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Botero è stato un grandissimo artista poco capito o equivocato. Ho avuto il piacere di conoscerlo a Pietrasanta dove passava le sue estati e di chiacchierare a lungo con lui.

M.F.

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La premier Giorgia Meloni ha affermato che il superbonus edilizio, così come altri bonus, è stato scritto così male da rivelarsi alla fine un danno per lo Stato quantificabile in circa 12 miliardi. C’è da crederle? Molti segnali non sono incoraggianti, l’Unione europea ipotizza che il pacchetto bonus debba essere rifinanziato per 4 miliardi mentre il sottosegretario all’Economia Federico Freni afferma che il bonus sarà portato dal 110 percento al 70, inoltre non è una buona notizia quella data da Mario Sensini sul Corriere secondo il quale i crediti da bonus sono di fatto diventati inesigibili. Dice sempre a Sensini un General contractor: “Non mi rimetterei mai e poi mai in un business come questo”.

Io non so, non me ne intendo, fra questi algoritmi finanziari mi perdo. Non so se dar ragione a Meloni e ai detrattori del bonus o a chi, a sinistra, afferma che il bonus è stato, ed è, importante per l’economia italiana. Quello che mi par certo è che il superbonus, come altri provvedimenti lodevoli dei Cinque Stelle è stato scritto e, ciò che è peggio, impostato male.

Non ho capito nemmeno quali fossero gli obiettivi del superbonus, probabilmente, penso, attivare l’edilizia che è il volano dell’economia. Ma se l’obiettivo era anche questo, forse era meglio costruire delle nuove carceri al posto, poniamo, del fatiscente San Vittore, coltura di suicidi a ripetizione (“la via Filangeri è un gran serraglio. La bestia più feroce è il commissario”, Nanni Svampa in Porta Romana).

Comunque fin qui sono andato a spanne. Ciò che è certo è che il superbonus, per un molto ipotetico vantaggio futuro, ha rovinato quelli che presumibilmente sono gli ultimi tempi della mia vita. Per più di un anno, e ancora oggi, sono abbottegato nel famigerato ‘cappotto’ perdendo luce, aria, sole. E riservatezza. Gli operai arrampicati in modo pericoloso sulle impalcature mi guardano in casa anche quando sono in mutande. Per avere un po’ di privacy devo rifugiarmi al cesso come il Francesco Guccini di un’altra canzone famosa. Poi c’è la questione dei condizionatori spazzati via dai balconi per le esigenze dei lavori. Per cui quest’estate, la più calda di tutti i tempi a giudizio unanime, l’ho dovuta passare senza aria condizionata.. Non so se questo sia successo per tutti gli altri condomini interessati al superbonus, ciò che è sicuro è che la nostra Amministrazione e l’appaltatore hanno completamente sbagliato i tempi facendo coincidere una parte notevole dei lavori con la stagione estiva in una città come Milano che a luglio e agosto è notoriamente un forno. Forse i miei condomini, che non conosco (altro segnale della solitudine di una città dove un tempo ci si conosceva tutti, non dico nel condominio ma nel quartiere) si sono salvati andando in qualche loro casa ai mari o ai monti oppure lavorando in ditta dove l’aria condizionata c’era. Io purtroppo lavoro in casa e tremo al pensiero che Caronte o Nerone (sempre diffamato) rimontino dalle terre del Sahara dove però il caldo è più sopportabile perché asciutto (il meccanismo è più o meno questo: l’aria calda parte dal Sahara, sorvolando l’Italia si scalda – l’effetto föhn – e ristagnando o ritornando indietro si scalda ancora di più).

