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Caro Direttore,

come sai il Corriere della Sera ha celebrato con un numero speciale i 140 anni della sua storia. Che potrebbe essere riassunta in poche parole: fu sempre un giornale governativo. Particolarmente imbarazzato è l’articolo, a firma di Dino Messina, che parla della Resistenza all’interno del Corriere della Sera. Questa Resistenza fu una cosa minima ma ci fu. E due ne furono i protagonisti che cito non in ordine alfabetico ma per l’importanza del ruolo che ebbero: Benso Fini e Gaetano Afeltra. Curiosamente il nome di mio padre non compare in questa cronaca, quello di Afeltra viene appena sfiorato mentre vengono citati giornalisti che con la Resistenza all’interno del Corriere non ebbero nulla a che fare.

Leggiamo la testimonianza di un testimone del tempo, quella di Emilio Radius che stava sulla barricata opposta dei collaborazionisti (Gli anni drammatici capitolo inserito in Cinquant’anni di giornalismo, Editore Guido Miano). Radius sta parlando dell’ultimo direttore ultrafascista del Corriere, Ermanno Amicucci e così scrive: “Sapeva (Amicucci, ndr) che nell’interno del giornale esisteva un nucleo o cellula del Comitato di Liberazione in contatto con altre cellule? E che ne era segretario o fiduciario Benso Fini? Anche Fini era un giuocatore. Ma un piccolo giuocatore che pelava i fascisti senza farli strillare. Andava e veniva da Milano a Canzo e da Canzo a Milano con la sua logora cartella di piazzista della Liberazione, attento a dove metteva i piedi e con chi parlava, a che cosa diceva, a che cosa dicevano gli altri. Miope, pareva non vedere né nemici né amici. Faceva della cospirazione come si fa della contabilità. Destava sospetti meno di chiunque altro. Sfiorava le reti di tante polizie, senza inciamparvi mai. Al giornale sbrigava il suo lavoro con destrezza e rapidità, teneva i contatti con l’interno e con l’esterno... Con ciò, idee chiare sulla situazione, sui suoi sviluppi prossimi e lontani, sulla conclusione di quell’altra ed estrema avventura. Speranze non eccessive, nessuna infatuazione, nessun rancore. Si sarebbe anche detto, nessuna paura… Rischiò con circospezione per un anno e mezzo; e gli andò bene. Distingueva perfettamente i colleghi che la pensavano come lui da quelli che, pur non avendo le stesse idee, non lo avrebbero denunciato in nessun caso e da quelli, pochi o pochissimi, di cui doveva invece diffidare… Il Fini con la sua logora cartella non era solo nella notte”.

Nel libro di Radius c’è un altro episodio interessante. Aldo Palazzi, amministratore del Corriere, aveva stretto un accordo segreto col CLN, come molti altri grossi personaggi che, intuendo che il Fascismo era alla fine, stavano cambiando campo (si pensi, come esempio per tutti, agli Zorzi Vila, grandi proprietari terrieri riparati al momento opportuno in Svizzera da dove finanziavano il CLN, come ci racconta Antonio Pennacchi nel suo splendido Canale Mussolini). Ma pochi sapevano di quell’accordo segreto. Racconta ancora Radius: “Palazzi per poco non fu fucilato. Fini, Afeltra e Fallaci accorsero a strapparlo dalle mani degli uomini che lo avevano arrestato… Fini, Afeltra, Fallaci (lo zio dell’Oriana, ndr) erano al centro di quell’agitazione”.

La più stringata e meno emotiva cronaca pubblicata nel volume Storia del Corriere della Sera edito da Rizzoli nel 1976, a cura di Glauco Licata così si esprime: “A Milano era frattanto tornato Benso Fini, che dal 1933 al giugno del 1940 aveva lavorato presso la redazione di Parigi del giornale e che, dopo l’8 settembre, operò nel Corriere per la Resistenza… Quanto ai redattori era rimasto sì qualche antifascista dopo le fughe avvenute nel settembre 1943, ma salvo poche eccezioni non risulta che vi siano stati giornalisti impegnati nella Resistenza all’interno del Corriere. Chi fece qualcosa furono Benso Fini, Fiorio e Poch”. Scrive ancora Licata parlando degli ultimissimi momenti del regime fascista: “Il telefono di redazione comincia a squillare. Ordine di non rispondere. Il trillo continua lamentoso e infonde inquietudine e fastidio; non lo si può sopportare. Benso Fini si avvicina all’apparecchio, stacca il ricevitore. ‘Qui parla un fattorino del Corriere’, dice. E dall’altro capo del filo, da Como, è il ministro Mezzasoma che parla: ‘Tutto calmo a Milano? E Amicucci?’. ‘Scappato’. Altri nomi di giornalisti fascisti. ‘Scappato, scappato’, ripete Fini. ‘Buona notte’. Sarà questa una delle sue ultime telefonate prima di Dongo”.

