Domenica scorsa il Procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, intervenendo al Congresso dell'Associazione nazionale magistrati, riferendosi al giurista francese Antoine Garapon che aveva denunciato gli atteggiamenti anti istituzionali dell'ex presidente Sarkozy, ha affermato: «Sarkozy quanto ad atteggiamenti anti istituzionali ne ha di strada da fare. Noi siamo andati molto, ma molto più avanti». I berlusconiani sono insorti ritenendo che Bruti Liberati si riferisse al loro leader. E a chi altro semmai? Quale premier in carica, francese o di qualsiasi altro Paese europeo o extraeuropeo, ha affermato, parlando per sopramercato all'estero, che la magistratura del suo Paese, del Paese di cui era alla guida, «è il cancro della democrazia»? Quale altro premier ha dichiarato che «i magistrati sono antropologicamente dei pazzi»? Quale altro ex premier raggiunto da una sentenza definitiva e condannato a quattro anni per frode fiscale, si rifiuta di accettarla e tiene in bilico il governo del suo Paese (pardon, del «mio Paese», del «Paese che amo») che sta attraversando una grave crisi economica, minacciando sconquassi se non gli verrà garantito un salvacondotto, cioè di non pagar dazio per il reato che ha commesso? Tutto questo per Francesco Nitto Palma, presidente Pdl della Commissione Giustizia del Senato, non è grave e su questo non ha mai profferito verbo. «Gravissimo è che il procuratore di Milano, titolare dell'ufficio presso il quale pende un procedimento a carico di Silvio Berlusconi, abbia fatto un chiaro riferimento (al leader della neo Forza Italia, ndr)». Puo' essere che Bruti Liberati, magistrato peraltro molto stimato a Milano, abbia sbagliato. Ma questo è il classico apologo del fuscello e della trave. Non c'è volta in cui il Cavaliere sia stato colpito da un provvedimento giudiziario sfavorevole (ultimo il rinvio a giudizio a Napoli per la presunta corruzione del senatore De Gregorio, presunzione detta in via prudenziale poichè non si vede perchè mai De Gregorio avrebbe dovuto autoaccusarsi per beccarsi una condanna a un anno e otto mesi), che i berlusconiani non siano insorti gridando all' 'accanimento giudiziario', al 'complotto delle toghe politicizzate'. Possibile che tre giudici del Tribunale di Milano, tre della sua Corte d'Appello (caso Mediaset), tre di un'altra sezione del Tribunale milanese (caso concussione/Ruby), uno di Napoli (caso De Gregorio) , cinque di Roma (ancora caso Mediaset) e persino i tre magistrati civili del primo verdetto sulla separazione da Veronica Lario («tre donne comuniste» secondo il Cavaliere) siano tutti in combutta per colpire, violando la legge, Silvio Berlusconi? Che si sia in presenza di un'associazione a delinquere che, in quanto tale, dovrebbe essere denunciata nelle sedi competenti e cioè davanti ad altri Tribunali della Repubblica?
Il fatto è che mentre i berlusconiani non fanno altro che accusare i magistrati di agire in base a 'teoremi', non si accorgono, quando in buona fede, di essere seduti su un'assioma: l'innocenza di Berlusconi 'a prescindere'. Ma mentre un teorema deve essere dimostrato, l'assioma, in quanto petizione di principio, non ha bisogno di questo sforzo. Non ha bisogno di dimostrazioni. E' indistruttibile.]
Particolarmente odioso è che tutte queste illogicità vengano utilizzate per salvare un soggetto condannato in via definitiva per una collossale frode fiscale, proprio in un momento in cui noi, 'gente comune' come veniamo sprezzantemente chiamati, siamo tartassati, è il caso di dirlo, da Equitalia, magari per una disattenzione, una distrazione o un ritardo. Ma per noi non ci sono salvacondotti.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 1 novembre 2013
Paul Tibbets è il pilota che sgancio' l'atomica su Hiroshima. Nel 1985 un giornalista del The Columbus Dispatch, Mike Harden, lo intervisto' e, alla luce delle spaventose conseguenze di quella Bomba, gli chiese: «Lo rifarebbe oggi?». «Certo» rispose «Sono stato educato alla disciplina. Ai miei tempi se uno riceveva un ordine da chi ne aveva l'autorità, obbediva». Non capisco perchè quello che, a quel tempo, valeva per Paul Tibbets non dovesse valere anche per Erich Priebke. Perchè gli americani la guerra l'hanno vinta e i tedeschi persa?
