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Il 30 agosto, quando Barack Obama aveva cominciato a far rullare i tamburi, scrissi su questo giornale: «La probabile aggressione americana alla Siria non ha alcuna legittimità, nè giuridica nè morale.» Credo di essere stato uno dei pochissimi, in Occidente, a prendere, fin dall'inizio, questa posizione. Non per un pacifismo 'a prescindere'. Io non sono pacifista. Ci sono guerre, tutte quelle per liberare il proprio Paese dall'occupazione dello straniero, che sono sacrosante. Altre, per un territorio conteso, come fu quella delle Falkland, che hanno una logica. Del resto nel 1989 ho scritto un libro intitolato 'Elogio della guerra', anche se, per la verità, mi riferivo alle care, vecchie, oneste guerre di una volta quando il coraggio e la valentia degli uomini contava più della sofisticata tecnologia delle macchine. Cio' che contesto agli americani (come a qualsiasi altra Potenza) è il diritto di ergersi a 'gendarmi del mondo', a giudici di cio' che è giusto o ingiusto all'interno di altri Paesi. E' quello che ho chiamato 'Il vizio oscuro dell'Occidente', la sua convinzione di appartenere a una 'cultura superiore' (che è la moderna declinazione del razzismo, essendo quello classico diventato impresentabile dopo Hitler). Ogni Paese ha un suo equilibrio interno, determinato dalla sua storia oltre che dalla sua cultura. Alterare questo equilibrio, anche con la violenza delle armi, spetta solo alle popolazioni interessate. E il verdetto finale va lasciato al campo di battaglia fra chi, all'interno, combatte un regime e chi lo difende, non a gente che arriva da diecimila chilometri di distanza e ha l'arrogante pretesa di dividere i combattenti in chi sta dalla parte della ragione e chi del torto.

Molti Stati che inizialmente avevano appoggiato acriticamente l'intervento militare americano, vuoi per sudditanza psicologica, vuoi per qualche loro sporco interesse, stan facendo ora una precipitosa marcia indietro. E chissà se qualcuno ha finalmente capito che il grimaldello dei 'diritti umani', che gioca sull'emotività, è uno strumento troppo comodo per fornire il pretesto per aggredire regimi che, per una ragione o per l'altra, non garbano all'Occidente. Barack Obama, insignito 'a priori' chissà perchè del Nobel della Pace, nella questione siriana ha commesso un'infinità di errori. Prima ha segnato arbitrariamente una 'linea rossa': l'uso di armi chimiche da parte di Assad contro i ribelli. «Quella linea- si è giustificato dopo-non l'ho tracciata io, l'ha tracciata il mondo». Ma il mondo non sono solo gli Stati Uniti, ci sono altri 190 e più Paesi. Poi ha giurato, senza prove, che quelle armi Assad le aveva usate. In seguito di fronte ai dubbi crescenti ha affermato che comunque l'arsenale chimico di Assad costituisce «un pericolo per l'America» (sembra di rivedere, sotto forma della favola esopiana del lupo e dell'agnello, l'escalation di Bush contro Saddam). Si è poi smentito ammettendo che il regime di Damasco non ha gli strumenti per portare un attacco di tal genere negli Stati Uniti. Ora che Mosca e Damasco hanno proposto di distruggere, sotto controllo internazionale, gli arsenali chimici siriani, Obama si trova in un cul de sac. Se attacca ugualmente dimostra che cio' che guida la politica estera americana è solo la protervia. Se, dopo tanto rullar di tamburi, rinuncia, si rende definitivamente ridicolo. Il che sarà un bene. Non per lui, ma per la pace nel mondo.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 13 settembre 2013

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In Svizzera, nel giro di poche settimane, si sono suicidati due top manager: Pierre Wauthier, 53 anni, direttore finanziario di Zurich, colosso delle assicurazioni, e Carsten Schloter, 49 anni, leader di Swisscom Telecomunicazioni. Wauthier era pressato, stressato dal suo capo perché raggiungesse obiettivi sempre più alti, finché, non potendone più, si è tolto la vita. Ancora più indicativo il caso di Schloter che aveva lasciato scritto: "Non puoi stare connesso con il lavoro ventiquattr'ore su ventiquattro, non puoi cancellare la famiglia, non puoi scordarti i figli, non puoi scordarti la vita".

L'attuale modello di sviluppo è riuscito nella mirabile impresa di far star male anche chi sta bene. Figuriamoci gli altri. Alla base sta la competizione economica, concezione pressoché sconosciuta prima della Rivoluzione industriale e le cui conseguenze devastanti sono state enfatizzate dalla globalizzazione, fenomeno che ha anch'esso mosso i primi passi a metà del XVIII secolo ma che oggi è arrivato a piena maturazione con l'acquisizione al modello di sviluppo occidentale di quasi tutti i Paesi del mondo. Competizione fra individui, competizione fra aziende, competizione fra Stati, che passa sul massacro della persona umana. Noi ammiriamo, e temiamo, lo sviluppo cinese, ma da quando nella terra di Confucio è iniziato il boom economico il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. Nelle fabbriche cinesi, dove si assemblano le componenti della Apple e gli operai lavorano sedici ore al giorno, hanno dovuto stendere delle reti di salvataggio per impedire ai poveracci di gettarsi giù a capofitto, uccidendosi. Forse stavano meglio quando si accontentavano della loro ciotola di riso.

