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In Gran Bretagna c’è una proposta di legge per vietare il fumo anche in ambienti all’aperto, in questo modo verrebbe anche stroncata un’usanza molto cara agli inglesi: una pinta di birra accompagnata dalla sigaretta alla fine di una giornata di lavoro. Gli “schiavi salariati” non sono più tali solo in azienda ma anche fuori.

A Milano ci aveva già provato il sindaco Sala: era proibito fumare nei parchi se c’era una donna incinta. Insomma avresti dovuto andare a tastare il ventre di tutte le donne per assicurarti che non fossero in fase di gravidanza. Ottima occasione di approccio anche se poi, per fortuna o per sfortuna, dipende dai punti di vista, non se ne fece niente.

Ci sono provvedimenti contro il gioco d’azzardo, contro l’alcool (a Cuneo l’amministrazione Pd ha vietato, in alcune zone della città, il consumo di alcool per tutta la giornata, forse era meglio che il Pd restasse il Pci che in queste cose era meno talebano). Siamo vicini, per ora solo come “moral suasion”, al raccomandare un’attività sessuale contenuta, perché poi se a qualcuno vengono disturbi cardiocircolatori il peso delle cure ricade sulla società (sempreché riesca a raggiungere le strutture pubbliche e non sia costretto a ricorrere alla sanità privata, ovviamente molto più costosa).

Tutti questi divieti sono controproducenti. Perché non c’è nulla che attiri di più di ciò che è vietato. Quando negli anni Settanta, dominati dal movimento studentesco, scopare da proibito, come era stato fino allora, divenne obbligatorio, ne passò la voglia.

Questi divieti oltre che a incidere sulla libertà delle persone rilevano anche su quella di informazione. Se si è in tempo di guerra è proibito pubblicare informazioni che potrebbero essere utili al nemico. Ma noi, Italia, attualmente, al meno dal punto di vista formale, non siamo in guerra con nessuno. Stiamo applicando una censura di guerra in tempo di pace.

Quello del giornalista è un mestiere delicato perché noi andiamo a ficcare il naso nei fatti altrui, anche i più intimi (Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia docent). La questione acquista una particolare rilevanza quando c’è un procedimento penale in corso. Si pubblicano atti istruttori, con le relative notizie sull’indagato, prima ancora che costui sia rinviato a giudizio. Nella delicata fase istruttoria, cioè delle prime indagini dove gli inquirenti ovviamente navigano ancora nel buio, possono essere coinvolte persone che risulteranno poi estranee all’inchiesta. Ma il tritacarne massmediatico ne fa ugualmente strame. Il codice di Alfredo Rocco aveva trovato il sistema per un ragionevole equilibrio fra la necessità delle indagini e il diritto, ma preferirei chiamarlo interesse, della popolazione a essere informata e il diritto, ma preferirei dire l’interesse, dei giornalisti a informare: l’istruttoria è segreta, il dibattimento è pubblico (nei regimi totalitari anche il dibattimento è segreto). Cioè, attraverso il vaglio del GIP, arrivano al dibattimento solo gli elementi che possono essere utili e necessari al processo.

Devo dire che c’è una degenerazione anche fra i magistrati. Un tempo il magistrato parlava solo “per atti e documenti”, non rilasciava interviste e anche nella vita privata doveva stare attento a chi frequentava. E questo modo di vivere la vita del magistrato è durato a lungo, fino a tempi relativamente recenti. Io ho avuto un buon rapporto, amichevole, con Emilio Alessandrini il magistrato che sarà poi assassinato dalle Brigate rosse. Ma mai Alessandrini mi parlò non dico delle istruttorie che aveva per le mani, ma nemmeno, e tantomeno, delle istruttorie di cui si occupavano i suoi colleghi. Adesso al cronista basta andare a leggere gli atti istruttori, che essendo, da regola e giustamente, in mano ai difensori, per sapere quello che un tempo costava la fatica della ricerca.

