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Scrivo, per motivi di orario, fra la prima e la seconda votazione che non dovrebbe pero' cambiare la situazione perchè Pdl e Pd hanno già dichiarato che voteranno scheda bianca. Il grande sconfitto, ma lo sappiamo tutti, è Pierluigi Bersani che facendosi sedurre da Berlusconi a puntare su un notabile dell'ancien régime come Franco Marini è riuscito non solo a perdere l'alleato Sel ma a spaccare il suo partito in tre o quattro pezzi tanto che non è più nemmen certo che un Partito democratico esista ancora. Silvio Berlusconi esce rafforzato dalla prova. Non gli è riuscito il 'grande inciucio' sul nome di Marini che doveva essere il preludio a quel governo di 'grosse koalition' cui mirava (pero' puo' sempre riprovarci con un altro candidato Pd a lui non sgradito ma più digeribile dalla base dei democrat), ma ha dimostrato di avere totalmente in pugno il suo partito (e anche la Lega) e con le sue falangi schierate a testuggine come l'antico esercito romano ha disarticolato le fragili schiere di quello che fino a ieri era il suo principale avversario (ora diventa Grillo).

C'è poi un piccolo sconfitto anche se appare un vincitore. Ed è Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze ha mostrato tutta la sua smisurata ambizione e ambiguità. Dopo innumerevoli dichiarazioni di lealtà al segretario del suo partito lo ha pugnalato alle spalle nel momento cruciale. Una figura, oltre che inaffidabile, umanamente ripugnante e di questo, credo, terranno conto anche gli altri partiti qualora volesse crearne uno suo. Secondo me Renzi, da oggi, è un appestato da cui restare alla larga.

Beppe Grillo ha sbagliato la prima mossa. Se invece di affidarsi alle troppe astratte modalità delle cosidette 'quirinarie' avanzando il nome dell'inutile Gabanelli o dell'improbabile Strada, avesse proposto fin da subito uno dei nomi che stavano sia nella sua decina sia nella terna iniziale del Pd (Zagrebelsky, Caselli, Rodotà) Bersani non avrebbe potuto dirgli di no, poichè erano i 'suoi' nomi, e Silvio Berlusconi sarebbe stato messo definitivamente nell'angolo. Invece ha perso due giorni durante i quali il Cavaliere e il leader del Pd hanno potuto preparare l'inciucio. Deve imparare a conoscere meglio i tempi della politica, che possono essere lentissimi ma, quando occorre, anche fulminei. Adesso ci puo' riprovare con Rodotà, ma non è la stessa cosa. Perchè prima era Bersani a proporre e Grillo ad aderire, ora sarebbe Grillo ad imporre e Bersani a dover subire. E non è detto che dopo aver ricevuto un primo schiaffo voglia prenderne anche un secondo e proprio da Grillo che è inviso a buona parte dei democratici che sanno benissimo che nel progetto di 5Stelle c'è di spazzar via tutti i vecchi partiti, e quindi anche il Pd, e non solo Berlusconi. Comunque, in cuor suo, Grillo si augura che alla fine l'inciucio fra Pd e Pdl si faccia e che formino insieme un governo che gli sputanerebbe davanti ai propri elettori., Un governo che date le infinite incompatibilità fra i berluscones e quel che resta della sinistra, durerebbe pochi mesi durante i quali 5Stelle avrebbe le mani libere per continuare a sparare a palle quadre contro la democrazia dei partiti. E alle successive elezioni prenderebbe il 50 o il 60% dei voti completando cosi' l'operazione iniziata con la tornata di febbraio. La partitocrazia avrebbe concluso finalmente un ciclo ignominioso durato trent'anni.

Quanto a Rodotà non mi sembra molto diverso da Marini. Non solo perchè ha 80 anni come lui, ma perchè, deputato del Pci nel '79 e poi del Pds nell'83 e nell'87, presidente del Pds nell'91-'92, lo abbiamo sul gobbo, come personaggio della Prima e della Seconda Repubblica da più tempo di Franco Marini. Non rappresenta certo «il nuovo che avanza».

Massimo Fini

Il Gazzettino, 19 aprile 2013

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I grillini non fanno solo folclore. Giovedi' hanno presentato una mozione che impegna il governo al ritiro immediato delle nostre truppe in Afghanistan, dove spendiamo circa 800 milioni l'anno (ma probabilmente sono molti di più perchè dubito che vengano registrati quelli che diamo ai Talebani perchè non ci attacchino). Con un miliardo non si risana un'economia, pero' qualche problemino potrebbe essere risolto, poniamo quello degli esodati. Ma se una guerra è giusta non se ne puo' fare una questione contabile, anche se, per la verità, l'art.11 di quella Costituzione che le sinistre sbandierano ogni giorno ci vieta la partecipazione a qualsiasi guerra che non sia difensiva. Ma, al di là di questo, che pur non è poco, il fatto è che la guerra all'Afghanistan, che dura da dodici anni, è la più infame delle guerre. Era cominciata col pretesto della lotta al terrorismo, ma a dodici anni dall'11 settembre, in cui i Talebani non ebbero alcuna parte, questa motivazione non regge più. Allora l'abbiamo trasformata nella proterva pretesa di imporre a quella popolazione le nostre istituzioni, i nostri valori, costumi, consumi. Ed è per questo che l'occupazione occidentale è stata molto più devastante di quella sovietica che fece danni materiali enormi ma, non avendo questa pretesa, non ha stravolto la vita afgana. Noi, oltre a quelli materiali, abbiamo fatto enormi danni sul piano sociale, economico e morale. La disoccupazione, che sotto i Talebani era all'8%, oggi è al 40. Kabul aveva un milione di abitanti, adesso ne ha più di cinque milioni. Nell'Afghanistan talebano si poteva viaggiare sicuri anche di notte. Non c'era corruzione. Infine nel 2000 il Mullah Omar aveva proibito la coltivazione del papavero e la produzione di oppio era scesa quasi a zero. Oggi l'Afghanistan produce il 93% dell'oppio mondiale. Ma la cosa forse più grave è il degrado morale che abbiamo portato in quel Paese. Corrotto è il governo fantoccio di Karzai, corrotte sono le amministrazioni locali, corrotta è la polizia, corrottissima è la magistratura, al punto che gli afgani preferiscono rivolgersi alla giustizia talebana, che è spiccia ma almeno è una giustizia.

