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Anche le guerre stufano. E ancor più stufa doverle descrivere o commentare. Se poi ci si inserisce nel filone diplomatico è una frustrazione senza pari . Nessuna guerra è mai finita per gli sforzi diplomatici. La guerra è come una partita di calcio in cui manca il pareggio. C’è uno che vince e uno che perde. E i diplomatici, di qualsiasi Paese, sono un corpo di fannulloni, molto ben pagati e oltretutto discendenti, in genere, da nobili lombi.

Io voglio quindi oggi parlare di qualcosa di più umano: la “grazia” .
Grazia. Chi non ce l’ha non se la può dare e nemmeno comprare: non si trova nei supermarket  del beauty e del fitness. È un che di impalpabile, di ineffabile, di difficilmente definibile, come il carisma. La sola cosa certa è che sta al lato opposto della volgarità. È  un’armonia fra interno ed esterno, fra essere e avere, fra come siamo e come ci presentiamo, laddove la volgarità è, a tutti i livelli, un uscire dai propri panni. Per questo un primitivo può essere rozzo ma mai volgare. Ha grazia, se si veste all’occidentale la perde. La volgarità è data da un contrasto, da qualcosa che stride. L’uomo moderno è quasi sempre volgare perché vuol essere diverso da quello che è e cercando in tutti i modi di far dimenticare la propria animalità finisce per sottolinearla. Lo si vede bene osservando una persona in strada che parla al cellulare: sembra una scimmia vestita e ammaestrata. Il gap fra l’altissimo contenuto tecnologico dell’oggetto, che può essere considerato un componente dell’abbigliamento, e la cultura e l’antropologia di chi lo sta usando ne evidenzia il carattere animalesco.

Nella grazia c’è qualcosa di primigenio, di infantile, di candido, di casto, di spontaneo, di non lezioso, di non manierato, di non artefatto e, insieme, di malizioso. La grazia, a differenza della bellezza, non è un fatto statico, ma dinamico, si esprime in uno sguardo, in un sorriso, in un gesto, in un movimento e talora anche in un’imperfezione birichina che anima il viso (Venere strabica). Le donne di oggi sono sicuramente più belle, più curate, più levigate, più perfettine di quelle di un tempo, ma raramente hanno grazia. Sono troppo catafratte nei canoni standard della bellezza. Col lifting si può essere belle ma è impossibile avere grazia. Del resto basta pensare che il prototipo attuale della bellezza femminile è la modella: “sotto il vestito niente” come recitava un best seller di qualche anno fa. E la grazia non può prescindere da una illuminazione interiore. Nessuna grazia hanno pressoché tutte le donne dello show business televisivo, in loro c’è sempre qualcosa di falso, di costruito, di artefatto, di plastificato, di inverosimile, una forzatura, un’esagerazione, un’enfasi che disturba e infastidisce.  

Peraltro la grazia è stata sempre rara anche fra le bellissime. La giovane Brigitte Bardot aveva grazia, Marilyn Monroe no, era anzi decisamente sgraziata, con quegli sfregi di rossetto, quei tacchi a spillo, quelle tette, quella capigliatura, quell’aria di donna umiliata dalla vita. Aveva il fascino di una domestica in libera uscita. Ava Gardner, una delle donne più belle di tutti i tempi, era troppo statuaria per avere grazia. Rita Hayworth troppo aggressiva. Sophia Loren è destituita di ogni erotismo, qualcuno, forse, la ricorderà nel tragico film Ieri, oggi, domani  dove in un négligé nero, ma con una deplorevole mutanda quasi ascellare, tenta inutilmente uno spogliarello davanti a un inerte Mastroianni. Julia Roberts è legnosa nei movimenti, può essere inquadrata solo di viso. Nicole Kidman è, a volte, una discreta attrice, ma, a conti fatti, resta una bella pupattola americana.

