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Con l’avvento della destra-destra-destra e in particolare sulla spinta di Forza Italia torna incredibilmente all’onor del mondo il Ponte sullo Stretto di Messina che dovrebbe unire Calabria e Sicilia, progetto che sembrava definitivamente affossato quando i 5 Stelle erano egemoni. Ma già a giugno Forza Italia aveva proposto un emendamento per convogliare fondi del Pnrr sul Ponte, opera, come ognun capisce, di strettissima attualità con tutti i problemi che abbiamo.

Quello del Ponte sullo Stretto è un progetto delirante e criminale per molti motivi, partiamo dal primo. I territori su cui dovrebbe essere appoggiato il Ponte sono sismici. Il più grande disastro naturale avvenuto nel nostro Paese in tempi moderni è stato il terremoto di Messina che provocò in Sicilia e in Calabria 120 mila morti. L’alluvione del Polesine, come ricorda sul Corriere della Sera di mercoledì Gian Antonio Stella, che fu un vero shock per l’intero Paese (io avevo undici anni e me ne ricordo benissimo) causò 108 morti, che è una cifra ragguardevole, ma siamo in ordini di grandezza a distanza spaziale.

Coloro che hanno lavorato e che ancora lavorano per il progetto del Ponte (perché questa storia parte da lontano) hanno assicurato che il Ponte sarebbe costruito con tecniche raffinatissime tali da poter reggere un terremoto. Vedremo cosa diranno quando sul terreno ci saranno altri centomila morti. Perché una struttura così pesante come un ponte a tre campate (adesso pare che siano state prudentemente ridotte a due) non può reggere un terremoto di una qualche intensità. Può farlo forse una casetta di campagna in legno, non un gigante di cemento o di qualsiasi altro materiale con cui dovrebbe essere fatto il Ponte. Poi ci sono gli imprevedibili che sempre assediano l’umano. Il ponte di Riccardo Morandi, che era un apprezzatissimo ingegnere, quasi una gloria del Made in Italy, fu costruito con tecniche avanzatissime per l’epoca ma la corrosione della salsedine lo ha fatto precipitare all’improvviso. E anche il Ponte di Messina, se non mi sbaglio, è costruito sul mare.

In seconda battuta c’è la questione ambientale. Anni fa andavo spesso a Reggio Calabria per delle conferenze o per incontrare degli amici che avevo lì o sull’Aspromonte. In genere, sbrigate le faccende, chiedevo ai miei amici, fosse estate o inverno, di portarmi a fare un bagno sullo Ionio, cioè ad est di Reggio. Ci bastavano pochi chilometri per raggiungere un litorale splendido. L’ultima volta però mi accorsi che era più di mezzora che stavamo viaggiando a coté di un litorale sassoso (non roccia, sassi) inutilizzabile per fare il bagno o per qualsiasi altra cosa. Chiesi il perché ai miei amici. “Mah, mi dissero, da un po’ di tempo ad est di Reggio hanno costruito un porto turistico”. “Bene, andiamo a vederlo”. Era delle dimensioni che può avere, appunto, un porto turistico. Molto ridotte. Ma era bastato quello sputacchio per distruggere trenta chilometri di costa. Cosa può fare un Ponte progettato per essere lungo almeno due chilometri?

Il Ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto. Ci sono anche delle resistenze psicologiche: noi siamo abituati ad avere di fronte un’isola dicono i calabresi, noi un continente replicano i siciliani.

È quasi inutile aggiungere che il Ponte sullo Stretto di Messina sarebbe un colossale regalo a Mafia e ’ndrangheta. Lo ammette, indirettamente, anche Nello Musumeci, Fratelli d’Italia, ministro per il Sud: “Nel Sud come ovunque, ormai, quando c’è un flusso di denaro le mafie alzano la testa”. E se questo avviene per flussi di denaro molto minori, non è difficile immaginare che la mafia si getterà sul Ponte dello Stretto di Messina con la voracità sanguinaria e parassita degli animali da preda.

La pelle della gente? E chi se ne frega. L’ambiente? E chi se ne strafrega. E la mafia? Oh che sfinimento di cazzo con questa storia, e poi noi con la mafia abbiamo ottimi rapporti e non ci saranno problemi.

Business is business. E poi non si dice sempre che bisogna modernizzare? Ma verrà un giorno, non poi così tanto lontano vista la velocità cui stiamo andando, in cui il termine “modernizzazione” sarà considerato una parolaccia.

Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2022

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Durante la visita del cancelliere Scholz a Pechino il presidente cinese Xi Jinping ha detto: “Spero che i rapporti tra Europa e Cina non siano presi di mira o controllati da terzi”. I “terzi” sono evidentemente gli americani. Xi ha perfettamente ragione non solo riguardo agli interessi del suo Paese, ma anche a quelli dell’Europa. È l’ora di farla finita con il cosiddetto “atlantismo” che altro non vuol dire che la subordinazione degli interessi europei, e anche italiani, allo zio Sam, com’è stato per 75 anni.