Quella del magistrato, come del medico, come di ogni soggetto che abbia incarichi istituzionali, non è una professione come tutte le altre. Se andate a rivedere i giornali dell’epoca di Mani Pulite, né Francesco Borrelli né Antonio Di Pietro né gli altri rilasciarono interviste. Poi, travolti dalla popolarità, cominciarono a farlo sia pur col contagocce. Personalizzare le inchieste è estremamente pericoloso, perché il magistrato, soprattutto il Pubblico ministero, può anche essere integerrimo e avere agito secondo, come si dice, “scienza e coscienza”, ma avrà pur sempre una moglie, una compagna, degli amici e, attraverso costoro, essere attaccato. Durante le inchieste di Mani Pulite non nominai mai né Borrelli né Di Pietro, rendendomi conto del rischio della personalizzazione delle inchieste. Parlavo solo dell‘”Ufficio del Pubblico ministero”, come recita il nostro Codice. Nella lascivia laudatoria in cui furono coinvolti i magistrati del Pool di Milano, almeno nella prima fase, (ma ci vollero appena due anni perché tutto si capovolgesse e i magistrati diventassero i veri colpevoli e i ladri le vittime, spesso giudici dei loro giudici, tra l’altro Berlusconi affermò, in terra di Spagna, che in Italia era in atto una guerra civile fra politica e Magistratura) Paolo Mieli totalmente immerso in questa lascivia pubblicò – poi cambierà opportunisticamente sponda – un editoriale sul Corriere della Sera intitolato “dieci domande a Tonino” come se ci avesse mangiato insieme a Montenero di Bisaccia.

Insomma, io credo che noi giornalisti dovremmo andare con mano più leggera quando pubblichiamo atti delle istruttorie.

“Vietato vietare” è un brocardo giusto e su questo abbiamo speso tutta la prima parte di questo articolo. Ma ci sono casi, in particolare nel sistema giudiziario, dove il divieto è più giusto, utile e opportuno, del contrario.

13 Settembre 2024, Il Fatto Quotidiano

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Il film Babygirl della regista olandese Halina Reijn, protagonista Nicole Kidman, è molto importante perché scava a fondo nel fenomeno del sadomasochismo nei nostri pensieri e nei nostri atteggiamenti più intimi, tema questo su cui si preferisce in genere sorvolare, tanto è scabroso, lasciandolo ai vignettisti, Manara e Crepax docent. Cioè il sadomasochismo resta, in qualche modo, virtuale.

Una premessa è d’obbligo. Il sadomasochismo, non solo quello sessuale, è la spina dorsale della nostra società. In qualsiasi ambito, di lavoro, domestico o familiare, c’è uno che domina e un altro o altri che ne vengono dominati esemplare in questo senso è il film di Losey, Il Servo (1963) dove il domestico, uno straordinario Dirk Bogarde, finisce per dominare il giovane e nobile padrone James Fox che finirà alcolizzato, inerme e a nulla varrà la reazione della fidanzata di Fox che, con una pesante collana sfregia il viso di Bogarde. Molti anni dopo il regista William Friedkin, con Cruising, cercherà di scimmiottare Il Servo. Ma è un film che non ha nessuna sottigliezza psicologica, nonostante gli sforzi di Al Pacino, perché il sadismo è agito a colpi di frusta. Ora nel sadismo sessuale, che io chiamerei però erotico, perché è tutta una questione mentale, il sadico non vuole infliggere sofferenze fisiche alla vittima, vuole umiliarla e renderla ridicola. Umiliazione e ridicolo sono il centro di questo sadismo erotico. E infatti in una scena di Babygirl lei, completamente nuda, è in ginocchio poi è costretta a camminare a quattro zampe a pulire i cocci per terra e infine a mettersi in piedi contro la parete, così si trova nella posizione assolutamente svantaggiata: non può vedere mentre viene vista.

Nella realtà della vita è lei la masochista, cioè la masochista è donna e tanto appare più vitale nella vita algida, altera, convinta della propria femminilità, una a cui in strada non oseresti fare nemmeno il più innocente degli apprezzamenti, tanto più è masochista. Non a caso nel film la protagonista è una manager affermata. Le richieste più masochiste me le sono sentite fare dalle femministe.

Alla donna non piace sottomettere l’uomo ma esserne sottomessa. Inoltre, alla fin della fiera, c’è uno che penetra e una che viene penetrata (lasciamo perdere qui Lgbtq+ che renderebbe il discorso troppo farraginoso e complesso). Una mattina ero in aereo con una mia bellissima amica appartenente all’alta società milanese e romana. Aveva da poco letto il mio “Di[zion]ario Erotico”. Disse “è sempre la solita storia: c’è uno che sottomette e un altro che viene sottomesso”. “E a te cosa piace, sottomettere o essere sottomessa?” “Sottomessa” disse senza esitazione. “Sottomettere un uomo, brr, che orrore”. Contro l’oblò la vedevo molto bene in viso aveva le labbra socchiuse e umide si capiva benissimo che pensava al momento in cui sarebbe stata sottomessa. Purtroppo non riuscii ad approfittarne, al momento del dunque mi manca sempre qualcosa.

