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I suicidi di Monicelli prima e di Lizzani poi hanno riportato all'attenzione la questione della condizione dei vecchi nella società contemporanea, anche se, per la verità, i due, 95 anni il primo, 92 il secondo, più che dei vecchi erano dei vegliardi 'hors catégorie' inoltre erano degli uomini famosi probabilmente tentati, come spiega il sociologo Domenico De Masi, dall'ambizione inconscia di entrare nel mito, di sopravvivere a se stessi, sottraendosi, in qualche modo, alla morte nel momento in cui volontariamente se la davano. Che è cio' che pensavano i Romani che ritenevano che una morte degna (che, oltre a quella in battaglia, era il suicidio) non solo dava un'identità definitiva all'individuo ma gli permetteva di aspirare alla gloria che, a differenza del successo in vita, era un modo per tramandarsi ai posteri, insomma, molto materialisticamente, la loro trascendenza.

Io intendo pero' qui parlare della vecchiaia delle persone normali. Il fenomeno del suicidio dei vecchi, che va comunque legato alla crescita esponenziale dei suicidi nel mondo occidentale (in Europa a metà del Seicento, un secolo prima del take off industriale, erano 2,5 per 100 mila abitanti, nel 1850 6,8, triplicati, oggi superano il 20, decuplicati) è relativamente recente. In Italia un terzo dei suicidi riguarda gli over 65, che sono il 20% della popolazione, e la metà soffre di depressione come denuncia il geriatra Carlo Vergani. Il che fa piazza pulita su tutte le fole che ci raccontano su «vecchio è bello». Scrive lo storico Carlo Maria Cipolla: «Una società industriale è caratterizzata dal continuo e rapido progresso tecnologico. In tale società gli impianti divengono rapidamente obsoleti e gli uomini non sfuggono alla regola. L'uomo industriale è sottoposto a un continuo sforzo di aggiornamento e tuttavia viene inesorabilmente superato. Il vecchio nella società agricola è il saggio, nella società industriale è un relitto. Nel mondo agricolo d'antan, prevalentemente a tradizione orale, il vecchio è il detentore del sapere, resta sino alla fine il capo della famiglia, conserva un ruolo e la sua vita un senso. Oggi questo ruolo di 'faro' di punto di riferimento lo ha perduto.

C'è poi la tremenda solitudine del vecchio nella società contemporanea. Un vecchio oggi, se è benestante, ha la tv, il cellulare, l'I-pad, l'auto, se è ancora in grado di giudare, e numerosissimi altri gadgets. Ma è solo. Vive da solo. In Germania, in Francia, in Belgio, in Danimarca, in Norvegia, negli Stati Uniti solo il 2% dei vecchi vive con i propri figli e nipoti. Nelle società tradizionali (quelle poche che abbiamo lasciato in vita) il vecchio non possiede nessuna delle bellurie della Modernità, ma, rivestito d'autorità sacrale, vive circondato dai figli, dai nipoti, dalle donne di casa e da esse accudito nel periodo, fortunatamente breve, in cui non è più in grado di badare a se stesso, e da numerosissimi bambini.

A proposito di questi ultimi si assiste da qualche tempo a un fenomeno completamente nuovo: il suicidio dei bimbi. Una cosa che non si era vista mai, da che mondo è mondo.

«C'è del marcio nel Regno di Danimarca». Ma noi, ostinatamente, cocciutamente, cretinamente, vogliamo continuare a credere che sia «il migliore dei mondi possibili».

