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Una conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l'Onu è solo un costosissimo fantasma a uso e consumo degli americani (che peraltro non ne pagano nemmeno le quote), è venuta dalla Conferenza di pace sulla Siria tenutasi a Montreux con la partecipazione di una quarantina di Paesi. Il giorno prima dell'inaugurazione il Segretario generale Ban Ki-moon aveva invitato a partecipare anche l'Iran. Ma la cosa ha provocato la "forte irritazione" degli americani e questo è bastato perché la sera stessa Ban Ki-moon ritirasse l'invito. E' paradossale che a questa Conferenza partecipino l'Indonesia, l'Australia, il Messico, paesi lontanissimi dalla Siria e non l'Iran che ce l'ha sull'uscio di casa. E' vero che l'Iran sostiene Assad, ma non diversamente da Russia e Cina e con maggiori ragioni poiché la guerra civile in Siria lo implica direttamente. Ulteriore paradosso è che il niet americano sia arrivato proprio il giorno in cui è stato ufficializzato lo stop all'arricchimento dell'uranio iraniano al 20% mentre rallentano i reattori di Natanz, Fordow, Arak, come conferma l'Aiea. Ma non importa, gli ayatollah restano nell' 'Asse del Male'.

Gli americani sono invece il Bene. L'Onu, per loro, "va su e giù come la pelle dei coglioni". Se gli serve è un'istituzione autorevole, se non gli serve ridiventa un fantasma di cui si può fare tranquillamente a meno. Con la copertura dell'Onu si giustificano l'occupazione dell'Afghanistan che dura da dodici anni, la creazione di governi fantoccio, le elezioni-farsa (alle prossime si presenterà il fratello di Karzai, noto narcotrafficante) oltre, naturalmente, gli assassinii di decine di migliaia di civili (gli americani sono anche riusciti a scambiare per guerriglieri talebani anche dodici bambine che raccoglievano legna nel bosco). Ma vorrà pur dir qualcosa che la guerriglia resista da dodici anni al più potente esercito del mondo e che i comandi degli occupanti, oltre al governo Quisling, debbano rimanere asserragliati nella protettissima 'zona verde' di Kabul. In compenso, i media del Bene, e dei suoi alleati, fan circolare a getto continuo notizie false come quella che i Talebani avrebbero il sostegno dei servizi segreti pakistani. Se fosse vero avrebbero almeno qualche missile Stinger per controbattere l'aviazione che li mette in uno stato di quasi insuperabile inferiorità (con gli Stinger la guerra sarebbe finita da un pezzo, con la cacciata degli stranieri, come avvenne con i russi). Ma di questa guerra afgana, la più lunga e la più infame degli ultimi secoli, non frega niente a nessuno, mentre si propala la falsa notizia di un ritiro degli occupanti entro la fine del 2014, falsa perché in Afghanistan rimarranno 80 mila soldati Usa, migliaia di istruttori dell' imbelle esercito 'regolare' afgano e soprattutto le basi dell'aviazione.

L'Onu aveva detto no all'invasione dell'Iraq. Ma il Bene aveva deciso che era venuto il momento di sbarazzarsi di Saddam, che aveva a suo tempo foraggiato con armi chimiche. Risultato: 750 mila morti e ora una feroce guerra civile fra sunniti e sciiti che provoca centinaia di vittime alla settimana. Ma al Bene non cale, perché intanto se n'è andato.

Il Bene, poiché è tale, può far tutto: guerre, invasioni, occupazioni, ardite evoluzioni dei suoi Rambo che provocano una ventina di morti (Cermis), stupri (di ragazze napoletane), rapimenti e sequestri di persone in territorio italiano per poterle poi torturare a proprio piacimento nell'Egitto del nobile Mubarak (Abu Omar), ottenendo poi il salvacondotto dell'ottimo e sempre commosso Presidente Napolitano. Se questo è il Bene io sto col Male.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2014

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Caroline Kennedy, figlia di JFK, nuova ambasciatrice americana a Tokyo, ha denunciato la mattanza di 40 delfini avvenuta nella baia di Taiji, nel distretto di Wakayama, dicendosi "profondamente preoccupata dalla disumanità della caccia e dell'uccisione dei delfini" e ricordando che "il governo degli Stati Uniti si oppone a questa pratica". La caccia ai delfini, specie non a rischio di estinzione, in Giappone comincia in autunno e finisce a marzo e "come la signora ambasciatrice deve sapere noi viviamo di questa attività" ha detto il capo dei pescatori di Taiji.