Il Novecento è stato il “secolo americano”, il Duemila sarà di altri, probabilmente la Cina, ma non solo la Cina. Gli Stati Uniti debbono rassegnarsi a non essere più gli incontrastati primi. L’Europa, e con essa l’Italia, ha il diritto di cercare, almeno cercare, di difendere i propri interessi, cosa evidente ma che non appare del tutto chiara a molti leader dei Paesi europei. Scholz è stato aspramente criticato innanzitutto per essere andato in Cina, orrore, e per soprammercato di essersi portato dietro molti imprenditori tedeschi. Che cosa doveva fare visto che la Cina è un enorme mercato in espansione? Doveva rinunciare perché gli Stati Uniti sono in conflitto economico con la Cina? La più esplicita nella critica a Scholz è stata la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock che ha affermato: “La Germania non può più dipendere da un Paese che non condivide i nostri valori”. O bella, l’Europa intera ha stretti legami con l’Arabia Saudita o l’Egitto o la Turchia, Paesi che certamente “non condividono i nostri valori”.

Il più modesto Di Maio quando era ministro degli Esteri fu massacrato per aver aperto alla “via della seta”. Fu una delle poche buone iniziative di Di Maio. Naturalmente se noi abbiamo vantaggi nel commerciare con la Cina, anche la Cina li ha nei nostri confronti. Una normale, normalissima, dialettica commerciale sempre che noi si abbia la forza e il coraggio di non passare da un padrone all’altro. Altrimenti siamo punto e a capo.

Restando in Italia un esempio palmare di come i nostri interessi non solo non coincidano, ma divergano da quelli americani, è la vicenda della raffineria Lukoil a Priolo. Per l’embargo economico alla Russia decretato dagli americani la raffineria non dovrebbe più ricevere e trattare gas russo a partire dal prossimo 5 dicembre. Per noi sarebbe un disastro: all’azienda Lukoil lavorano 1000 persone che diventano 3000 con l’indotto “ma è a rischio l’intera area industriale compresa tra Priolo, Augusta e Mellili e i suoi 10.000 posti di lavoro” come scrive sul Corriere della Sera (02/11) Giuliana Ferraino. Per buona sorte il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, mio antico sodale a L’Italia settimanale, ha promesso di metterci una pezza. Del resto non è proprio la leader del suo partito, Giorgia Meloni, a dichiarare a ogni piè sospinto che in primo piano ci devono essere gli “interessi nazionali”? E gli “interessi nazionali” non possono essere difesi se continuiamo ad essere “atlantisti”, cioè al servizio degli interessi economici e geopolitici degli Stati Uniti.

Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2022

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“Sono un italiano, un italiano vero. Lasciatemi cantare con la chitarra in mano perché ne sono fiero” (L’italiano, Totò Cutugno)

Nel 2002, poco prima di morire, Giorgio Gaber cantava “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, il disco sarà poi pubblicato postumo. Credo che oggi Gaber, che era di origine polacca, di cognome fa Gaberščik, direbbe “Io mi vergogno di essere italiano, ma purtroppo lo sono”.

Non si tratta del fatto che attualmente l’Italia è governata da una destra-destra-destra (perché non c’è nessun ‘centro’, Berlusconi, al di là delle apparenze, con il suo turbocapitalismo è il più a destra di tutti). La destra ha pari legittimità di governare della sinistra, ammesso che ci sia ancora una sinistra in questo Paese. A questo avanzo di sinistra mi permetterei di consigliare di smetterla col suo insopportabile ‘superiority complex’ che aveva forse un senso quando i leader si chiamavano Amendola, Ingrao, Longo, Secchia. Lascio fuori da questa lista Palmiro Togliatti, “il migliore”. Perché oltre che cinico fu uomo vilissimo. Si oppose in tutti i modi, naturalmente trasversali così da non apparire, a uno scambio di prigionieri fra l’Italia e l’Urss, scambio che comprendeva Antonio Gramsci, prigioniero nelle carceri fasciste dal 1926. Perché? Perché se Gramsci fosse tornato in libertà avrebbe ripreso il suo posto di segretario del Partito che nel frattempo era stato assunto da Togliatti. In un’altra occasione Vincenzo Bianco chiese a Togliatti di intervenire presso Stalin per rendere un po’ più umane le condizioni dei prigionieri dell’ARMIR rinchiusi nei lager sovietici (La spedizione dell’ARMIR fu una delle più sciagurate operazioni di Mussolini, perché i nostri soldati erano male equipaggiati per l’inverno russo, per il congelamento gli cadevano le mani e i genitali). Togliatti non osò affrontare Stalin. Allora lo fece lo stesso Bianco senza subire alcuna conseguenza, tanto che lo ritroviamo qualche anno dopo sul fronte jugoslavo. Dai “migliori” c’è sempre da aspettarsi il peggio.