Il fatto è che la grazia non si concilia con la vamp. Va ricercata in ambiti più discreti. Grazia, un‘indimenticabile grazia, ha Bibi Anderson quando offre il cesto di fragole all’immalinconito Cavaliere nel Settimo Sigillo di Bergman. Ma altre bellissime del regista svedese, come Ingrid Thulin e Liv Ullmann, sono troppo intense, troppo drammatiche, per avere grazia che ha a che fare con la leggerezza. Audrey Hepburn aveva il manierismo della grazia, non la grazia, che non va confusa né con l’eleganza né con la classe in cui c’è inevitabilmente qualcosa di ricercato e di voluto. La grazia non è mentale.  È naturale. Grazia ha avuto Stefania Sandrelli – donna che ragiona, benissimo, con i cinque sensi-  finché non si è imbattuta nei film di Tinto Brass ed è diventata una culona come tante.

Grazia hanno certi monelli dall’aria ribalda. Una grazia canagliesca era del giovane Alain Delon. Grazia e garbo e simpatia aveva, da ragazzo e da vecchio, l’inimitabile Walter Chiari. La grazia di un angelo caduto aveva il divino Laurent Terzieff (Kapò, Peccatori in blue jeans, Il Deserto dei Tartari). Una sua foto in piedi, a torso nudo, glabro, con l’acqua del mare che gli arriva alle ginocchia dei jeans, mentre porta a cavalcioni, sul collo, come una bimba, una Brigitte Bardot solare, anch’essa in jeans e T-shirt bianca, è l’emblema della grazia, della giovinezza, della bellezza degli anni Sessanta e della loro innocente malizia.

Ma la sola donna dei nostri giorni sulla cui grazia mi sentirei di giurare è una giornalista di Sky, Chiara Martinoli, ulteriormente ingentilita da una deliziosa erre alla francese per cui, se mai la incontrassi, le farei dire cento volte “ramarro”.

È difficile trovare grazia anche nelle eroine della letteratura e in pittura, dove pur si può lavorare di fantasia. Nessuna grazia ha la Lucia del Manzoni, incatramata nella sua intollerabile modestia e castità. Anna Karenina è troppo signora, ed è troppo tormentata, per avere grazia. Emma Bovary troppo melodrammatica. Non ha grazia Odette de Crecy, eccessivamente concreta. Una sua misteriosa grazia ha invece Rachel o del Signore, la prostituta, ed è lo stesso tipo di grazia, legata alla sventatezza, della Bocca di rosa di De André. Una grazia astata ha l’adolescente di Cardarelli (“Non sanno le tue mani bianche il sudore umiliante dei contatti”).

Grazia ha la Venere del Tiziano ed è proprio quel movimento, pudico e malizioso, del braccio e della mano a coprire il pube, a donargliela. Una grazia antica ha La muta di Raffaello, anche perché si ha la garanzia che starà zitta. Grazia suprema, eterna, e quindi modernissima, ha l’eterea e sensuale Venere del Botticelli che, del genere, è l’assoluto.

Pur appartenendo, di norma, alla scabra e riottosa adolescenza o alla prima giovinezza, la grazia si può trovare anche in certe vecchiezze estreme che l’età ha prosciugato e rese essenziali. Perché, in definitiva, la grazia è fatta della qualità più difficile da ottenere in ogni campo: la semplicità. Che è proprio quanto il mondo contemporaneo ha perduto.

Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2023

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Qualcuno si era illuso di aver spazzato via una volta per tutte l’Isis radendo al suolo Raqqa e Mosul, le capitali dello Stato Islamico allora in mano ad al-Baghdadi. I bombardieri USA non erano bastati (è da tempo che i militari americani non mettono piede a terra) decisivo era stato l’intervento dei curdi che saranno poi ripagati sottraendo loro la città di Kirkuk, nel Kurdistan iracheno. Nel lontano 1991 sul New York Times il giornalista americano William Safire scriveva: “Svendere i curdi…è una specialità del Dipartimento di Stato americano”.

Smantellare lo Stato Islamico dove i guerriglieri Isis erano raggruppati in un territorio limitato, controllato e controllabile, uno Stato che aveva una sua socialità, diretta anche, il lettore non ci crederà, a favorire le donne durante la gravidanza, il parto, il post-parto, non è stata una buona idea. Oggi gli Isis sono dappertutto, in Pakistan, in Somalia, dove gli Shabaab hanno dichiarato la loro dipendenza dallo Stato Islamico, in Libia, in Egitto, in Tunisia e anche in Afghanistan (il 10 giugno di quest’anno c’é stato a Kabul un attacco Isis ad una moschea, che ne seguiva molti altri). Della penetrazione Isis in Afghanistan gli occidentali sono stati i principali responsabili perché i Talebani, dovendo combattere gli occidentali, non avevano forze sufficienti per battersi contro gli Isis. Inoltre gli afghani sono dei grandi combattenti ma non hanno la cultura della morte degli Isis che si fan saltare in aria come se si trattasse di accendere una sigaretta.

