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Che l'India non potesse trattenere l'ambasciatore Daniele Mancini, impedendogli di lasciare il Paese, in uno stato di semi-sequestro, come rappresaglia al fatto che l'Italia non aveva restituito i due maro' accusati di aver ucciso, ai limiti delle acque indiane, due pescatori del Kerala scambiati per pirati somali, e ai quali la giustizia di Nuova Delhi aveva concesso una licenza di quaranta giorni perchè potessero partecipare alle elezioni di febbraio, è fuori discussione. Non tanto perchè il Trattato di Vienna del 1965 assicura l'immunità degli ambasciatori, ma per il diritto internazionale consuetudinario che affonda le sue radici nei secoli e che, per quel che ci risulta, non è stato mai violato. Anche nella pur terribile seconda guerra mondiale quando, nel 1939, Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania e nel 1940 l'Italia ai due alleati, agli ambasciatori dei Paesi belligeranti furono concesse 24 ore di tempo per lasciare i rispettivi Paesi. Gli ambasciatori si espellono, non si sequestrano.

Ma è altrettanto indiscutibile che l'Italia si era messa in una situazione insostenibile. L'ambasciatore Mancini, su direttiva del governo Monti, si era formalmente impegnato, firmando una dichiarazione scritta, a far rientrare i due maro' in India, dopo la licenza. Invece, aggrappandosi a cavilli giuridici, non lo ha fatto. Edward Luttwak, molto vicino al Dipartimento di Stato Americano ha commentato:«La decisione italiana di non far tornare in India i maro' compromette la credibilità del vostro Paese in modo irreparabile». Credibilità che è da sempre, storicamente, vacillante. In due guerre mondiali abbiamo cambiato per due volte alleato o, per restare a esempi più recenti, siamo in Afghanistan a fianco degli americani, ma invece di combattere i Talebani facciamo patti con loro perchè non ci attacchino. Più o meno la stessa cosa era avvenuta in Libano, ai tempi del generale Angioni, quando ci eravamo accordati con quelli che avremmo dovuto combattere. Che la nostra capacità a tener fede alla parola data sia fragilissima lo dimostra lo stesso fatto che quando a Natale fu concessa ai maro' la prima licenza e, finita quella, li restituimmo all'India, ci autoricoprimmo di elogi e ne fummo ricoperti dagli altri Paesi:«Guardate, l'Italia sa tener fede alla propria parola». Insomma fu considerato eccezionale quello che avrebbe dovuto essere scontato. Per buona sorte il governo italiano ha capito, sia pur in extremis, che perseverare nella sua posizione avrebbe compromesso, come dice Luttwak, «la credibilità del nostro Paese in modo irreparabile» e ha deciso quindi di rimandare i due maro' in India. Meglio tardi che mai.

Sia pero' concessa una notazione a margine. Quando i maro' rientrarono in Italia per la prima licenza, furono accolti all'aereoporto con tutti gli onori dal presidente Napolitano e dal premier Monti come degli 'eroi'. Ma quali eroi? Come minimo sono due soldati maldestri e incapaci. Perchè scambiare un lungo e lento barcone di 12 pescatori, alcuni dei quali dormivano, con i piccoli, agili e velocissimi barchini usati dai pirati somali, che agiscono con non più di quattro assaltatori, è veramente un'impresa. Evidentemente i due maro', Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, si sono fatti prendere dalla sindrome americana dello sparare a chi 'cojo cojo' senza alcun rispetto per le vite altrui. E come tali avrebbero dovuto essere trattati.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 22 marzo 2013

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L'aspetto più interessante del nuovo Papa non è tanto che sia il primo Pontefice non europeo, latino-americano (anche se ha il suo significato), ma, com'è stato notato da molti, il nome che, con una certa temerarietà, Jorge Mario Bergoglio ha scelto di darsi: Francesco. San Francesco è infatti attuale e inattuale nello stesso tempo. E' attuale perchè predica un rapporto d'amore e di rispetto per la natura «Laudato sie, mi' Signore.... per messor lo frate sole...per sora luna...per frate vento...per sor'acqua...per sora nostra matre terra»-Laudes Creaturarum).

E' insomma un ecologista 'ante litteram' ( dove il termine 'ecologia' va inteso in un senso più ampio, spirituale), e oggi finalmente, anche se con fortissime opposizioni, ci si sta rendendo conto che se continuiamo sul passo preso a partire dalla Rivoluzione industriale finiremo per distruggere il pianeta e, con esso, noi stessi.

E' inattuale perchè predica la povertà e non si tratta semplicemente della solita attenzione agli 'umiliati e offesi', tipo, modernamente, Madre Teresa di Calcutta o Dame di San Vincenzo, ma è un invito alla sobrietà, a spogliarsi dei beni materiali che è rivolto a tutti. San Francesco è insomma un pauperista e il pauperismo va in direzione diametralmente opposta all'attuale modello di sviluppo basato sull'accumulo continuo della ricchezza. San Francesco, come ho scritto più volte, anche su questo giornale, sarebbe oggi molto più rivoluzionario di Marx e di Adam Smith.

Tornando sulla terra, cioè al Francesco oggi Papa, che il popolo cattolico, con una fretta e una superficialità tutta moderna, vorrebbe 'subito santo' , è chiaro che la scelta di un Papa non europeo, non nord-americano, ha un significato preciso. Vuol dire che la Chiesa considera l'Occidente propriamente detto completamente desacralizzato, secolarizzato, ormai irrecuperabile e cerca miglior sorte in altri lidi. Quando nel 1880 Friederich Nietzsche proclama « la morte di Dio » non fa che constatare, con un certo anticipo poichè era un genio, che Dio è morto nella coscienza dell'uomo occidentale. Una volta che è morto, spiritualmente, Dio non è resuscitabile.