La differenza fondamentale fra l’uomo e la donna non è che lui ha il pisello e lei no, ma che lui è voyeur e lei esibizionista. Una complementarietà perfetta. In questo gioco non gioco molto conta l’esibizionismo di lei. Alla donna non interessa il corpo del maschio a meno che il pene non sia in erezione per valutarne la virilità (lo strip-tease maschile introdotto molti anni fa anche in Italia non ha avuto alcun successo). E’ esibire il proprio corpo ciò che la eccita. Bisogna pur ammettere, sia pur controvoglia, che non c’è nulla di più bello di un armonioso corpo femminile nudo, ma basta che apra le gambe e tutto si inlaida. Ma alle donne piace essere viste anche nelle posizioni più oscene, degradanti, umilianti.

Importanti in questo gioco non gioco sono i vestiti. E’ eccitante vedere quegli abiti eleganti indossati la mattina con tracotante sicurezza caduti in modo inglorioso, sparsi sul pavimento. Ma fondamentali, direi, più del corpo di lei, sono le sue mutandine sul cui fondo puoi valutare le emozioni che ha provato durante la giornata. E’ come se andassi oltre la superficie del suo corpo, è come se entrassi nel suo “dentro”. “Non possiede la sua donna chi non conosce il fondo delle sue mutandine” (Di[zion]ario Erotico, p. 105, 2000, Marsilio).

Una delle più gravi, e forse la più importante conseguenze della ‘atra senectus’ è che tu puoi farti con la mente i più eccitanti racconti, degradandola fino all’inverosimile, umiliandola, mettendola nelle posizioni più oscene e soprattutto ridicole, ma il corpo non ti sostiene più. Non ti resta che la masturbazione. C’è una notevole differenza tra la masturbazione maschile e quella femminile. La masturbazione maschile è furiosa quasi che “corrompendosi in terra”, come dice la Bibbia, sprecasse la possibilità della fecondazione. La masturbazione di lei è lenta, graduale quasi pacata. Perché il maschio non ama il suo corpo, la donna sì anche quando sta pensando di degradarlo nel modo più ridicolo e osceno.

 

10 Settembre 2024, Massimo Fini

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Barack Obama, molto ascoltato negli Stati Uniti non solo su temi politici ma anche sociologici, quest’anno ha consigliato di leggere il libro di Richard Reeves che mette il dito sulla piaga delle attuali difficoltà del genere, un tempo si sarebbe detto sesso, maschile.

Oggi l’uomo è spaventato dall’aggressività della donna. Può essere d’esempio, per quel che vale, un’esperienza personale. Quando lavoravo in Pirelli c’era una grafica svizzera, molto carina, una specie di Michelle Hunziker, che mi faceva un filo troppo sfacciato. Io me la diedi a gambe (oggi, naturalmente, me ne pento). Del resto mi sono sempre comportato così, devo essere io, almeno formalmente, a condurre l’eterno e incantevole gioco della seduzione, non lei. Con questo modo di pensare, dirà qualcuno, non sarai mai andato a buca. Ma non è stato esattamente così.

Che l’uomo abbia difficoltà ad affrontare questa aggressività, tenuta a bada per secoli col patriarcato, è dimostrato dal grande aumento dell’omosessualità maschile. In buona parte si tratta di una omosessualità “di ritorno” nel senso che non sono uomini che amano altri uomini ma che si rifugiano nel ben più rassicurante mondo maschile dove non c’è l’obbligo di farselo venir duro né ‘l’ansia da prestazione’ (“la prima sera devi dimostrare che solo tu sai far l’amore”, Tutto il resto è noia, 1977, Franco Califano). C’è anche un aumento del lesbismo che però è più nascosto come più nascosta e segreta è la sessualità delle donne così come il loro sesso nascosto fra le gambe.

La principale difficoltà dell’uomo è di essere dalla parte più debole, quella della domanda, per motivi antropologici diventati poi culturali. E’ l’uomo che deve fare le prime avances. Perché spetta all’uomo le la prima mossa? Perché, per quanto noi si millanti, l’uomo non è sempre pronto per l’amplesso. Non lo è nemmeno la donna ma la défaillance dell’uomo non solo è più visibile, è decisiva perché impedisce la penetrazione che è la normale conclusione di un rapporto sessuale.