Poi c’è la questione della sicurezza o, per meglio dire, dell’insicurezza. Poiché le impalcature sono a livello finestra chi può garantire che qualcuno non entri di soppiatto, soprattutto di notte, approfittando del buio? L’Amministrazione e la prestigiosa ditta appaltatrice assicurano che c’è un sistema di allarme. Per la verità l’anno scorso – perché questo tormento dura da più di un anno – ho fatto camminare un mio amico fidato e sufficientemente acrobatico sulle impalcature e non c’è stato nessun segnale d’allarme. Ciò comporta due cose. Che di notte tu debba tenere la luce accesa per far capire agli eventuali malandrini che c’è qualcuno in casa. Che tu debba chiudere le finestre, rinunciando anche a quel poco di frescura che ti può dare la notte (parlo naturalmente dell’epopea di Caronte e Nerone). L’altra notte mi sono svegliato urlando perché mi sembrava che qualcuno mi strangolasse. E l’urlo non era nel sogno, l’urlo l’ho cacciato al momento del risveglio. Una specie di sogno nel sogno, una sorta di “doppio sogno” per dirla con Schnitzler.

Ci dicono poi che uno degli obiettivi del superbonus è il risparmio energetico. Ma dovendo stare gran parte della giornata al buio, a causa delle impalcature ma anche di uno sciagurato telo pubblicitario che i miei condomini, quelli con le ville al mare o ai monti, perché si tratta di una media borghesia ben pasciuta ma avidissima di denari, o forse avida di denari proprio perché pasciuta, ho dovuto vivere con la luce perennemente accesa. Il risparmio energetico ci sarà, dicono, nel futuro, ma a me, alla mia età, del futuro non importa un cazzo.

Ci sono poi alcuni inconvenienti minori. Quando esco di casa le impalcature impediscono la visuale mia e dei ciclisti per cui devi muoverti con una prudenza da plantigrado perché ci vuole poco che quelli, arrivando ad una velocità da Filippo Ganna perché la pista ciclabile pare non conosca limiti, ti fracassino le ossa. E cadere, alla mia età, significa frantumarsi il femore e quindi l’avvio verso il mondo dei più. Quando andavo in bicicletta io, noi eravamo le vittime preferite degli automobilisti, adesso i ciclisti, come ci dicono le cronache, sono allo stesso tempo vittime e carnefici.

Probabilmente se avessi vent’anni sopporterei tutto questo molto meglio, anzi mi divertirei con il monopattino a fare uno sterminio di vecchietti per la felicità di Marco Travaglio che ha il sospetto che io voglia il genocidio degli anziani. Ma vent’anni non ne ho più anche se gli istinti omicidi sono rimasti gli stessi e mi tocca la parte della vittima.

Ma, dicono, in futuro avrai grandi vantaggi dall’ecobonus perché la tua casa si rivaluterà ed entrerà in non so quale categoria. Intanto si tratta di capire quanto futuro. Parlavo oggi pomeriggio con due tecnici italiani, molto simpatici, che stavano lavorando sul balcone facendo un fracasso terribile (già, il rumore, me ne ero dimenticato) e gli ho chiesto quando sarebbe finita questa storia. “Non lo sappiamo” hanno risposto. “Dopo di noi devono lavorare gli idraulici, i saldatori, gli elettricisti e finalmente quelli che le metteranno il motore del condizionatore”, diciamo all’incirca, vista la speditezza con cui vanno questi lavori, due o tre anni. Ma fra due o tre anni io sarò morto. Sperabilmente. Perché il morto è l’unica persona veramente libera. Nessuno gli può più rompere i coglioni.

Molti lettori diranno che a ottant’anni (quasi) mi sono bevuto il cervello e so esprimermi solo per canzonette. È probabile, gli ottanta sono un’età limite, non per nulla Jannacci, e quindi do subito fiato ai miei detrattori, del quale alla festa del Fatto si sono onorati i dieci anni dalla morte, ne La forza dell’amore canta “gh’era el me zio/ ch’el tampinava/ ona filovia/ è appena uscito/ dal neurodeliri/ e gh’ha/ e gh’ha vottant’ann”.

Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2023

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Ugo Intini ha pubblicato l’anno scorso un libro, Testimoni di un secolo, che secondo me avrebbe meritato una maggiore attenzione. In realtà il libro avrebbe potuto avere come titolo “Testimoni di un paio di secoli”. Intini, che oggi ha 82 anni, è entrato giovanissimo, a 19 anni, all’Avanti! di Milano e ha conosciuto dalla viva voce di socialisti nati ai primi del Novecento fatti, a volte importanti altre curiosi, dell’Ottocento.

