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Ha sbagliato la grillina Emanuela Corda a pretendere che nel giorno in cui si commemoravano i 19 italiani, fra militari e civili, morti a Nassirya, che anche l'attentatore fosse considerato una vittima. Quel kamikaze non era una vittima, era consapevole, a differenza dei nostri, di andare incontro alla morte. Né è il principale responsabile di quella che un po' enfaticamente chiamiamo una strage (di ben altra entità sono gli eccidi consumati dall'Occidente in ogni parte del mondo, a cominciare proprio dall'Iraq, da quando è caduta l'Urss, e nello stesso Iraq i nostri militari hanno sparato, per un errore certamente, su un'autoambulanza, scambiandola per un pericoloso veicolo nemico, facendo, nella confusione, qualche decina di morti). Il primo responsabile è il governo italiano di allora a guida Berlusconi (ma poteva essere qualsiasi altro governo, anche se bisogna dare atto a Romano Prodi di aver messo fine nel 2006 a questa tragica farsa) che credendo alle proprie balle, e cioè che noi eravamo in Iraq in 'missione di pace', indusse in errore i comandanti militari che piazzarono la base del contingente quasi nel centro di Nassirya, “un bersaglio comodissimo” come ha detto di recente uno degli insorti iracheni che parteciparono a quell'atto di guerriglia.

Nel periodo in cui eravamo in Iraq un nostro elicottero intervenne in aiuto al contingente portoghese che si stava battendo contro gli insorti. Il mitragliere dell'elicottero punto' l'arma contro i guerriglieri, ma uno di questi fu più svelto, sparo' e l'uccise. La Procura militare di Roma apri' un'inchiesta contro quello che considerava un assassino. Che senso ha? Cosa doveva fare il guerrigliero? Dire all' 'amico italiano' “uccidimi pure, perché tu sei il bene e io il male, tu sei dalla parte della Ragione e io del Torto?”. Le ipocrite 'missioni di pace', che in realtà, a parte in Libano dove le forze internazionali si interpongono fra due nemici, sono invasioni, occupazioni, guerre, hanno ingenerato il losco equivoco per cui gli occidentali sono legittimati a uccidere, i loro nemici no. E invece in guerra lo straordinario diritto di uccidere, assolutamente proibito in tempo di pace, si giustifica solo con la possibilità di essere, altrettanto legittimamente, uccisi. Se uno solo puo' legittimamente colpire e l'altro solo subire si esce dalla logica della guerra. Anzi da ogni logica, caro Pigi Battista.

I familiari dei 19 morti di Nassirya piangono, è sacrosanto, i loro cari. L'intervento occidentale in Iraq, di cui noi italiani siamo stati complici per tre anni, ha causato, direttamente o indirettamente, dai 650 ai 760 mila morti secondo un semplice calcolo fatto da una rivista medica inglese confrontando i decessi dell'era di Saddam con quelli del dopo Saddam e altri se ne aggiungono ogni giorno, a centinaia, per la feroce guerra civile che si è scatenata fra sunniti e sciiti dopo l'intervento occidentale che, togliendo di mezzo il rais di Bagdad, ha spezzato l'equilibrio su cui si reggeva quel Paese e di cui non si parla più a meno che le vittime non siano cristiane (perché Saddam era un criminale, “l'impresario del crimine” lo chiamava Khomeini, che Allah lo abbia sempre in gloria, ma era un laico, si invento' leader dell'islamismo solo dopo la prima guerra del Golfo).

Forse che queste centinaia di migliaia di morti non hanno a loro volta padri, madri, spose, figli, fratelli che hanno un altrettale diritto di piangere? E allora smettiamola, caro Pigi Battista, col doppiopesismo e il dolore a senso unico. Proprio in nome di cio' che tu invochi: la logica.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 16 novembre 2013