L’attentato dell’altro giorno in Belgio ricorda le stagioni del Bataclan, della Promenade des Anglais, del Stade de France, dell’attacco al supermercato Kosher di Parigi. Ma ha un significato del tutto diverso. Allora furono attaccati soprattutto i luoghi del divertimento degli europei, il ragionamento era questo: per decenni ci avete attaccato, ci avete bombardato, avete ucciso civili mentre voi stavate belli belli a fare i vostri apericena, drink, aperitivi, adesso assaggiate anche voi che cos’è la paura (“io vengo a restituirti un po' del tuo terrore, del tuo disordine, del tuo rumore”). Dirà Amedy Coulibaly, l’attentatore del supermercato Kosher, in un suo testamento postumo: “Tutto quello che facciamo è legittimo. Non potete attaccarci e pretendere che non rispondiamo. Voi e le vostre coalizioni sganciate bombe sui civili e sui combattenti ogni giorno. Siete voi che decidete quello che succede sulla Terra? Sulle nostre terre? No. Non possiamo lasciarvelo fare. Vi combatteremo”. Coulibaly prima dell’attentato in cui sarebbe stato sicuramente ucciso e dove si offrì volontariamente alle pallottole dei poliziotti, avvertirà la sua compagna e le dirà di rifugiarsi in Siria, sotto la protezione dello Stato islamico allora lì presente in forze. Perché anche i terroristi Isis, almeno quelli di sette od otto anni fa, hanno, per quanto ciò possa sembrare strano agli osservatori occidentali, dei sentimenti e dei comportamenti umani. Non sono proprio come i terroristi russi all’epoca dello Zar (quello vero) i “terroristi gentili” come li chiama Albert Camus, che rinunciavano all’attentato se c’era la possibilità di mettere a rischio persone che non c’entravano niente. Famoso è l’episodio di quel terrorista russo che doveva gettarsi con una bomba fra le zampe dei cavalli che portavano la carrozza dello Zar e della Zarina, ma vi rinunciò quando vide che sulla carrozza c’erano anche i figli della coppia.

Con l’attentato in Belgio e prima ancora quello a Parigi siamo lontani dal terrorismo tradizionale Isis, quello espresso da Amedy Coulibaly. È evidente che questi attentati si legano alla guerra israelo-palestinese e si inseriscono quindi in quella che ho chiamato “la guerra dei mondi” dove per il momento i terroristi di Hamas combattono contro i terroristi d’Israele a cui sarebbe bene ricordare -qualcuno l’ha fatto- che la legittima difesa non può essere sproporzionata all’offesa, come è anche nel Codice Penale italiano. Ed è inutile invocare “leggi umanitarie” che non sono mai esistite o “leggi del diritto internazionale” che nessuno rispetta più da tempo, occidentali in testa (Serbia 1999, Iraq 2003, Libia 2011).

Ha detto il presidente francese Emmanuel Macron: “La nostra Europa è sconvolta”. Ah, adesso ci viene la strizza? Nella guerra russo-ucraina, in quella israelo-palestinese, cadono, sotto armi micidiali e sempre più sofisticate, civili, bambini compresi. Perché mai l’Europa, che pur è in parte all’origine di questo terrore, dovrebbe rimanere intoccata?.

“Qui chi non terrorizza si ammala di terrore”.

Il Fatto Quotidiano, 19.10.2023

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Mi pare siano stati molto sottovalutati i bombardamenti aerei israeliani sugli aeroporti di Damasco e Aleppo. Cioè contro la Siria che è uno Stato sovrano membro delle Nazioni Unite. Bombardarla è un’esplicita dichiarazione di guerra. Inoltre la Siria ha come alleati la Russia e la Cina che sarà molto difficile tenere fuori dal conflitto. La Russia con le sue armi, la Cina con la sua potenza economica e tecnologica. Si sta quindi avverando ciò che avevo scritto sul Fatto del 11/10, e cioè che la guerra israelo-palestinese era l’inizio di una “guerra dei mondi” (l’unico vantaggio di questa guerra è che ha tolto dal centro degli obiettivi il buffone Zelensky).