Testimoni di un secolo è quindi un libro di storia ma contiene anche aneddoti molto divertenti di fatti minori che non appartengono alla grande storia ma che, se letti in filagrana, sommandoli gli uni agli altri, l’hanno fatta. Al centro c’è la grande figura di Pietro Nenni a cui il giovane Intini fu molto vicino prima di incrociare Bettino Craxi. Il ritratto di Nenni, che Intini chiama sempre “il vecchio” non solo per rispetto ma per le perle di saggezza che distribuisce ai compagni e che i socialisti venuti dopo di lui avrebbero fatto bene a seguire (“Frati ricchi, convento povero”), inizia con l’incontro con un altro “grande vecchio”, Angelo Rizzoli senior. “Il sodalizio tra Nenni e Angelo Rizzoli veniva da lontano. Erano entrambi poveri, orfani e cresciuti in collegio. Rizzoli nel mitico istituto dei Martinitt a Milano, dove imparò il mestiere di tipografo, grazie al quale riuscì a comprarsi una vecchia Linotyope usata, se la caricò su un carretto e iniziò la sua ascesa. Si conobbero all’inizio degli anni Venti. LAvanti! era l’unico giornale veramente nazionale, con una tiratura enorme. A tutti gli abbonati regalava per Capodanno ‘l’Almanacco socialista’. Ma non era facile trovare una tipografia capace di stamparlo in tempo e bene. L’amministratore del quotidiano socialista, Bonaventura Ferrazzutto, grande amico di Nenni, si accordò con Angelo Rizzoli e il rapporto tra tutti loro ebbe un futuro”.

Secondo Intini fu Mussolini a salvare Nenni, col quale aveva un antico rapporto cominciato quando entrambi erano esuli in Francia. Fu Ugo a pormi l’indovinello: “Nel 1922 ci sono due uomini che camminano fianco a fianco sulla Croisette a Cannes. Sai chi sono? Sono Pietro Nenni e Benito Mussolini”. Come Mussolini salvò Nenni? Secondo fonti molto attendibili, raccolte da Intini, Nenni catturato dai tedeschi era stato condannato a morte. Hitler acconsentì a rimandarlo in Italia, ma con una lettera personale a Mussolini ne chiedeva l’immediata fucilazione. Nel dopoguerra Nenni restituì il favore. È opera sua se dopo la Liberazione, in quegli anni di vendette trasversali, né Rachele Mussolini né Edda Ciano né i figli di Benito furono mai toccati. A questo proposito è interessante leggere il libro pubblicato nel 1969 di Romano Mussolini, divenuto nel frattempo un apprezzato jazzista seguendo certe inclinazioni che erano anche di suo padre, Apologia di mio padre.

Nel libro Intini usa la mano leggera nei confronti di Sandro Pertini, altro “grande vecchio” del socialismo italiano. A me ha invece raccontato questa storia: i partigiani in Liguria catturano un giovane fascista ma se lo lasciano scappare, arriva furibondo Pertini che chiede la fucilazione immediata dei partigiani che avrebbero dovuto custodire il fascista. Naturalmente i partigiani non fanno nulla, aspettano solo che il violento rompicoglioni se ne sia andato. Del resto per sapere che Pertini era un violento e un cretino non è necessario ricorrere ai racconti di Intini, basta andare a Stella, dove è nato, per capire che era odiatissimo. Questo per dire l’enorme distanza non solo politica e culturale, ma anche umana che c’era fra i due uomini.

