessa tabe genetica: la convinzione di avere la Verità in fronte e la necessità di farvi partecipi anche gli altri, con le buone o, se necessario, anche con le cattive.
Un primo figlio sarà il colonialismo che si basa, almeno a partire dal quindicesimo secolo, sulla distinzione fra “culture superiori e inferiori” e il dovere delle prime di portare la civiltà, laica e religiosa, alle seconde. Il secondo figlio, anche se ciò può apparire strano, sarà l’Illuminismo che a Dio sostituirà, assolutilizzandola, la Dea Ragione, e la Rivoluzione francese e le truppe napoleoniche si incaricheranno di esportare, sulla punta delle baionette, questa inedita “buona novella”. Il terzo figlio, il che può apparire ancora più strano, è la Rivoluzione sovietica che, sotto il manto del materialismo scientifico e in nome dell’internazionalismo proletario, tenterà di ricondurre tutto il mondo sotto un unico modello. Il quarto figlio è quello più riuscito e compiuto. Ed è la società industriale. La sua formidabile espansione si basa su una sorta di “evangelizzazione”, mercantile e tecnologica, che ha al suo fondo la convinzione che quello industriale sia “il migliore dei mondi possibili”. E’ una società dinamica che ha sopraffatto tutte quelle ‘statiche’. E’ in virtù di questa convinzione che ci siamo intromessi in tutte le altre culture, assimilandole, o, quando questo non è stato possibile, ghettizzandole oppure togliendole brutalmente di mezzo (tutte le guerre americane dell’ultimo quarto di secolo, in particolare quella totalmente ideologica all’Afghanistan talebano, hanno questo senso). Dio ha preso le forme della ruspa.
Alla società industriale sta riuscendo quello che il cristianesimo, il colonialismo classico, la Rivoluzione francese, il marxismo-leninismo hanno potuto solo tentare: la riduzione del mondo a un unico modello. Oggi siamo, finalmente, tutti battezzati. In un mare di cherosene.
8 maggio 2025, il Fatto Quotidiano