Gli occidentali lamentano e si stracciano le vesti perché delle loro sofisticatissime tecnologie si sono impadroniti anche i cosiddetti “terroristi” islamici (si veda il bel pezzo di Massimo Gaggi sul Corriere del 13/10). Ma bisogna non conoscere la Storia per non sapere che prima o poi i nemici copiano e riproducono le armi con cui sono attaccati. Tutta la storia della difesa-offesa in guerra è fatta di armi micidiali, sempre più micidiali, seguendo la linea del progresso illimitato, per cui ad un’offesa si replica con una difesa altrettanto efficace. I cavalieri del Medioevo, i professionisti della guerra, di una guerra che, a differenza di quanto sta succedendo in questi anni, non coinvolgeva i civili, si opposero all’uso del fucile che  consideravano un’arma sleale perché colpiva a distanza. Naturalmente persero la partita. Oggi siamo arrivati a mischioni inverecondi dove i soldati in carne ed ossa non contano più nulla rispetto ai droni e altre sofisticatissime armi fra cui c’è in primissimo piano l’informazione / disinformazione. La guerra moderna è una guerra d’informazione, fra fake news di cui nessuno può controllare l’attendibilità e di notizie vere che chiunque può trasformare in fake. L’unico modo per orientarsi in questo guazzabuglio è mandare i giornalisti sul campo perché ciò che si vede con i propri occhi è realtà (sia pur relativa come ricorda il film Rashomon di Kurosawa). Insomma ci vorrebbero tanti Ettore Mo, ma Mo è appena morto insieme all’informazione di guerra.

Joe Biden, improvvisamente risorto dal suo catafalco, ha ammonito gli israeliani a rispettare “le leggi di guerra”, ma queste leggi, che intendevano tutelare i civili e che rimasero valide sin quasi alla fine della Seconda guerra mondiale, e che furono rispettate, a parte alcuni orrendi massacri perpetrati dalle forze speciali delle Waffen SS, anche dagli sempre infamati nazisti, non esistono più. A sfondarle per primi furono proprio gli americani con i bombardamenti indiscriminati su Dresda, Lipsia, Stoccarda che erano diretti, per la stessa ammissione dei comandi politici e militari Usa, contro i civili per “fiaccare la resistenza del popolo tedesco”. Poi vennero le Atomiche su Hiroshima e Nagasaki a chiudere la questione. Per cui la  ‘moral suasion’ dell’invalido Joe Biden, che pur essendo formalmente il comandante supremo delle forze americane fa fatica a reggersi in piedi, lascia il tempo che trova.

Eppure queste norme, chiamiamole così, “di cortesia”, sono esistite. Io stesso posso esserne testimone. Nel paesino del comasco in cui sono nato c’era una caserma con due giovanissime sentinelle. Passa il Piper inglese e lancia dei volantini in cui c’è scritto più o meno “Attenzione, guardate che tra poco bombardiamo”. Gli abitanti si affrettarono a fuggire nei boschi. I due guardiani della caserma rimasero al loro posto, erano o non erano le sentinelle? Mi sono sempre chiesto per chi e per che cosa erano morti quei ragazzi. Per Mussolini che, dopo tanta retorica sulla “bella morte”, che convinse molti ragazzi a sacrificarsi per Salò, fugge travestito da soldato tedesco? Per il Re e Badoglio che, in una confusione di bauli, di valige, di suppellettili fuggono da Roma lasciandola in balìa dell’esercito tedesco?  Non avevano capito, quei ragazzi, che onore, lealtà, dignità erano valori che non contavano più. Né in pace né in guerra. Come dimostra anche l’orrendo guazzabuglio israelo-palestinese dove, fra stragi reali e intelligenza artificiale si combatte una guerra che della guerra ha perso, insieme all’epica, anche l’etica.  

Il Fatto Quotidiano, 16.10.2023