Sono curiosi questi americani, negli ultimi anni con i loro bombardamenti alla 'chi cojo cojo', con i loro dardo senza equipaggio, hanno ucciso, in Afghanistan e in Iraq, centinaia di migliaia di persone, uomini, donne, vecchi, bambini, ma poi si inumidiscono fino alle lacrime per 40 delfini. Il governatore di Wakayama, Yoshinobu Nisaka ha replicato "La cultura alimentare varia ed è saggio che le diverse civiltà si rispettino a vicenda. Ogni giorno vengono abbattuti maiali e vacche per la catena alimentare. Sarebbe crudele solo uccidere i delfini?". E il governo nipponico ha tenuto il punto: "Questa forma di caccia è una tradizione culturale".

E' il secondo incidente diplomatico che, in soli due mesi, la signora Kennedy provoca in Giappone. A dicembre si era detta "delusa" perché il primo ministro Shinzo Abe si era permesso di visitare il sacrario di Yasukuni dove sono onorati "anche 14 leader politici e militari giapponesi", condannati per crimini di guerra nel 1946 (nei processi di Tokyo, l'equivalente nipponico di quello di Norimberga. Nel settembre 1986 il ministro dell'Educazione giapponese, Masayuki Fuijno, sollevò un putiferio ponendo l'elementare domanda: "Chi ha dato ai vincitori il diritto di giudicare i vinti?").

In realtà dietro queste schermaglie c'è qualcosa di molto più profondo. Qualche anno fa mi recai in Giappone invitato dall'università di Kyoto (nemo propheta in patria) a tenere una conferenza su "Americanismo e antiamericanismo. Il ruolo dell'Europa". In apparenza i rapporti fra Stati uniti e Giappone, che nel Pacifico è 'la quarta sponda' degli Usa, erano ottimi, i rapporti commerciali intensissimi. Ma nell'animo dei giapponesi cova un sordo rancore, anche se, chiuso nel loro impenetrabile formalismo, non viene mai espresso. Lo si può notare solo da dei dettagli. Nel periodo in cui ero in Giappone c'era stata una partita di baseball fra americani e giapponesi, che in questo sport sono assai forti, vinta dai primi 4-3 con un punto contestatissimo. Ebbene per giorni e giorni lo Yumiuri Shimbun e l'Asahi Shimbun, giornali serissimi, che parlano solo di economia e di politica internazionale, sono andati avanti a polemizzare su quel punto a loro dire 'rubato'. La partita era solo un pretesto. I giapponesi non hanno mai digerito l'Atomica su Hiroshima e Nagasaki e, ancor meno, anche se a noi può sembrare strano, che gli americani, vinta la guerra, gli abbiano imposto di 'dedivinizzare' l'Imperatore. L'Imperatore è la simbolica e intoccabile anima del Giappone, non è un uomo in carne e ossa (tanto che il mio giovane interprete, Ken, non ne sapeva nemmeno il nome, non per ignoranza, ma perché non ha importanza). In tanti secoli non c'è stato un solo tentativo di attentato all'Imperatore. Eppure le mura del palazzo imperiale di Kyoto, in legno, sono così basse che anche un ragazzino potrebbe saltarle agevolmente. Attraverso la 'dedivinizzazione' dell'Imperatore gli americani, col consueto tatto da elefanti in un negozio di cristalli, hanno cercato di uccidere l'anima stessa del Giappone. I giapponesi non glielo hanno mai perdonato. E sono convinto che verrà il momento in cui getteranno una trentina di Atomiche su New York.

