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L'enfasi di tutte le televisioni, di tutti i giornali, di molti personaggi dello spettacolo sulla morte per cancro di Nadia Toffa la trovo oltraggiosa nei confronti delle centinaia di migliaia di ammalati di tumore che non hanno un nome e un cognome famosi. A parte questa discriminazione sociale fra Vip, o presunti tali, e quella che, senza accorgersi dello sprezzo, viene chiamata “gente comune”, il fatto è che noi non siamo più capaci di accettare quelli che i filosofi, quando esistevano ancora, chiamavano "i nuclei tragici dell'esistenza", il dolore, la vecchiaia, la morte. E cerchiamo di coprire questi che ci sembrano degli ‘scandali’, mentre sono eventi naturali della vita, con la retorica. Scrive Alberto Savinio in Sorte dell'Europa: "La retorica è un male endemico nel nostro paese, è il male che inquina la nostra vita, la nostra politica, la nostra letteratura e una delle cause principali, se non addirittura la principale, delle nostre sciagure".

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2019

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Venerdì ho letto sul Fatto, a firma di Lorenzo Vendemiale, una notizia sbalorditiva, che però è scivolata via come se nulla fosse. La notizia è questa: la società bianconera ha deciso di vietare, per il prossimo campionato, l’ingresso allo Stadium a tutti i tifosi, e anche non tifosi, che, residenti a Torino o altrove, sono nati in Campania. Ma come? Sono anni che ci rompono i coglioni con la “discriminazione razziale” allo stadio mettendo sotto accusa striscioni sostanzialmente innocui, perché ironici, come “Forza Vesuvio” se si è a Verona o, a campi invertiti, “Giulietta era una zoccola” e adesso si accetta tranquillamente un provvedimento che non si può definire altrimenti che razzista?

La società bianconera ha dovuto poi fare marcia indietro, dopo che la Questura di Torino si era giustamente dissociata da questo dissennato provvedimento che configura un reato. La legge Mancino del ’93 punisce con la reclusione fino a un anno e 6 mesi chi “istiga all’odio razziale”. Personalmente sono sempre stato contrario a questa legge perché, a parer mio, esiste un diritto all’odio, che è un sentimento come la gelosia o l’ira, che può essere punito solo quando si materializza in atti concreti (cioè se torco un solo capello alla persona che odio allora sì devo andare in gattabuia). Ma visto che la legge c’è va applicata al signor Andrea Agnelli, attuale presidente della Juve.

Fra due settimane inizia il Campionato. E a me come a molti altri della mia generazione sale una sorta di disgusto. Cosa singolare perché la mia generazione, diciamo quelli che erano ragazzi negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, aveva solo il calcio, il grande sport nazional popolare insieme al ciclismo. Il tennis era roba da ricchi, lo sci lo conoscevano solo quelli che abitavano in montagna, il basket apparteneva, insieme al baseball, alla cultura americana e quel gioco, non era ancora entrato nella nostra mentalità e nel nostro costume, a differenza della pur mediocre letteratura yankee dell’epoca, introdotta in Italia da Elio Vittorini con Americana (Steinbeck, Irwin Shaw e l’indigeribile Saroyan).

Il calcio lo abbiamo giocato tutti, ognuno al suo livello, nei cortili, in strada, a Milano nei terrain vagues lasciatici graziosamente in dono dai bombardamenti americani e poi, diventati un po’ più grandi, nei campi regolari di qualche società minore.

Ma negli ultimi decenni economia e tecnologia (vale a dire la Tv) hanno via via distrutto i motivi rituali, mitici, simbolici, identitari, comunitari, che per un secolo e passa hanno fatto la fortuna di questo gioco.

Oggi le squadre, non solo di A, ma di B e anche di C, sono zeppe di stranieri e a volte in partite di cartello del nostro Campionato non vedi in campo un solo giocatore italiano. I giocatori cambiano squadra ogni anno e, grazie al calcio mercato di gennaio, anche all’interno della stessa stagione con tanti saluti alla regolarità del Campionato. Le maglie, per esigenze degli sponsor, vengono cambiate quando la squadra gioca in trasferta. Come si fa a identificarsi? Con la politica degli abbonamenti (denaro che entra in anticipo) è saltato anche l’elemento comunitario e interclassista, la suburra va dietro le porte, gli altri, a seconda del loro status, nelle diverse Tribune. Un tempo il piccolo imprenditore sedeva accanto al suo operaio, gli spettatori si diluivano per estrazione sociale ed età nell’intero stadio, se si cacciano tutti i ragazzotti dietro le porte e nelle curve come si può poi pretendere che non facciano casino? Le pay tv e le pay per view hanno introdotto un altro elemento di discriminazione sociale. Per esigenze televisive si gioca ogni giorno e a ogni ora: venerdì c’è un anticipo di B, il sabato la B e due anticipi di A, a mezzogiorno di domenica c’è una partita di cartello, alle tre del pomeriggio giocano le squadre meno interessanti, alle 18.30 altra partita, la sera il match più importante, il lunedì il posticipo di A, il martedì e il mercoledì c’è la Champions, il giovedì quella competizione comica che è l’Europa League e la danza infernale ricomincia.