Messina dedica giustamente una parte importante a Mario Borsa che fu il primo direttore del Corriere dopo la Liberazione. Ma anche lui, in quei momenti convulsi del passaggio da un regime a un altro, ebbe bisogno della protezione e dell’avallo di Benso Fini. Radius: “ Palazzi tornò con la sua automobile. Da un’altra macchina, una Topolino, scesero contemporaneamente davanti al giornale Benso Fini e un gran vecchio diritto, Borsa”. Comunque fu sotto la direzione tecnica di Benso Fini che fu pubblicata, al nord, la prima edizione dell’Unità dell’Italia liberata.

Benso Fini, che era un uomo estremamente pudico e riservato, non si vanterà mai della sua partecipazione alla Resistenza a differenza di tanti altri che la Resistenza non la fecero affatto, né al Corriere né altrove. La ricompensa a questa riservatezza è il silenzio che oggi si cala su di lui. C’è anche da tener presente che Benso Fini era in una posizione particolarmente delicata, perché sua moglie era ebrea e, più anziano degli altri, aveva due figli piccoli. Ma questo non incise sulla sua determinazione di antifascista, pagata, fra l’altro, con quindici anni di esilio.

Rispettando la riservatezza di mio padre io, in quarant’anni di carriera, non ho mai parlato del suo ruolo nella Resistenza. Ma adesso questa sorta di damnatio memoriae del tutto ingiustificata che colpisce mio padre (come per decenni ha colpito me da quelli che tu, Marco, chiami ‘i giornaloni’, ma io, allo stato, sono ancora vivo e mi posso difendere) mi manda fuori dai gangheri.

Caro Marco, capisco bene che una storia del genere può interessar poco o pochissimo i lettori del Fatto. Ti ringrazio, sensibile come sei sempre alla verità, di averla, nonostante tutto, pubblicata.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2016

 

 

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Una volta Edoardo Amaldi, che se ne intendeva perché era uno dei creatori della Bomba atomica, mi disse: “Non c’è niente da fare: l’uomo se può fare una cosa prima o poi la fa”. E’ il tema centrale posto da Grillo nel suo articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 1° marzo, peraltro per il resto assai confuso e caotico perché affastella troppe cose.

Quindi la domanda è: l’uomo deve fare tutto ciò che la Scienza tecnologicamente applicata gli permette di fare? La risposta che la società moderna dà a questa domanda è sostanzialmente affermativa. Ma non è stato sempre così. I Greci, grazie a Pitagora a Filolao e ad altri straordinari scienziati e pensatori, avevano una teoria della meccanica che gli avrebbe permesso di costruire macchine molto simili alle nostre. Ma non lo fecero. Perché intuivano o capivano che andare a modificare e replicare la Natura è pericoloso. Parlando con i loro termini esprimevano così questo concetto: l’ubris, cioè il delirio di onnipotenza dell’uomo, provoca la fzònos Zeon, l’invidia degli Dei e quindi la conseguente punizione. Sul frontespizio del Tempio di Delfi era scritto: “Mai niente di troppo”. Avevano conservato il senso del limite. Ma perfino Bacone, che è considerato uno dei padri della rivoluzione scientifica, afferma: “L’uomo è il ministro della Natura ma alla Natura si comanda solo obbedendo ad essa”.

Noi è proprio questo senso del limite che abbiamo perso e che ci perderà. Per restare al tema che è attualmente in discussione quello della “maternità surrogata” (l’onorevole Marzano ci dice che il termine corretto è “gestazione per altri”- è tipico di questa società bizantina credere di poter cambiare le cose cambiando le parole) ma il discorso potrebbe estendersi a tantissimi altri ambiti, come le ricerche sul Dna, la pretesa di trovare l’origine della vita, eccetera, è certo che nel campo della procreazione faremo parecchi passi avanti sulla strada della cosiddetta ‘modernizzazione’, come la possibilità di una donna di autofecondarsi prendendo gli elementi essenziali dell’embrione dal proprio corpo (su questo punto la ricerca è già molto avanzata).

Ha ragione Grillo: gli orrori del presente, partoriti dalla mente dei vari Frankenstein, non sono che un pallido fantasma di ciò che ci aspetta nel futuro. I ‘secoli bui’ non sono quelli che, riferendosi al Medioevo, vengono definiti tali. I ‘secoli bui’ sono quelli che stiamo vivendo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2016

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Nel regolare le ‘unioni civili’ il governo si è trovato di fronte a questioni strettamente legate e quasi inestricabili. 1. Adozioni. Ammetterle o no anche per le coppie omosessuali? 2. Matrimonio. Ammetterlo o no anche per gli omosessuali? 3. Regolamentazione dei diritti civili delle coppie di fatto omo ed etero.