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I poliziotti rubavano ai ladri. E' quanto emerge da una complessa indagine della magistratura milanese a carico di tre agenti della Polfer di Lambrate, ora arrestati, nella cui disponibilità sono stati trovati 140 chili di hashish, 4 di cocaina oltre a 50 mila euro. In sostanza i poliziotti sottraevano la refurtiva ai trafficanti e se la tenevano. E' vero che in Italia siamo ormai abituati a tutto (anni fa si scopri' che il comandante della Guardia di Finanza, Del Giudice, preposto alla vigilanza sulla frontiera italo-svizzera, era anche il capo dei contrabbandieri) ma la notizia fa ugualmente una certa impressione. Il questore di Milano Luigi Savina si è affrettato a dichiarare: ”Il comportamento di alcuni non puo' inficiare il lavoro di migliaia di agenti che ogni giorno svolgono il loro dovere con sacrificio e dedizione”. Sono d'accordo, io ammiro i magistrati e i poliziotti che continuano a fare il loro mestiere con coscienza e passione, rischiando spesso la vita (soprattutto i secondi, ma anche i primi) pur sapendo benissimo che, nella maggioranza dei casi, è del tutto inutile (Un paio di anni fa avendo assistito per tre giovedi' notte a fila a furibonde risse fra immigrati 'chicanos' in piazza Duomo, a Milano, con la polizia che stava a guardare a pochi metri, mi avvicinai al tenente che comandava il reparto e gli chiesi:”Perché non intervenite?”. “Se intervengo mi becco una coltellata e quelli, dopo qualche giorno, tornano comunque fuori. Percio' finché se la fanno fra di loro ci limitiamo a controllare che la rissa non debordi”). Scontate pero' le doverose parole del questore di Milano è indubitabile che la corruzione abbia investito ampi settori delle forze dell'ordine. Proprio nel giorno in cui Savina rilasciava queste dichiarazioni, a Napoli altri tre poliziotti venivano arrestati per millantato credito e abuso di ufficio. E se sono corrotti i poliziotti, vocati per mestiere al 'law and order' vuol dire che la corruzione è ormai penetrata a fondo nel tessuto sociale. Basta leggere il giornale di quello stesso 8 novembre in cui sono stati arrestati i tre agenti felloni della Polfer: a Nola è stata scoperta una maxi-truffa ai danni delle assicurazioni automobilistiche in cui sono coinvolte quattrocento persone, fra cui 52 medici (non dei quaraquaquà ma, come recita il provvedimento della Procura, “noti professionisti operanti nelle strutture pubbliche e private”) e 12 avvocati. A parte i politici, nazionali, regionali, provinciali, comunali, di cui ci sono noti da tempo i fatti e soprattutto i misfatti, non c'è ambito, professione, mestiere, attività, in cui la magistratura vada a mettere il dito dove non salti fuori un marcio che sgomenta quegli italiani che, con grande sforzo su sé stessi, sono riusciti a rimanere onesti in un contesto che cade moralmente a pezzi. Tre anni fa cosi' concludevo l'introduzione a un mio libro, 'Senz'anima', che racconta, attraverso i miei articoli, molti dei quali apparsi sul Gazzettino, le vicende italiane dal 1980 al 2010: “Un'Italia inguaribilmente corrotta, nelle classi dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come sempre anarchica ma senza essere divertente, priva di regole condivise, di principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un'Italia senz'anima”.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 15 novembre 2013

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Nella prima udienza del processo che si tiene al Cairo contro Morsi, il deposto presidente ha dichiarato: “Facciamola finita con questa farsa, è stato un colpo di Stato. Sono altri quelli che dovreste processare”. E al giudice che lo chiamava 'imputato' ha detto: “Io sono il dottor Mohamed Morsi Isa al-Ayyat. Ricordati che sono il tuo presidente, secondo la Costituzione l'unico legittimo”. Mi pare che le parole del leader dei Fratelli Musulmani fotografino quanto è successo in Egitto negli ultimi due anni. Morsi era stato eletto presidente il 24 giugno 2012 col 51% delle preferenze nelle prime elezioni libere dopo i trent'anni della dittatura di Mubarak. E' stato rovesciato poco più di un anno dopo dal capo dell'esercito, il generale Al Sisi, dopo alcune manifestazioni popolari che, come scrivono i giornali occidentali per metterci una pezza, avevano “un ampio consenso che andava dai salafiti ai laici ai comunisti”. Da quando in qua in una democrazia il consenso si misura dalle manifestazioni in piazza e non dal risultato delle schede elettorali?

Morsi è accusato di “aver incitato” la polizia a uccidere otto dimostranti durante una di queste manifestazioni. Accusa assai difficile da provare. In compenso in due successive manifestazioni pro Morsi (incarcerato insieme a qualche centinaio di dirigenti dei Fratelli) svoltesi al Cairo, sono stati uccisi, a seconda delle stime, dai 600 ai 2000 dimostranti.

Il paradosso dei paradossi è che ora al potere c'è un generale, Al Sisi, di quell'esercito, lautamente finanziato dagli americani, che per trent'anni ha sostenuto il dittatore Mubarak. E se Morsi aveva ottenuto la maggioranza dei consensi era proprio perché i Fratelli sono stati l'unica forza che per trent'anni si è opposta a Mubarak, mentre i laici, i comunisti, i salafiti e compagnia cantante se ne stavano ben al coperto.

La vera colpa dei Fratelli Musulmani è appunto di essere musulmani (anche se nel periodo del suo breve governo Morsi non ha emanato nessuna legge tipo shariah). Ed è per questo che i Paesi occidentali, sempre pronti a ficcare il naso in casa altrui quando gli fa comodo, nel caso dell'Egitto si comportano come le tre scimmiette dell'apologo: non guardano, non vedono, non sentono, gli va bene tutto, il colpo di Stato, la ridittatura dell'esercito, i generali tagliagole (l'unico comunicato, in perfetto stile liberal, di denuncia contro questa serie di illegalità anticostituzionali e antidemocratiche è stato dell'Emirato islamico d'Afghanistan del Mullah Omar).

Si ripete quindi la situazione dell'Algeria 1991 quando, dopo decenni di una sanguinaria dittatura militare, le prime elezioni libere furono vinte con larga maggioranza dal Fis (Fronte islamico di salvezza). I generali algerini, con l'appoggio dell'intero Occidente, le annullarono con la motivazione che il Fis avrebbe instaurato una dittatura. In nome di una dittatura del tutto presunta si ribadiva quella precedente. Ma a Morsi, che ha governato per un anno senza violare la Costituzione, non si puo' fare nemmeno questo processo alle intenzioni, la sola accusa che gli si puo' muovere è di essere stato, per inesperienza di governo, inefficiente (se il criterio dovesse essere questo noi italiani dovremmo allora abbattere, con la violenza, una classe dirigente al potere non da un anno ma da trenta). Ma Morsi non è amico degli americani, è musulmano, forse integralista. E allora 'Ecrasez l'infame!'. Ma gli infami, in Egitto e fuori, sono altri.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2013