Anche i più importanti campionati stranieri, Premier League, Liga spagnola, Bundesliga, sempre per esigenze televisive sono tarati in modo da non collidere fra di loro. A tutto questo si è aggiunto il Var. Una squadra segna ma i giocatori e gli spettatori trattengono il fiato. C’è il Var. Si crea una sorta di comica assemblea fra arbitro, tre ometti in tenuta da gioco che stanno nelle catacombe dello stadio e fra poco, per non essere influenzati, in un punto imprecisato dello spazio, i guardalinee, il ‘quarto uomo’. Solo quando l’arbitro  indica il cerchio di centro campo o il punto da cui deve essere battuta la punizione per un presunto fuori gioco si può esultare o piangere. Ma in quel momento sul campo non sta succedendo nulla. Una situazione surreale.

Il calcio andrà a morire per overdose, come tutta la nostra società, di cui “il più bel gioco del mondo” non è che uno degli specchi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 agosto 2019

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Tutti, giornali, opinionisti, esperti della politica, sono convinti che l’altro ieri Matteo Salvini votando a favore della Tav insieme a PD, Forza Italia e Fratelli d’Italia, abbia voluto dare la spallata decisiva al governo gialloverde per andare a elezioni anticipate e monetizzare il successo ottenuto alle elezioni europee e la forza ancora più rilevante che gli attribuiscono oggi i sondaggi.

Il ricatto salviniano ai 5stelle di cambiare tre loro ministri e addirittura alcuni punti del “contratto di governo” (sottoscritto da entrambe le parti) che non gli sono graditi non potrà essere accettato dai ‘grillini’ se non vogliono suicidarsi politicamente.

Ma non è affatto detto che le cose vadano come crede Salvini. L’”azionista di maggioranza” di questo governo non è affatto la Lega come si scrive e si dice, ma sono i 5stelle che alle ultime elezioni politiche hanno ottenuto più del 32% dei voti mentre la Lega si era attestata sul 17%. Ora non è affatto automatico che se cade un governo si vada alle elezioni. Secondo una prassi consolidata cui finora non si è mai venuti meno il Presidente della Repubblica prima di rimandare i cittadini alle urne deve fare un giro di consultazioni con i vari partiti per vedere se è possibile formare un nuovo governo. Si potrebbe perciò formare un governo con 5stelle e il PD che alle politiche ha ottenuto il 18.7% e che avrebbe la maggioranza assoluta. Un governo che unirebbe forze politiche molto più omogenee, o almeno meno disomogenee, di quanto lo siano 5stelle e Lega che per stare insieme hanno dovuto utilizzare il marchingegno del “contratto di governo”. Si ricorderà che dopo le politiche la prima proposta Di Maio la fece al PD che, arroccato sul ‘renzismo’, sciaguratamente la rifiutò non dando ai 5stelle altra alternativa che allearsi con la Lega di Matteo Salvini.

I 5stelle hanno un programma sociale che al PD, se in questo partito è rimasto ancora qualcosa di sinistra (“D’Alema dì qualcosa di sinistra. Dì qualcosa” – Nanni Moretti) dovrebbe andare a sangue. Il solo punto di contrasto fra 5stelle e quelli del PD è la produttività, di cui i piddini sono assatanati mentre i grillini privilegiano, oltre a una ragionevole uguaglianza sociale, l’ambientalismo e, guardando un po’ più avanti, alla maniera di Gianroberto Casaleggio, pensano a una società più semplice, meno nevrotica, comunitaria. Il no o il alla Tav , opera che in sé e per sé potrebbe essere indifferente, ha questi significati simbolici.

Un PD ‘derenzizzato’ potrebbe quindi rimediare al passo falso fatto dopo le politiche del 2018. C’è anche da notare che la parte grillina di questo governo se non ha sempre governato bene per lo meno ha governato. Infatti mentre Matteo Salvini berciava ogni giorno, di mattina, di pomeriggio, di sera e di notte, sostenendo che lui lavorava, i 5stelle hanno prodotto leggi. Lo ha confermato involontariamente persino Silvio Berlusconi che in un intervista al Giornale del primo agosto ha dichiarato: “su venti leggi sinora approvate soltanto due sono state proposte dalla Lega”.  

Adesso, se cadesse il governo,  tutto dipenderà dalla correttezza del presidente Sergio Mattarella che, come si è detto, prima di sciogliere le Camere ha il dovere di consultare i partiti per vedere se è possibile formare un altro e diverso governo. Se il PD vuole fare un definitivo ‘autodafe’ non ha che da respingere ogni accordo con i 5stelle e allora sì dovremo tenerci il “cazzaro verde”, come lo chiama Travaglio, in saecula saeculorum.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 agosto 2019