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L’uomo occidentale sembra aver perso "un centro di gravità permanente" (e forse anche istantaneo). E' una sorta di spappolamento generale. Gli individui hanno smarrito qualsiasi punto di riferimento che non sia la loro frustrazione e la ricerca di compensarla in un modo o nell'altro, in qualsiasi modo. In Occidente avvengono stragi, singoli omicidi, suicidi che non trovano altra giustificazione che in uno stato di depressione profonda e generalizzata. Penso ai massacri che con sempre maggior frequenza avvengono nei college americani o nelle feste di adolescenti, penso al pilota tedesco Andreas Lubitz che, per motivi personali, si è suicidato in grande stile portando con sé centinaia di morti. Ma penso pure, e forse soprattutto, alla serie di omicidi famigliari, accompagnati spesso dal suicidio di chi li compie (mariti o fidanzati che ammazzano le loro compagne, i figli e poi si tolgono la vita, ma avviene anche il contrario sia pur in percentuale minore) che costellano ogni giorno le cronache, non solo italiane ma europee, o agli omicidi per banali liti condominiali commessi da persone all’apparenza normalissime.
C'è qualcosa di marcio nel regno di Danimarca ed è tanto più inquietante perché sembra legato al totem della modernità: quel benessere sempre inseguito, tanto agognato, spesso raggiunto. I paesi più ricchi, più regolati, con i migliori welfare, cioè i paesi scandinavi, hanno il più alto tasso di suicidi in Europa, così come il Giappone, che ha ripreso in pieno il modello occidentale, ha in questo campo il primato assoluto, mentre nella Cina del boom il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani e la terza tra gli adulti. La globalizzazione occidentale non globalizza solo economia, socialità, modelli e stili di vita ma depressioni, nevrosi, frustrazioni, anche in culture che fino a poco tempo fa c'erano lontane ed estranee.

Suicidi, omicidi, stragi che non sembrano avere alcuno scopo è questa la vera epidemia in Occidente che ci dovrebbe far riflettere e che dovremmo combattere, più dell’Isis, e invece, in fuga perenne dalla realtà, cerchiamo di rimuovere, come tutto il resto, rifugiandoci nella frenesia collettiva di Pokemon Go. 

La malattia che ci ha colpito è una profonda mancanza di senso. Nella jihad questo senso c’è, per sbagliato che sia, noi lo abbiamo perduto. Il nostro è un uccidere e morire, e spesso un vivere, per il nulla, per il niente. Anche al di fuori degli straordinari giochi che ci siamo inventati la nostra sembra sempre più un’esistenza vissuta nel virtuale e fuori dalla realtà.

Non è la presenza di conflitti anche feroci il problema, questa è la vita ("gli uomini non sanno come ciò che è discorde è d'accordo con sé" dice Eraclito) ma la loro assenza in quello che noi chiamiamo Occidente. Per quanto possa sembrare paradossale il dirlo, e dirlo proprio in questo momento, a noi occidentali occorrerebbe una guerra, ma una vera guerra non macchine contro uomini come quelle che stiamo conducendo, per restituirci una gerarchia delle priorità e il senso del valore della vita propria e altrui.


Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2016

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Tutti presi da ciò che avveniva in Europa i giornali occidentali hanno sottovalutato, e a volte semplicemente ignorato, ciò che negli stessi giorni accadeva in Afghanistan. Il 23 luglio migliaia di manifestanti sciiti che protestavano per la mancanza di elettricità sono stati vittime di un attentato kamikaze che ha fatto oltre 80 morti e almeno 250 feriti. L’Isis ha rivendicato l’azione. I Talebani afgani (troppo spesso confusi, per ignoranza o perché fa comodo, con quelli pachistani che sono tutt’altra cosa) non solo hanno negato ogni loro coinvolgimento ma hanno condannato il massacro senza se e senza ma come già avevano fatto per l’attentato, avvenuto in Pakistan nel dicembre del 2014, a una scuola frequentata dai figli dei militari pachistani. Non è affatto vero che, come scrive Michele Farina sul Corriere, quella fra Talebani e l’Isis è “una gara al massacro più grande”. Perché si tratta di movimenti diversi con obbiettivi altrettanto diversi e che combattono in modo diverso. 1) I Talebani nei sei anni in cui sono stati al governo non hanno mai perseguitato gli sciiti, gli Hazara o altre minoranze etniche o religiose. Quello che chiedevano, come lo chiede ogni Stato, è che tutti rispettassero la legge. 2) I loro attacchi terroristici o kamikaze, profondamente estranei alla tradizione afgana ma a cui i Talebani sono stati costretti dal fatto di non avere di fronte un nemico in carne e ossa ma solo caccia e droni, sono sempre stati mirati a obbiettivi militari e politici cercando di coinvolgere il meno possibile i civili, per la semplice ragione che è grazie all’appoggio della popolazione, o di buona parte di essa, che hanno potuto resistere per 14 anni a un nemico tanto superiormente armato. Ovviamente ci sono stati anche ‘effetti collaterali’, ma nulla di paragonabile a quelli provocati dagli indiscriminati bombardamenti americani e Nato (circa 200 mila vittime secondo alcune stime). 3) Quella dei Talebani è una guerra di indipendenza contro l’occupante straniero che non ha altro obbiettivo che liberarsene, la loro non è una guerra di religione e non ha niente a che vedere con le mire espansionistiche e globali dell’Isis. E’ anche per questo -e non per avere una sorta di ‘primazia nei massacri’ come scrive Farina- che i Talebani, pur sunniti, sono acerrimi nemici dell’Isis, che sul mondo sunnita ha issato la sua bandiera nera, lo hanno sempre combattuto e tuttora lo combattono. Ne fa fede l’ultimo atto del Mullah Omar prima della morte: una lettera aperta ad Al Baghdadi in cui intimava al Califfo di non cercare di penetrare in Afghanistan, aggiungendo inoltre che stava “pericolosamente dividendo il mondo musulmano”. Insomma erano un argine all’Isis. Se è vero che l’Isis “è il più grave pericolo per l’Occidente sorto dopo la fine della seconda guerra mondiale” come scrissi quando si chiamava ancora Stato dell’Iraq e del Levante, cosa di cui ora tutti, un po’ tardivamente, sembrano accorgersi, gli occidentali se avessero avuto non dico un minimo di lungimiranza ma di puro buon senso, avrebbero dovuto considerare i Talebani come degli alleati indiretti e allentare la presa su di loro invece di continuare a massacrarli. E’ ovvio che adesso i Talebani, stretti nella morsa delle forze occupanti e dei guerriglieri di Al Baghdadi, persa la guida del Mullah Omar che con il suo prestigio li compattava, e anche quella del suo ‘numero due’ Mansour, ucciso da un drone americano, cedano terreno di fronte all’Isis come dimostra l’attentato di Kabul e che è molto probabile che, come ho previsto, in breve il Califfato prenda il loro posto in Afghanistan. Il che apre ad altre insidie. Perché da lì l’Isis può puntare sul Turkmenistan, Uzbekistan e altre regioni dell’Asia centrale dove sono presenti forti componenti islamiche pronte a farsi radicalizzare. Sembra che in quindici anni le leadership occidentali non abbiano ancora imparato nulla dai loro errori (e orrori).