I classici dell'economia liberista, Adam Smith e David Ricardo, sostenevano che la competizione è cosa buona perché abbassa i prezzi e giova quindi al consumatore (figura sinistra emersa anch'essa nei tempi moderni). Non mi pare che questo sia avvenuto. I prezzi dei beni essenziali, cibo, vestiario, alloggio, non han fatto che lievitare, pur tenendo conto del rapporto con l'aumento dei redditi, a diminuire sono solo i prezzi delle cazzate, di bisogni di cui nessuno prima aveva mai sentito il bisogno. Ma strettamente connessa alla competizione economica c'è un'innovazione psicologica che Ludwig von Mises , capovolgendo venti secoli di pensiero occidentale e orientale, ha sintetizzato così: "Non è bene accontentarsi di ciò che si ha". E con ciò fondando, come se ce ne fosse stato bisogno, l'infelicità umana. Poiché ciò che non si ha non ha limiti raggiunto un obiettivo bisogna inseguirne - costretti dall'ineludibile meccanismo che ci sovrasta e su cui si basa il sistema - un altro e poi un altro ancora finché non si schiatta, sostituiti da un nuovo pezzo di ricambio.

Nella situazione ideale si troverebbero i disoccupati e i cassintegrati, se non fossero morsi dal tarlo di non avere ciò che altri posseggono. Vivere senza lavorare è sempre stato il sogno dell'uomo, finché ha avuto la testa.

Qualche anno fa, in una grigia giornata dei primi di ottobre, mi trovavo in uno dei splendidi Bagni liberty di Agrigento (peccato che a cento metri, sul mare, sgorgasse la fogna). La spiaggia era deserta. C'era solo un ragazzo a qualche sdraio di distanza. Attaccai discorso. Mi raccontò che per quattro mesi d'inverno lavorava come muratore a Torino, il resto lo passava nella sua città natale vivendo di quanto aveva guadagnato e potendo contare su quella rete familiare che al Sud esiste ancora. "Certo" disse "non posso permettermi la Porsche, ma ho a mia disposizione il tempo". "Caro ragazzo" risposi "tu forse non lo sai, ma sei un filosofo". Noi, invece, siamo tutti degli emeriti coglioni.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2013

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Ci si accapiglia fra Pdl e Pd sulla decadenza o meno da senatore di Silvio Berlusconi che dovrebbe essere decisa nei prossimi giorni dalla Giunta per le elezioni e le immunità, in base alla legge Severino del 2012 che sancisce l'incandidabilità al Parlamento o l' impossibilità di permanervi per chi sia stato condannato in via definitiva, per un reato doloso, a una pena superiore ai due anni. Che è esattamente il caso del Cavaliere condannato a quattro anni di reclusione, più all'interdizione dai pubblici uffici in misura ancora da determinare, per frode fiscale. Il Pd vorrebbe che la decadenza, se votata in maggioranza in Giunta e al Senato, che la deve ratificare, fosse automatica. Il Pdl invita a rifletterci su e a garantire i diritti della difesa.

Mi pare che i difensori di Berlusconi abbiano questa volta qualche buona ragione dalla loro. Non perché sulla legge Severino gravino dubbi di incostituzionalità come affermano alcuni nel Pdl e come è stato ventilato anche dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Questa legge è valida 'erga omnes' e quindi non si vede quali profili di incostituzionalità possa avere. Un ricorso alla Consulta per questo motivo sarebbe un' inutile perdita di tempo. Ma anche se costituzionale non è detto che la legge Severino sia applicabile al caso Berlusconi. Perché nel diritto penale vale il principio generale della "irretroattività della legge". A meno che non sia più favorevole al reo, che non è il caso di Berlusconi. Per il leader del Pdl dovrebbe quindi valere il principio della irretroattività perché la decadenza del senatore si configura come una pena aggiuntiva che all'epoca in cui commise il reato di frode fiscale non c'era. Tutto dipende dalla natura che si attribuisce alla legge Severino, se cioè è una norma di carattere penale o amministrativo. Nel primo caso vale il principio della irretroattività, nel secondo no. E anche su questo si stanno azzuffando Pdl, Pd e autorevoli giuristi.

Ma tutte queste 'baruffe chiozzotte', come ha notato Giulia Bongiorno, uno dei migliori penalisti italiani, sono di lana caprina perché riguardano una questione secondaria. Comunque vadano le cose Berlusconi, in esecuzione alla sentenza di condanna, entro il 15 ottobre dovrà scegliere se essere preso in tutela dai servizi sociali o se scontare la pena ai domiciliari, dato che, in ragione della sua età, non può essere messo in carcere (in linea di massima, perché ci sono ottantenni, per giunta malati, in galera). Poniamo che scelga i domiciliari. Non potrà ricevere visite se non dai più stretti familiari e dagli avvocati. Non potrà ricevere né fare telefonate. Potrà uscire di casa, si tratti di Arcore o di qualche altra villa, per qualche ora solo se autorizzato dal Giudice di Sorveglianza. Se si azzarderà a uscire in orari non autorizzati troverà due robusti carabinieri che lo prenderanno per la collottola e lo risperiranno a casa o lo porteranno direttamente in carcere per l'ulteriore reato di evasione. Insomma anche se il Parlamento decidesse per la non decadenza da senatore, Berlusconi lo rimarrebbe solo nominalmente non potendo esercitarne le funzioni. E allora, a meno che non ci siano altre manovre sottobanco, non si capisce tutto questo 'rumore per nulla'.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 6 settembre 2013