Un'altra cosa mi è piaciuta nell'uomo Jorge Mario Bergoglio diventato Papa Francesco. I giorni precedenti l'elezione del Pontefice e quelli del Conclave sono stati ammorbati da un'assordante grancassa dei mass media, soprattutto televisivi, mentre sulla piazza si faceva un tifo nazionalistico altrettanto rumoroso e non molto dissimile da quello per Barcellona-Milan (non per nulla un quotidiano argentino ha paragonato Bergoglio a Messi). Nel suo breve discorso Papa Francesco ha chiesto, nel chiasso generale, un momento di silenzio e lo ha ottenuto. E anche questo è del tutto inattuale in una società che non sa più sopportare il silenzio, che applaude, grottescamente, persino i suoi morti e dove gli uomini e le donne pur di non rimanere soli con se stessi si rimbambiniscono ascoltando le musichette dei giochini dell'iPhone.

Se poi Papa Francesco sarà in grado di realizzare i propri intenti, questo solo Dio, se mai esiste, lo puo' sapere.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013

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Quando lunedi' scorso è uscita la notizia che Silvio Berlusconi, dal suo letto d'ospedale, aveva chiesto ai suoi parlamentari di rinunciare alla manifestazione di protesta davanti al Tribunale di Milano «in nome del rispetto che ho sempre portato alle Istituzioni», non credevo alle mie orecchie. Non perchè pensassi a una resipiscenza del Cavaliere (e infatti abbiamo visto com'è andata a finire), ma per la spudoratezza di quell'affermazione. Se c'è un politico che, anche nella sua veste di premier, in questi anni ha delegittimato, di volta in volta, tutte le Istituzioni, costui è Silvio Berlusconi: dai Presidenti della Repubblica, tutti 'comunisti' (compreso quel Giorgio Napolitano cui oggi disperatamente si aggrappa per un impossibile ed eversivo intervento sui suoi processi), alla Corte Costituzionale («zeppa di 'comunisti'»), alla Cassazione, alla magistratura ordinaria («cancro della democrazia», affermazione ribadita anche all'estero), al Csm, alla Corte dei Conti, al Tar e persino ai Tribunali civili (contro la sentenza che ha condannato la Fininvest a risarcire la Cir di De Benedetti per la truffa del 'lodo Mondadori' ottenuto corrompendo il giudice Metta) .

Io tollero tutto, tranne essere preso in giro. E probabilmente cosi' la pensano anche i magistrati. E' possibile che gli accertamenti medico-fiscali al San Raffaele (poi risoltisi in modo positivo almeno per il processo Ruby) siano stati un eccesso di scrupolo, ma in questo caso Berlusconi è stato vittima di se stesso, del suo gridare «al lupo, al lupo». Quante volte in questi anni ha invocato il 'legittimo impedimento', spesso in maniera evidentemente pretestuosa? Mi ricordo che anni fa un Tribunale, non riuscendo in alcun modo a interrogarlo, perchè lui aveva sempre cose più importanti da fare, gli propose di fissare l'udienza la domenica. E Berlusconi rispose, beffardamente: «Ma io la domenica vado a messa» (il tempo per vedere il Milan invece lo trovava). E' chiaro che a uno cosi' si finisce per non credere più.

Per quello che impropriamente viene chiamato il 'caso Ruby' (in realtà si tratta di concussione, 12 anni di reclusione, ben più grave dell'eventuale prostituzione minorile) Berlusconi ha dichiarato che si tratta di «un procedimento che mi vede, sulla base dei fatti, incontestabilmente innocente». Naturalmente un imputato ha diritto di proclamarsi innocente. Peccato che i fatti siano contro di lui. Qui non ci sono ambigue intercettazioni. Ci sono telefonate fatte e ammesse, nei contenuti, dallo stesso Berlusconi alla Questura di Milano perchè cambiasse la destinazione di una persona (che fosse Ruby è quasi marginale, poteva trattarsi di chiunque altro) in stato di arresto e sotto interrogatorio. Nella stessa giornata in cui, nella sua requisitoria, il Pm Sangermano si dilungava sulle presunte orge di Arcore e la stampa vi intingeva pruriginosamente e inutilmente il biscotto (il premier a casa sua puo' fare cio' che vuole, i suoi rapporti sessuali con Ruby sono difficilmente accertabili e comunque è roba da Santa Inquisizione), il Pm dei minori Annamaria Fiorillo, titolare della decisione sulla destinazione di Ruby aveva reso una testimonianza decisiva. Aveva detto di aver disposto che la minore fosse accompagnata in una comunità o trattenuta in Questura e aveva aggiunto che «nessun magistrato degno di questo nome avrebbe affidato la minorenne Ruby alla consigliera Minetti e tanto meno dato credito all'assurdità che una marocchina (la nazionalità della ragazza era stata accertata fin dal pomeriggio) potesse essere la nipote dell'egiziano Mubarak».

Berlusconi non è finito per via giudiziaria. E' finito politicamente perchè come il resto dell'attuale classe dirigente, di destra e di sinistra, sarà spazzato via dal vento impetuoso di Beppe Grillo. La peggior eredità che ci lascia è di aver tolto agli italiani quel poco di senso della legalità che gli restava e che ora il movimento 5Stelle cerca, con molta ingenuità, di farci ritrovare.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 15 marzo 2013