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Quando si parla di Talebani si fa una certa e voluta confusione fra talebani afgani e quelli pakistani. Sono due movimenti diversi, che operano in realtà radicalmente diverse, che hanno mentalità diverse. I talebani afgani, guidati dal Mullah Omar, dopo l'invasione americana-Nato del 2001, si battono contro l'occupazione dello straniero in una guerra che dura da 13 anni. In Pakistan non c'è un'occupazione straniera, ma una guerra civile fra gruppi integralisti e il governo di Nawaz Sharif. Diversa è anche la mentalità. Gli afgani, talebani o no, non sono mai stati terroristi. Sono stati costretti a diventarlo, e solo all'interno del proprio Paese, dopo l'occupazione americana. Nel 2006 i comandanti militari talebani chiesero un incontro al Mullah Omar e gli dissero: «Noi non possiamo continuare a combattere con le abituali tecniche di guerriglia, perché di fronte abbiamo un nemico invisibile e irraggiungibile: gli americani usano solo l'aviazione e i droni». Chiesero quindi l'autorizzazione a utilizzare anche metodi terroristi. Omar, in linea di principio, era contrario. Perché l'attentato terrorista, per quanto mirato, provoca inevitabilmente vittime fra i civili e di tutto hanno bisogno i talebani afgani tranne che di alienarsi le simpatie della popolazione sul cui sostegno si basa la loro lotta di resistenza all'occupante straniero. Comunque alla fine, di fronte all'evidenza, dovette cedere alle richieste dei suoi comandanti e autorizzò il terrorismo ma solo contro obbiettivi militari e politici. E così è stato, in Afghanistan. Attacchi come quello perpetrato tre giorni fa dai talebani pakistani di Tehrik-i-Taliban Pakistan che ha ucciso ragazzini e bambini, sia pur di una scuola militare e figli di militari, non si sono mai visti in Afghanistan. Il portavoce del Mullah Omar, Zabihullah Mujahid, ha condannato senza mezzi termini questo eccidio: «L'Emirato islamico d'Afghanistan è scioccato da quanto è avvenuto e condivide il dolore delle famiglie dei bambini uccisi nell'attacco». Dichiarazione opportunamente occultata, che io sappia, da tutta la stampa dell'Occidente (con l'eccezione virtuosa di RaiTre) che ha interesse a fare di tutta l'erba un fascio per nascondere la guerra infame che sta conducendo in Afghanistan dove le vittime civili per i bombardamenti Nato, fra cui moltissimi bambini, si contano a centinaia di migliaia.

Tuttavia un legame fra quanto accade oggi in Pakistan e il movimento di liberazione talebano in Afghanistan c'è. Il 5 maggio del 2009 gli americani, convinti che i leader talebani si nascondessero nelle zone montuose a cavallo fra Afghanistan e Pakistan convinsero, o piuttosto costrinsero, il corrottissimo presidente del Pakistan Asif Ali Zardari, a lanciare un'offensiva devastante contro la valle di Swat, pakistana. I profughi furono due milioni. I morti non calcolati e incalcolabili (I giornali occidentali titolarono «Due milioni in fuga dai Talebani» mentre invece fuggivano dalla violenza dell'esercito pakistano). Di recente lo stesso copione si è ripetuto, anche se i profughi questa volta sono stati 'solo' un milione. Posto che è assolutamente turpe colpire dei bambini, si può capire, anche se in alcun modo giustificare, quanto ha detto il portavoce di Tehrik-i-Taliban Pakistan, Omar Khorasan: «E' la nostra risposta alle vostre aggressioni che ammazzano i nostri figli, le nostre donne, distruggono le nostre case. Adesso anche voi proverete un poco del nostro dolore».