Se si fosse adottato il principio della legittimità dell’adozione anche per le coppie omosessuali tutto sarebbe stato risolto. Perché questo avrebbe comportato la logica conseguenza del diritto di queste a sposarsi con rito civile con tutti i diritti e i doveri che ciò comporta ex Art.143 e seguenti (Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio) e quindi anche l’adozione. Non sarebbe stato nemmeno concepibile una sorta di matrimonio monco cioè senza il diritto della coppia di adottare. Il matrimonio è o non è.

Ma l’adozione da parte di coppie omosessuali, che è il nodo cruciale di tutta la faccenda, suscita parecchie perplessità, non solo da parte cattolica e confessionale ma anche laica. E’ fuori discussione che ognuno ha diritto di agire la propria sessualità come meglio crede o istinto e desiderio gli detta. Ma questo indiscutibile diritto nel caso di adozione si scontra col diritto di un terzo soggetto, l’adottando. In linea di principio, o se si preferisce per legge di natura, un bambino ha diritto di avere, almeno sulla linea di partenza, un padre e una madre. Il leader dell’Ncd, Angelino Alfano, si è espresso goffamente quando a proposito della bocciatura di parte della legge Cirinnà ha detto “Abbiamo impedito pratiche contro natura”. Avrebbe fatto meglio a dire “pratiche al di fuori della natura”. Ma Alfano non intendeva certamente dire che l’omosessualità è una pratica ‘contro natura’ o ‘al di fuori della natura’. L’omosessualità esiste anche nel mondo animale e in ogni caso anche l’uomo fa parte della natura. Intendeva dire che ‘al di fuori della natura’ sono i figli di una coppia omosessuale. Un leone può andare con un altro leone invece che con una leonessa ma da questo rapporto non può nascere un leoncino. E’ una cosa che in natura non si dà. E’ ‘fuori dalla natura’.

C’era poi la fondata preoccupazione che l’adozione da parte delle coppie omosessuali spalancasse le porte alla pratica, tanto omo che etero, del cosiddetto ‘utero in affitto’ che peraltro la legge Cirinnà espressamente esclude. Nel caso di ‘utero in affitto’ siamo di fronte a una doppia distorsione o se si vuole aberrazione. Non solo il bambino nasce senza un padre e una madre naturali perché quella naturale, la sua vera madre, è esclusa dalla coppia. Ma siamo di fronte alla mercificazione totale del corpo della donna usato solo come recipiente e alla negazione della sua affettività ed emotività perché lei quel bambino, che ha portato in grembo per nove mesi, non lo vedrà mai o se lo vedrà sarà solo per gentile concessione della coppia adottante, etero od omo che sia. Né sono d’accordo con chi giubila perché in questi casi è comunque “nato un bel bambino”. Un “bel bambino” può nascere anche da uno stupro ma ciò non sana la violenza che gli sta a monte.

Il governo aveva poi scelto una soluzione intelligente, la cosiddetta stepchild adoption nel caso che in una coppia omosessuale uno dei componenti abbia un figlio. Qui siamo fuori dall’adozione ‘tout court’, perché un figlio già c’è e vive in una famiglia. Ed è quindi ragionevole che anche l’altro partner della coppia assuma nei suoi confronti i diritti e i doveri del genitore. Purtroppo qui il governo si è scontrato con l’estremismo della parte più confessionale della politica e della popolazione ed è stato costretto a stralciare, almeno per il momento, la stepchild adoption. Tuttavia ha portato a casa alcuni buoni risultati. Ora, le coppie omosessuali hanno, adozione a parte, tutte le coperture del matrimonio: assistenza sanitaria, reversibilità della pensione, eredità del partner, assistenza ospedaliera e penitenziaria, diritto all’accesso ai mutui e agli sconti famiglia (per le coppie di fatto etero il problema non si pone perché se vogliono tutti i diritti e i doveri del matrimonio non hanno che da sposarsi, cosa che per gli omosessuali è attualmente impossibile). Se la politica è ‘l’arte del possibile’ sarebbe giusto riconoscere a Renzi di aver ottenuto il massimo passando per la difficilissima strettoia di due opposti estremismi, quello confessionale e quello laico.

Non mi è piaciuta nemmeno l’aggressione di cui è stato oggetto Alfano, ricordandogli le sue pecche passate o presenti. Un’argomentazione si confuta con un’altra argomentazione e non demonizzando l’interlocutore per quello che ha fatto in altri campi. Non è che se un criminale fa una affermazione giusta questa diventa meno giusta perché chi parla è un criminale.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2016