Massimo Fini

Il Gazzettino, 11 ottobre 2013

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Allora era tutta una farsa. Allora il lavoro del Pm De Pasquale, del Tribunale di Milano (tre giudici), della Corte d'appello (tre giudici), della sezione feriale della Cassazione (cinque giudici) è stato inutile. Allora le sentenze pronunciate in nome, e col denaro, del popolo italiano non valgono nulla. Allora la condanna a sette anni per concussione e prostituzione minorile cadrà, di fatto, nel nulla, cosi' come si fermerà il procedimento per corruzione dell'onorevole De Gregorio (che senso ha continuare, impegnare altre energie, altro tempo e altro denaro se si sa già che non porterà da nessuna parte?). Allora la manfrina del Pd sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi era solo e davvero una manfrina (se con l'amnistia non esiste più il reato decadono anche le ragioni della decadenza). Adesso gli esponenti del Pd si affrettano ad affermare che indulto e amnistia non includeranno i reati di Berlusconi. Ma non si puo' fare una legge 'ad personam', mandando fuori 24 mila delinquenti, per trasformarla poi in una legge 'contra personam'. La logica, o per meglio dire l'illogica, è la stessa. E poi i Pd dicono questo per placare, li' per li', l'indignazione popolare, ma passati i bollori, calmate le acque, voteranno col Pdl un'amnistia o un indulto che comprenda anche Berlusconi. Allora il brusco voltafaccia del Cavaliere che ha votato la fiducia al governo, cui io, sbagliando, avevo dato qualche credito, era il prezzo concordato con Napolitano per ottenere il sospirato salvacondotto. Quello di Napolitano è stato, per usare un'espressione cara ai pidiellini, «un'intervento a orologeria». E' curioso che il Capo dello Stato si accorga della questione del sovraffollamento delle carceri, che esiste da vent'anni, solo dopo la condanna definitiva, che evidentemente definitiva non è, del Cavaliere. Del resto i precedenti dicono che indulto e amnistia non servono a niente. Dopo l'indulto del 2006 le carceri nel giro di un paio di anni si riempirono tornando ai livelli di prima. Tant'è che oggi il problema, puntualmente, si ripropone. I delinquenti liberati dall'indulto tornano regolarmente a delinquere, per abitudine o per disperazione perchè non hanno altre alternative. E quando, dopo il provvedimento di clemenza, torneranno a commettere crimini i primi ad indignarsi saranno quelli che quel provvedimento lo hanno voluto scaricandone poi, come sempre, la responsabilità sui magistrati che hanno applicato le leggi che quegli stessi hanno varato. Non ho mai capito perchè, in vent'anni, non si sono costruite nuove carceri, più civili di quelle attuali. Non si dice sempre che l'edilizia (e questo dovrebbe valere anche per quella carceraria) è il volano dell'economia? Comunque altri dovrebbero essere i provvedimenti strutturali da prendere, in primo luogo una drastica riduzione dei tempi dei processi in modo che quelli che risulteranno innocenti rimangano in carcere il meno possibile e non vedano rovinata la loro vita da una detenzione preventiva di anni (la metà della popolazione carceraria è di detenuti in attesa di giudizio). Napolitano, accusato dai 5Stelle di un intervento a favore di Berlusconi, ha perso le acque e ogni ombra di imparzialità, replicando che i grillini «se ne fregano della gente e dei problemi del Paese». Un Presidente della Repubblica non puo' prendere partito a favore o contro una forza politica e le sue legittime opinioni senza violare, in modo gravissimo, i propri doveri costituzionali di arbitro 'super partes'. In un articolo infame Vittorio Feltri, che è forcaiolo nell'anima (chi, Vittorio, pubblico' sull'Indipendente la fotografia di Carra in manette godendo di quell'inutile umiliazione, chi, ai tempi, chiamava Craxi 'il cinghialone' dando a un'inchiesta giudiziaria il sapore di una caccia sadica, chi se la prendeva anche con i figli di Craxi, Stefania e Bobo, che non c'entravano nulla con le colpe del padre?) accusa «i miserabili giustizialisti che predicano il consueto e gretto luogo comune: chiudete le celle e buttate via la chiave». Per la verità è stata Daniela Santanchè, la tua padrona, a dichiarare: «In galera subito e buttare via le chiavi». Naturalmente per i reati da strada, quelli commessi dai poveri cristi. Il Pdl è sempre stato contrario all'amnistia ora gli è favorevole perchè puo' salvare Berlusconi. Che facce toste. Che facce da culo. Basta, con questi mascalzoni, di destra e di sinistra, che ci prendono in giro da vent'anni, non c'è più possibilità di mediazione alcuna. Marco Travaglio concludeva il suo articolo di ieri scrivendo «prima o poi gli onesti si incazzano». Ci credo poco perchè sono trent'anni che ci facciamo trattare da asini al basto, da pecore da tosare, da sudditi. Ma se dovesse avvenire sarà una vera rivolta. Perchè, come dice la Bibbia, «terribile è l'ira del mansueto».