Ugo Intini è stato anche direttore de Il Lavoro di Genova. Si potrebbe dire che oltre a essere uno dei pochissimi socialisti, insieme a Rino Formica, a non aver rubato, è stato anche uno dei pochi socialisti ad aver lavorato. È stato Intini il primo a darmi una caratura da editorialista proprio su Il Lavoro con una rubrica intitolata Contropiede. Durante il sequestro di Aldo Moro scrissi uno spinosissimo articolo che Intini titolò “Aldo Moro, statista insigne o pover’uomo?”. “Sei stato molto duro con Moro” disse, ma pubblicò. Del resto Moro non piaceva nemmeno a Bettino Craxi. Posso dire con certezza che spesso Ugo non condivideva le opinioni e le decisioni di Craxi, ma le eseguiva con un ubbidienza sabauda.

Piene di spunti sono le pagine che Intini dedica a Ghiringhelli, a Remigio Paone e, a seguire, ad altri protagonisti del teatro, Scala in testa, e dello spettacolo, tutti socialisti a dire di Intini perché per lui, per un atto di fede verso il socialismo che considero commovente, tutti sono socialisti o ex socialisti o futuri socialisti.

Ghiringhelli. “Capelli bianchissimi e folti nonostante l’età, occhi chiari, pallido e piccolino, lo ricordo ‘in divisa’. Quella del giorno era un doppio petto gessato a righe (blu, grigio chiaro o grigio scuro a seconda dell’umore). Se non avesse mostrato un viso gentile, poteva sembrare Al Capone. La divisa da sera era naturalmente lo smoking (sempre rigorosamente doppio petto). Che, in contrasto con il nero, faceva sembrare ancor più bianchi il viso e i capelli… Ghiringhelli ascoltava, sopiva, mediava. Sempre garbato e mite con le persone, ma fermissimo negli obiettivi. Si occupava dei divi, certo, ma anche dello staff… tutto vedeva con sguardo al laser e tutto organizzava. Pronto persino a rassicurare chi fosse colto da un attacco di timor panico (e succedeva spesso) al momento di andare in scena”.

Il nome di Ghiringhelli si lega ovviamente a quello di Paolo Grassi che fu direttore della Scala, ma non solo. Da Grassi origina un nuovo modo di vedere lo spettacolo – non più avanspettacolo –  da cui avrà origine la filiera degli Svampa, de I gatti di via dei miracoli, degli Jannacci, dei Gaber, sino a Renato Pozzetto, Cochi e Abatantuono.

Intini è stato anche Viceministro degli Esteri e quindi, grazie anche al sodalizio con Nenni, ha una notevole esperienza internazionale spalmata su tanti anni di vita. Da qui una serie di incontri con personaggi del calibro di Pelikan, Jaruzelski, Sacharov, Ceausescu, Kim Il-sung, Hoxha, Alia, naturalmente Willy Brandt, Peres, Arafat.

Interessante, perché molto attuale, è una confidenza che Nenni fa a Intini a metà degli anni Settanta: “La Costituzione ha superato brillantemente questi trent’anni. Ma ogni Costituzione esprime sul terreno giuridico le realtà che si vanno creando nei vari Paesi. E non c’è dubbio che si vanno creando in Italia condizioni che dovranno trovare la loro espressione giuridica in un testo rivisto”.

Dopo il crollo del PSI Intini partecipa alla fondazione dei Socialisti Democratici Italiani insieme ad Enrico Boselli nel 1998, dove viene rieletto deputato alla Camera alle elezioni politiche del 2001 nel collegio di Genova-Sampierdarena. Nel 2005 è tra i promotori del nuovo progetto radical-socialista: è capolista in tutti i collegi del Senato per la Rosa nel Pugno nelle elezioni politiche del 2006, insieme a Marco Pannella. Ha fatto parte del governo Prodi II dal 2006 al 2008. Ha poi aderito al rinato Partito Socialista Italiano nel 2007.

Come si può osservare Ugo Intini è un vero socialista, ma con venature liberali, libertarie, radicali. Non per nulla, nonostante le offerte, non ha mai voluto entrare, a differenza della mia amica Stefania Craxi, in Forza Italia, perché un socialista può stare con chiunque tranne che con i campioni del turbocapitalismo.

Il Fatto Quotidiano online, 9 settembre 2023