Oggi tutte le 'anime belle occidentali' si sdegnano per i bambini assassinati a Peshawar. Avrebbero un minimo di credibilità se si fossero sdegnati almeno una volta, una sola, per le migliaia di bambini assassinati, per mano nostra, in Afghanistan o per quelli uccisi, su nostro ordine, dall'esercito pakistano in Waziristan. E a questo proposito voglio ricordare che durante la seconda guerra mondiale gli americani buttarono su Berlino, Dresda, Lipsia delle 'bombe giocattolo', in realtà delle mine su cui i bambini tedeschi, curiosi, si avvicinavano saltando per aria. La cultura superiore.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 19 dicembre 2014

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Non ho mai avuto alcuna considerazione per Giorgio Napolitano (definito a suo tempo, da qualcuno, «coniglio bianco in campo bianco») e in questo senso ho scritto più volte e in particolare in un articolo pubblicato su Giudizio Universale nel giugno del 2006, quando fu eletto Presidente della Repubblica, poi rieditato in un libro di Chiarelettere del 2010. Ma questa volta l'anziano Presidente, da sempre cauto, cautissimo, cosa a cui deve la propria longevità politica, pare aver perso la testa. In un momento in cui l'Italia è nel pieno del più grave scandalo della sua Storia, che pur è un sequel di scandali, colpita da un fenomeno criminale-politico che è più pericoloso e inquietante della mafia, perché la mafia è perlomeno un cancro individuato e, almeno teoricamente, circoscrivibile, mentre qui siamo in presenza di una serie di metastasi incontrollabili che attraversano l'intero Paese (in questo senso va intesa la contestatissima affermazione di Grillo «era meglio la mafia») Napolitano che fa? Non indica come prima emergenza del Paese la corruzione politico-criminale, ma «l'antipolitica che in Italia è ormai degenerata in una patologia eversiva», con un chiaro riferimento al Movimento 5 Stelle, che di tutto può essere accusato tranne che di corruzione. E' anzi l'unico partito che ha restituito 42 milioni che pur, per legge, gli spettavano. Grillo ha replicato: «Napolitano stia attento, rischia che lo denunciamo per vilipendio del Movimento». Ma non è questo il punto. Napolitano ha violato il proprio dovere costituzionale di imparzialità. Il Presidente della Repubblica, che rappresenta tutti i cittadini, non può prendere parte contro un movimento presente in Parlamento e che oltretutto, allo stato, è il primo partito, il più votato con i suoi 8 milioni 688 mila 231 voti. Napolitano dovrebbe essere semmai denunciato per 'alto tradimento'.

Ma perché mai il movimento di Grillo sarebbe 'eversivo'? Perché «nel biennio alle nostre spalle hanno fatto la loro comparsa metodi e atti concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola e autorità». Nessuno meglio di Napolitano può sapere, perché c'era, che quando in Parlamento sedevano i comunisti le botte e le scazzottature, con il capintesta Pajetta, erano all'ordine del giorno (naturalmente Napolitano, che non è mai stato uomo di passioni, a quelle zuffe non partecipava, come quando era ragazzo preferiva stare ai bordi del campo).

Ma l'affermazione più inquietante di Giorgio Napolitano è quando dice che di questa situazione 'eversiva' portano «pesanti responsabilità anche alcuni mass media e opinionisti senza scrupoli». Qui siamo in pieno regime fascista o, peggio, stalinista quando ogni critica era considerata «un'attività oggettivamente antipartito» e quindi meritevole di purga, come Napolitano che di quegli orrori fu a conoscenza e, per la sua parte, complice, non può non sapere.