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2013

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Questa storia del Milan il cui campo è stato squalificato per un turno per 'discriminazione territoriale' perchè a Torino, durante la partita con la Juve, i tifosi rossoneri cantavano cori antinapoletani («Noi non siamo napoletani», embè?) non è solo grottesca, è pericolosa. Perchè in questa società che nella sua smania di 'politically correct' tende a reprimere tutti gli istinti e anche i sentimenti, come l'odio (vedi tutti i reati liberticidi previsti dalla legge Mancino cui adesso si è aggiunta anche l'omofobia per cui uno non puo' più dare del 'finocchio' a un finocchio senza andare in galera) a favore di un'astratta razionalità, ci si è dimenticati che l'aggressività fa parte della vitalità e che volerla eliminare del tutto ha gravi conseguenze. La prima è di svilirizzare un popolo. E questo è il motivo per cui noi ci troviamo tanto in difficoltà con gli immigrati soprattutto di origine slava che la violenza ce l'hanno, beati loro, nel sangue («Un po' di violenza non fa mai mal/leggi un romanzo di Mickey Spillane» era uno slogan di anni un po' meno codini dei nostri). La seconda è che a furia di reprimerla l'aggressività poi esplode in forme mostruose, molto meno innocue di un coro da stadio. Tutte le culture che hanno preceduto la nostra lo sapevano e il loro sforzo è stato quello di canalizzare la violenza in modo da poterla controllare e tenerla entro la soglia di una ragionevole tollerabilità. I neri africani, maestri del genere prima che l'Occidente ne violentasse le culture, si erano inventati la guerra 'finta' (chiamata fra i Bambara rotana per distinguerla dalla diembi la guerra vera), levando le alette dalle frecce in modo da rendere il tiro impreciso e innocuo, la festa orgiastica. Fra gli Ashanti, tribù, un tempo, molto bellicosa, c'era una settimana in cui tutti potevano insultare a sangue chiunque, anche il re, senza conseguenze. Poi tutto rientrava nella normalità. In fondo anche il Carnevale europeo, finchè è stato tale, aveva questa funzione di sfogo. Fra i Greci il meteco, il 'capro espiatorio' che veniva sacrificato quando in città si creavano tensioni pericolose, aveva il significativo nome di pharmakos.

In tempi moderni lo stadio aveva fra le sue funzioni, non marginali, quella di canalizzare e rendere sostanzialmente innocue l'aggressività e la violenza che devono essere, entro certi limiti, tollerate, sugli spalti e in campo. Altrimenti si finisce con 'i delitti delle villette a schiera' come li chiama Ceronetti. In Sampdoria-Torino ho visto l'arbitro, Gervasoni, appioppare otto ammonizioni per contrasti che un tempo non sarebbero stati considerati nemmeno falli. Il campo di calcio è stato trasformato in una sorta di 'tea party'. La Tv ha completato il tutto (sono stati quei morbosi segaioli di Sky a cogliere un coro che nessuno aveva sentito). Un calciatore che ha ricevuto un pestone tremendo non puo' nemmeno urlare una sacrosanta bestemmia, che l'arbitro non ha sentito o ha saggiamente ignorato, che, zac, la moviola la traduce sul labiale. La Tv ha invaso il sacrario. Basta, via, raus, foera de ball. Ridateci il calcio di una volta. «Un po' di violenza non fa mai mal».

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2013