Massimo Fini

Il Gazzettino, venerdì 24 gennaio 2014

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Con Peter Gomez ho presentato a Milano il libro di Travaglio Viva il Re!.C'è voluta proprio tutta l'insipienza e la mediocrità della classe politica italiana degli ultimi anni per far assurgere Giorgio Napolitano a un ruolo di protagonista. Nel Pci d'antan, quello dei Togliatti, degli Amendola, dei Pajetta, dei Lajolo e persino dei Colajanni, Napolitano era una semplice suppellettile. Si diceva che era autorevole. Se chiedevi a un ragazzo della Fgc, un 'figiciotto', di Napolitano ti rispondeva «Ah, è autorevole», ma perchè mai lo fosse non sapeva spiegartelo. Era autorevole perchè era li' da sempre, da epoche pleistoceniche. Tutte le generazioni di italiani viventi, e fra poco anche morenti, se lo sono trovati in casa, pomposo e inamidato, fin dalla nascita. Come Andreotti, con la differenza che il 'divo Giulio' ha segnato, nel bene e nel male, la politica italiana, mentre di Napolitano non si ricorda, prima di questi ultimissimi tempi, non dico un'azione, sarebbe pretendere troppo, ma un discorso di un qualche significato. Travaglio, nel suo sterminato archivio, puo' anche averlo trovato, ma ha dovuto cercarlo col lanternino, con quella luce che sta in capo al medico quando in sala operatoria deve fare un intervento di microchirurgia. «Un coniglio bianco in campo bianco» lo aveva definito impietosamente qualcuno. Lui non agiva, 'partecipava'. Quando era giovane, si fa per dire, mentre i suoi compagni giocavano a pallone, lui stava a guardare. Per non inzaccherarsi la scarpe. Non era una cosa autorevole. «Nu guaglione fatt'a vecchio» lo aveva chiamato lo scrittore napoletano Luigi Compagnone. Veniva ricordato solo per un'imbarazzante somiglianza con Umberto di Savoia di cui qualcuno insinuava fosse figlio naturale. Ma questa mi pare una malignità gratuita. Ai danni del Re.

Adesso Napolitano determina la politica italiana e ha una falange di adepti non solo politici ma anche giornalisti. Un giornalista di Repubblica, Mario Pirani, un giornalista molto autorevole, ha chiesto l'incriminazione del Fatto per 'vilipendio al Capo dello Stato', un reato da Codice Rocco, un reato d'opinione che non dovrebbe esistere in una democrazia. E invece ce ne sono un mucchio, non tutti derivati dal Codice Rocco, alcuni di nuovo conio, come quella 'legge Mancino' (bello quello) che punisce «l'istigazione all'odio razziale». Credo sia la prima volta che si vogliono mettere le manette ai sentimenti. Nei regimi si puniscono le azioni, le idee ma, tranne forse che in Corea del Nord, non è obbligatorio anche amare il Capo.

Ma non è solo una questione italiana. Tira una brutta aria in Europa. Che non è quella dell'antisemitismo, ma del liberalismo liberticida. In Francia si vogliono vietare, oltre al velo, i teatri a un comico, Dieudonné M'bala M'bala, che fa satira antimperialista, antiamericana e anche antisemita. Ora, il teatro è storicamente l'ultima ridotta della libertà di espressione, quando tutti gli altri canali sono chiusi. Nella Jugoslavia di Milosevic l'opposizione si faceva a teatro (e per la verità anche fuori, molto di più che in questo regime).

Chiunque non è in linea con la 'communis opinio' è pronto per la garrota mediatica e, all'occorrenza, anche per le manette. Scriveva Stuart Mill che, con Locke, è uno dei padri della liberaldemocrazia: «La protezione dalla tirannide non è sufficente: è necessario anche proteggersi dalla tirannia dell'opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre come norme di condotta e con mezzi diversi dalle pene legali le proprie idee e usanze a chi dissente... a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello».

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2014