Torniamo all’oggi. Ciò di cui intendo occuparmi qui non è la politica politicante, ma il livello cui si è ridotto il popolo italiano e che dà ragione alle parole di Gaber. L’Italia è un gigantesco “mondo di mezzo” che da Roma si è esteso all’intero Paese, dove è molto difficile distinguere se chi ti sta davanti è un corruttore, un corrotto o una persona per bene. Sono saltati alcuni valori che io chiamo “prepolitici, preideologici, prereligiosi”. Cominciamo con un settore decisivo che è quello dell’educazione. Quella dei docenti universitari è  una corporazione che utilizza metodi tipicamente mafiosi: io metto il tuo protetto lì e tu metti il mio protetto là. C’è voluto un docente inglese, Philip Laroma Jezzi, per smascherare questo marciume. È significativo ciò che in una telefonata un docente corrotto dice a Laroma: “Non fare l’inglese”, cioè non comportarti da persona onesta. A Firenze 22 docenti furono abbottegati per questo, ma altrove tutto continua come prima. E sono questi soggetti che dovrebbero educare i nostri ragazzi? Al massimo, oltre a dare il loro apporto culturale, in cui possono essere anche bravissimi, insegnano l’omertà.

Ma usciamo dall’ambiente universitario e prendiamo l’onestà. Negli anni del dopoguerra quando, tranne una sottile striscia di ricchissimi che però avevano il buonsenso e la prudenza di non ostentare il proprio benessere, eravamo tutti più o meno poveri, molto più poveri di quanto lo si sia oggi, gli anni insomma della mia adolescenza e della mia giovinezza, l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito (oggi è il contrario, una persona onesta, in qualsiasi ambiente, è un intralcio perché non è ricattabile, Meloni docet), per il mondo contadino per il quale violare la stretta di mano voleva dire essere emarginati dalla comunità, per il mondo proletario, in genere comunista o socialista, che aveva dei valori forti che rispettava.

In Italia abbiamo quattro mafie sempre più forti e presenti sul territorio: la Mafia propriamente detta, la ‘Ndrangheta in fortissima ascesa e che si è espansa dalla Calabria al Nord, la Camorra napoletana e la Sacra Corona Unita nelle Puglie. Ma questo sarebbe, paradossalmente, il male minore. Perché invece di essere ‘liquide’ come il “mondo di mezzo” sono strutture organizzate che volendo potrebbero essere combattute (ci provano i magistrati ma sono impigliati in una serie di leggi fintogarantiste che assicurano l’impunità al colpevole e penalizzano l’innocente). Purtroppo la democrazia trasformatasi in partitocrazia, cioè in un sistema che usa a sua volta metodi mafiosi, è troppo debole e compromessa per combattere le varie mafie. Solo un potere forte può farlo. L’unico a combattere seriamente la Mafia fu Benito Mussolini perché un potere forte non può accettare che nel suo territorio ci sia un potere altrettanto forte (è il caso di Saddam Hussein che cacciò dall’Iraq Bin Laden che si rifugiò nel Sud Sudan per poi essere chiamato in Afghanistan dal nobile Massud e dare inizio a una tragedia che il nostro lettore, credo, conosce piuttosto bene).

Nel 1943 la Mafia siciliana era strettamente legata a quella americana cui aveva dato origine, l’avevamo esportata negli States. Se notate quasi tutti i cognomi dei maggiori caporioni mafiosi americani sono italiani, da Al Capone a John Gotti a Lucky Luciano ai fratelli Angiulo. E fu questa mafia italo-americana ad aprire le porte della Sicilia agli Alleati (facendo così diventare ridicola, come tante sue frasi ad effetto, l’affermazione di Mussolini: “Fermeremo gli americani sul bagnasciuga”). Naturalmente l’Italia dovette pagare un prezzo e tutti i nostri politici, non solo il troppo bistrattato Giulio Andreotti ma anche l’integerrimo Ugo La Malfa, che aveva come suo uomo in Sicilia Aristide Gunnella, dovettero avere rapporti collusori con la Mafia. Non è stato un buon modo di cominciare.

Poi ci sono stati altri fattori, sociali e culturali, soprattutto nell’ambito della comunicazione. Non parlo qui della prima tv del democristiano Ettore Bernabei che fu un’ottima tv, dirigista certamente ma che forniva nell’ambito culturale e dell’intrattenimento degli ottimi programmi. Poi venne il pluralismo e la spartizione cencelliana dei posti in Rai. Infine il berlusconismo ha fatto piazza pulita della cultura, dei valori e soprattutto dell’etica. La gazzarra cui assistiamo oggi in Rai ne è un ultimo esempio. Ecco la Rai potrebbe essere presa a paradigma dell’Italia e dell’italiano di oggi, insieme ai social dove dominano gli haters e la stupidità più becera.

Mi vergogno di essere italiano.

Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2022