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 luglio 2016

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“Non mi accontento. Do il massimo. Sempre. E’ il mio stile. Se sono le azioni a fare un uomo, sono io l’uomo di oggi. Un uomo non si accontenta. Rimani concentrato, mi dico. Sei un uomo. Più di una stretta di mano o di un lavoro ben fatto, fanno la disciplina e l’impegno vissuto ogni giorno. Giudica dai fatti. Sii fedele a te stesso. Questo fa di me un uomo di successo. Questo fa di me l’uomo di oggi. Boss bottled, la fragranza maschile di Hugo Boss”. Basterebbe questa pubblicità per capire che fine faremmo se si avverasse sul serio, a livello globale, quello ‘scontro di civiltà’ preconizzato da Huntington già nel lontano 1996. L’uomo occidentale, l’uomo Hugo Boss, l’uomo d’oggi, profumato, deodorato, azzimato, sbarbato, levigato, depilato (ma dove sono finiti i nostri ragazzi che negli anni Cinquanta sulle spiagge ostentavano un petto villoso, sia pur accompagnato da una deplorevole medaglietta della Madonna?) è completamente svirilizzato. Non è un uomo, ma la sua parodia. Noi non siamo più in grado di fare la guerra. Usiamo droni, dardo, predator, bombardieri, satelliti dagli occhi acutissimi ma non abbiamo più il coraggio di scendere sul terreno. Tant’è che nella guerra all’Isis siamo costretti a farci difendere dai peshmerga curdi e dai pasdaran iraniani che certamente non si profumano Hugo Boss. E nonostante tutto questo apparato tecnologico non riusciamo a sconfiggere un pugno di poche migliaia di guerriglieri, così come non siamo riusciti a piegare i resistenti afgani, che non si deodorano anzi puzzano, con bombardamenti assassini che durano da più di quattordici anni.

Inoltre non facciamo più figli. E non è solo per una questione economica, le popolazioni musulmane sono molto più povere di noi e figliano a carrettate. Il fatto è che l’uomo etero-light, come lo ha chiamato la collega Silvia Truzzi, troppo impegnato a guardarsi allo specchio non ha tempo per scopare o se lo fa ne è subito estenuato. Dall’altra parte le nostre donne, abbagliate dal mito tecnologico dell’eterna giovinezza, aspettano così tanto per far figli che, quando ci riescono, partoriscono al massimo dei nipoti. In più in Occidente il rapporto uomo-donna, per ragioni complesse che sarebbe troppo lungo cercare di spiegare in questo breve articolo, è diventato così difficile e complicato che i maschi preferiscono darsi all’omosessualità, cosa legittima ma, com’è noto, i figli non nascono dal didietro. E così l’età media dell’uomo occidentale supera la quarantina (quella italiana è del 42,5, quella tunisina del 32, su quella dei guerriglieri di Al Baghdadi non abbiamo statistiche ma da ciò che si legge dovrebbe essere intorno ai 24 anni com’era quella dei Talebani quando iniziarono la loro vittoriosa avventura per conquistare l’Afghanistan).

Vecchi, azzimati, esangui, spossati, infiacchiti dal benessere, privi di passione e di entusiasmi quanto di coraggio, come faremo ad affrontare questi altri che saranno anche ‘brutti, sporchi e cattivi’ ma han dalla loro la giovinezza, l’ardimento e una fiducia forsennata nel loro Dio?

Le cose sono due. O la smettiamo con queste stronzate-Hugo Boss e torniamo a essere degli uomini o invece di bombardare inutilmente i nostri nemici li innaffiamo con una tal quantità di profumi in modo da renderli simili a noi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 1 luglio 2016