Questi sono i bei risultati della 'missione umanitaria'. E allora che senso ha rimanere in Afghanistan? Per fedeltà alle alleanze e per una questione di credibilità scrive Franco Venturini sul Corriere. Gli olandesi se ne sono andati nel 2010 senza chiedere il permesso a nessuno. Cosi' i canadesi nel 2011 e i polacchi nel 2012. I francesi stanno smobilitando. Non mi pare che nessuno di questi Paesi abbia perso la propria credibilità internazionale.

Intanto la mattanza continua. Una settimana fa, nella regione di Kunar, l'aviazione americana, a copertura del tremebondo esercito afgano (ma perchè coprire truppe di terra contro un nemico che non ha aviazione?) ha bombardato tre villaggi uccidendo, oltre a sei guerriglieri, undici bambini, due donne e facendo un numero imprecisato di feriti. La Nato ha avuto l'impudenza di affermare che non c'erano state vittime civili. Allora i capi dei villaggi hanno allineato sulla strada gli undici corpicini. A testimonianza di una vergogna indelebile che riguarda anche noi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 13 Aprile 2013

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Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha graziato d'ufficio, cioè sua sponte, senza che vi fosse una richiesta dell'interessato e nemmeno delle autorità statunitensi, Joseph Romano, nel 2003 capo della base militare Nato di Aviano, condannato il 19 settembre 2012 dalla Cassazione, e quindi in via definitiva, a 7 anni di reclusione per il rapimento, a Milano nel febbraio 2003, dell'Imam radicale Abu Omar, di null'altro colpevole che di essere tale. Con Romano sono stati condannati dalla cassazione 22 agenti Cia che parteciparono all'operazione, compreso il capo dell'Intelligence americana a Milano, Bob Lady. Condanne cui si sono aggiunte, per ora solo in Appello, quelle di altri tre agenti Cia che operavano a Roma sotto vesti diplomatiche.

In questa operazione che gli Americani chiamano di «Extraordinary rendition» (in cui 007 Usa sono autorizzati a compiere qualsiasi tipo di reato in territorio straniero, in violazione di tutte le norme del diritto internazionale, col pretesto della lotta al terrorismo) Romano ebbe un ruolo centrale. Come capo della base Nato di Aviano, che gode di extraterrritorialità, fece entrare gli autori materiali del sequestro. Da qui trasportare Abu Omar nell'allora amico Egitto di Mubarak, dove la tortura è ammessa e praticata, fu un gioco da ragazzi. E infatti nelle prigioni egiziane Abu Omar fu sottoposto a torture fisiche e umiliazioni in stile Abu Ghraib, Guantanamo e anche peggio.

Giorgio Napolitano non poteva concludere in un modo peggiore il suo settennato. Il fatto stesso che abbia sentito il bisogno di motivare il suo atto dietro cavilli giuridici, giudicati da tutti i giuristi interpellati, nella più benevola delle ipotesi, «schiocchezze», dimostra che aveva la coda di paglia. La grazia è una prerogativa esclusiva del Capo dello Stato, un retaggio del potere regale, e puo' concederla a suo insindacabile giudizio. Ma Napolitano, con tipica ipocrisia catto-comunista, ha voluto travestire con abiti giuridici, tra l'altro sconfessando in questo modo ancora una volta, alla maniera di Berlusconi, la Magistratura italiana, una decisione squisitamente politica. Lo conferma il fatto che Joseph Romano, da tempo latitante e al sicuro negli Stati Uniti, come tutti gli altri 007 condannati, non correva alcun rischio di finire in carcere. Non solo perchè gli americani, che non ammettono che i loro militari siano giudicati all'estero mentre pretendono che quelli dei loro nemici siano spediti davanti al Tribunale internazionale dell'Aja, non ce lo avrebbero mai consegnato (come è avvenuto per il pilota responsabile della tragedia del Cermis ,20 morti, come avviene per i militari Usa di base a Napoli che stuprano le ragazze partenopee, rifugiandosi poi nell'extraterritorialità), ma perchè tutti e sei i ministri della Giustizia avvicendatisi dopo la vicenda di Abu Omar (Castelli, Mastella, Scotti, Alfano, Palma, Severino) appena insediati si sono affrettati a rassicurare gli americani che rinunciavano a dar corso alla ricerca dei latitanti in campo internazionale. Ci eravamo quindi già appiattiti come sogliole ai piedi degli Usa, cui è consentito nel nostro Paese fare cio' che vogliono, commettere anche, restando impuniti, i reati più ripugnanti, come il sequestro di persona e, sia pur interposto Egitto, la tortura. Il Presidente Napolitano ha voluto fare un ulteriore atto di servaggio. Per chi a cuore, nonostante tutto, la dignità del nostro Paese, suonano mortificanti le parole pronunciate dallo svizzero Dick Marty, relatore del Consiglio d'Europa per le indagini sui 'voli segreti' della Cia: «Non è un atto di giustizia , ma di sudditanza verso gli Stati Uniti».

Massimo Fini

Il Gazzettino, 12 aprile 2013