Che ci sia uno spirito di revanche del maschile nei confronti del femminile è dimostrato dall’aumento degli stupri. Che bisogno c’è di stuprare una donna in un’epoca in cui i rapporti sessuali sono liberi? In realtà non si stupra ‘quella’ donna ma annientandola si annienta in lei l’intero genere femminile (“l’eterno odio fra i sessi”, Nietzsche) cercando di mascherare, come scrive D.H. Lawrence ne La verga di Aronne il dogma della “sacra superiorità della donna” perché è lei che dà la vita, mentre il maschio è solo un fuco transeunte, destinato, portato ad altezze vertiginose dalla sessualità di lei, a precipitare (tema assai ben sviluppato nel film Babygirl dalla regista olandese Halina Reijn presentato alla Biennale di Venezia, interprete Nicole Kidman, purtroppo vedibile nelle nostre sale solo da Natale). Questo è il tema di fondo del mio Di[zion]ario Erotico che ebbe, a suo tempo, l’anatema delle femministe e delle cesse, spesso coincidono, del Manifesto ma fu apprezzato dalle donne carine e intelligenti, anche queste in genere coincidono, che hanno capito che il mio libro è un’apologia della donna, in quanto è, antropologicamente, la protagonista della vita. Perché è lei che dà la vita.

A complicare i già difficili rapporti fra i due sessi è poi arrivato MeToo. Il principio era, e rimane giusto perché nelle realtà aziendali si subornano le dipendenti, in particolare le segretarie, per ottenere favori, chiamiamoli così, sessuali. Diversa però mi pare la faccenda nel mondo dello star system. Sono molti gli artisti rovinati per aver tenuto nei confronti delle loro colleghe comportamenti “inappropriati” (che cosa sia poi “inappropriato”, essendo il discrimine molto sottile, è cosa molto difficile da dirimere). Si cominciò nel 2018 con Daniele Gatti, che era direttore d’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, e fu rimosso perché accusato di “comportamenti inappropriati” da due soprano. Si è proseguito con lo spagnolo Luis Rubiales colpevole di aver dato un bacio a una sua calciatrice che, con la sua squadra, aveva appena vinto il Mondiale. Poi abbiamo avuto i casi di Depardieu, di Placido Domingo, di Brizzi e innumerevoli altri. Lasciano particolarmente perplessi le accuse di attrici ai propri registi per fatti di venti o trenta anni fa. Cioè, tu prima hai accettato per fini di carriera i comportamenti del regista e poi a vent’anni dai fatti, per recuperare in un momento di stanca una visibilità perduta, approfittando appunto del MeToo, lo accusi. E poi come si fa a documentare un “comportamento inappropriato” di trenta anni fa?

Quando corteggi una donna un comportamento intrusivo nella sfera personale di lei, poniamo una carezza sui capelli, lo devi pur fare per farle capire che ti piace. Ma basta la sola presenza della donna, in certe circostanze, a suscitare inquietudine. Un grande banchiere americano ha affermato che non sale più su un ascensore se c’è una donna sola. In ottanta piani chissà cosa può succedere… Negli Stati Uniti prima dell’amplesso i due firmano una carta in cui dichiarano che la cosa è consensuale e chiariscono i limiti cui si vogliono spingere. Cosa che toglie ogni aura romantica all’incontro. L’inosservanza di queste regole è costata quattro anni di galera a Popi Saracino e sei anni a Mike Tyson. Che cosa poteva fare il poveraccio con la ragazza stesa sul letto davanti a lui a gambe aperte? Ted Kennedy lasciò annegare a Chappaquiddick una ragazza che era finita in acqua perché lui, Ted, aveva sbagliato la manovra. Cosa fece Ted Kennedy? Virilmente se la squagliò, denunciando l’accaduto solo dieci ore dopo, quando non c’era più nulla da fare. Ma non ebbe nessuna condanna. Così van le cose negli States.

In teoria oggi non si potrebbe più corteggiare una ragazza. Ci sono molti lettori e lettrici che vogliono incontrarmi (oggi, per la verità, lettrici molto meno) i ragazzi li vedo a casa mia le ragazze in un bar. Basterebbe che lei dicesse “c’ha provato” per rovinarmi la reputazione.

3 Settembre 2024, Il Fatto Quotidiano