Napolitano afferma anche che «serve una scossa civile che spinga i cittadini a reagire». Se ci sarà una 'scossa civile' si dirigerà proprio contro quella politica in cui Napolitano è incistato da quando esiste. Questo non è fare dell' 'antipolitica', ma volere un' 'altra' politica, democraticamente. Ma se la politica persevererà nel derubare sistematicamente i cittadini verrà il giorno in cui la gente, grazie anche alle provocazioni di Napolitano, perderà la pazienza. E non sarà una 'scossa'. Sarà rivolta. Né civile, né democratica, né indolore.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2014

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Il premier Matteo Renzi, dopo il marciume emerso dalle inchieste della procura di Roma che vede coinvolti amministratori del Pd, di ieri e di oggi, della destra politica e criminali cosiddetti comuni che solo a sentirne il linguaggio un uomo con responsabilità pubbliche dovrebbe tenersi a distanza di sicurezza, ha deciso di commissariare il Pd della Capitale. Per dare un segno di rinnovamento morale. Peccato che solo il giorno dopo il Senato, con il voto determinante dei parlamentari Pd, abbia respinto la richiesta del Tribunale di Palermo di poter utilizzare delle intercettazioni telefoniche di Antonino Papania ex senatore dem coinvolto in gravi reati di corruzione. Finché si scherza si scherza, finché si parla si parla, ma poi quando si arriva al sodo, e cioè alla concreta possibilità che un politico possa finire nei guai, la classe politica, se appena ne ha la possibilità grazie alle innumerevoli guarentigie giudiziarie di cui gode, si ricompatta immediatamente e si chiude a testuggine a difesa di quei privilegi. Ne è riprova che quello stesso giorno il Senato non ha autorizzato l'utilizzo di intercettazioni riguardanti il presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama, Antonio Azzolini (Ncd), anch'elli indagato per corruzione, con il voto del Pd, di Forza Italia, della Lega e dello stesso Ncd.

A botta calda, nei giorni dell'esplodere dello scandalo, Renzi ha dichiarato che, per carità, «le inchieste devono andare fino in fondo», ma ha anche ammonito i magistrati che «i processi devono essere veloci». Ma come fanno a «essere veloci» se sono almeno vent'anni, da Mani Pulite in poi, che gli amichetti parlamentari di Renzi aggiungendosi a quelli di Berlusconi stanno inzeppando il Codice, soprattutto per i reati contro la Pubblica Amministrazione, cioè i reati di corruzione, quelli commessi dai 'colletti bianchi', di un tal numero di norme cosiddette 'garantiste' che è quasi impossibile portarli a termine? E' il solito, sporco, giochetto: da una parte si fanno leggi impossibili, dall'altro si accusano i magistrati di applicarle.

Adesso Renzi annuncia -si sa che il suo è il governo dei tweet- misure severe anticorruzione: innalzamento delle pene minime, allungamento dei termini di prescrizione, minori agevolazioni nei patteggiamenti. «Io voglio che questo sia un segno che l'Italia è cambiata» dice il premier. In realtà è solo fumo negli occhi per placare, sul momento, l'esasperazione montante dei cittadini che si vedono quotidianamente derubati da questi farabutti politici o politici farabutti (chiamarli mafiosi è fare un torto all'Onorata società) mentre loro, i cittadini, sono massacrati se ritardano un pagamento Equitalia. Fumo negli occhi è il commissariamento del Pd romano di cui peraltro non ci potrebbe importar di meno poiché è un'associazione privata. Come, per lo stesso motivo, non ci importa nulla che Alemanno si sia autosospeso dai suoi incarichi in Fratelli d'Italia (se Gianni Alemanno vuole recuperare la dignità che aveva quando lo conobbi ragazzo, sinceramente tormentato, si dimetta da parlamentare). Ma fumo negli occhi sono anche le 'grida' che Renzi ha annunciato. Perché devono comunque passare al vaglio di un Parlamento di corrotti, di corruttori, di corruttibili che difficilmente le approverà così come sono. E comunque dovessero anche passare integralmente, verranno in seguito rese inservibili da altri provvedimenti. Come puntualmente avviene da decenni. Poi ci sarà un nuovo scandalo che farà scordare il precedente. E tutto finirà nel dimenticatoio.

Non c'è nessuna 'nuova Italia' risorgimentale. C'è la solita, sempiterna, Italia dei furbastri, dei furvi e dei furbissimi. Oggi veste Fonzie al posto del doppiopetto.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 13 dicembre 2014