Nel 1947 fu processato Kappler, le ferite del secondo conflitto mondiale erano molto più sanguinanti di quanto possano essere oggi, ma proprio perchè si era ancora vicinissimi alla guerra se ne conoscevano le leggi. E infatti Kappler, il diretto superiore di Priebke, non fu condannato per la rappresaglia in sè, che era ammessa e legittimata dalla Convenzione di Ginevra, ma perchè in un macabro eccesso di zelo fece fucilare cinque persone in più di quanto previsto. Quando gli Alleati occuparono la Germania, i francesi emisero bandi di rappresaglia nella proporzione di 20 a uno, i russi di 50 a uno e gli americani, sempre grandiosi, di 200 a uno. Ma poichè la Germania era rasa al suolo e non ci fu nessuna resistenza partigiana manco' l'occasione di applicarli.
Tibbets in un'altra occasione, intervistato da un giovane giornalista televisivo, disse: «Posso raccontarle quello che ho fatto, ma dubito che noi due riusciremo a comunicare. Lei è troppo giovane. Lei non puo' capire». Non si puo' capire in tempo di pace cio' che è avvenuto in tempo di guerra. Perchè sono due dimensioni incommensurabili, in cui vigono regole completamente diverse. Cio' che è lecito in guerra, uccidere, è assolutamente proibito in pace. Per questo, in tutti i tempi e presso tutte le culture, il passaggio dalla pace alla guerra è sempre stato segnato da rigorosi riti di demarcazione. In epoca moderna dalla dichiarazione di guerra. Negli ultimi decenni queste sane abitudini si sono perse. Oggi la guerra si fa, con cattiva coscienza e percio' non la si dichiara. Si preferisce chiamarla 'missione di pace', 'operazione di peacekeeping', 'intervento umanitario'. Con cio' ingenerando non solo una grande confusione ma spazzando via quel poco di 'ius belli' che aveva sempre regolato le guerre (per esempio nel trattamento dei prigioneri di cui, non essendoci più una guerra dichiarata, si puo' fare carne di porco, vedi Guantanamo). Quando parliamo di crimini commessi durante l'ultima guerra mondiale (che naturalmente ci furono come dimostra la sacrosanta condanna di Kappler o la strage di Cefalonia dove i tedeschi uccisero i soldati italiani loro prigionieri) dobbiamo fare lo sforzo di riferirci al contesto in cui avvennero. Se Priebke si fosse rifiutato di obbedire a Kappler sarebbe stato un eroe. Ma non era Salvo D'Acquisto, non era un eroe. Era un uomo dallo spessore intellettuale e morale di un domestico che vestiva un'uniforme da soldato. E vorrei proprio vedere fra coloro, giornalisti, opinionisti, conduttori televisivi, che oggi fanno tanto i muscolari e le 'anime belle' chi, nel 1944, avrebbe osato resistere a un ordine che veniva direttamente da Adolf Hitler.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2013
Come se non bastassero i reati liberticidi contemplati nella legge Mancino (istigazione all'odio razziale, antisemitismo, xenofobia) cui si è aggiunto di recente l'omofobia, adesso la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all'unanimità una nuova fattispecie di reato, il negazionismo, per cui si punisce con la reclusione da uno a sette anni chi «nega l'esistenza di crimini di genocidio o contro l'umanità». Ma prima di entrare nel merito di questo reato di nuovo conio, che ha nel mirino soprattutto se non esclusivamente i negazionisti dell'Olocausto, è bene chiarire che cosa si intende per istigazione. Se io dico «Gli ebrei che vivono a Venezia devono essere uccisi» è istigazione a delinquere perchè incito, sia pur genericamente, a commettere un reato, l'omicidio. Ma questo vale per tutti i reati contemplati dal Codice penale (art.115 c.p.). Ma se io dico «Odio tutti gli ebrei che vivono a Venezia» dico una cosa stupida ma non istigo nessuno a commettere un reato a meno che non si consideri tale l'odio in sè e per sè come fa la legge Mancino. Ma l'odio, come la gelosia o l'ira, è un sentimento e nessun regime, nemmeno il più totalitario, aveva mai tentato, prima degli attuali regimi che si dicono liberali, di mettere le manette ai sentimenti. Ecco perchè considero la legge Mancino ultraliberticida, perchè manda al gabbio non solo le idee che non piacciono alla 'communis opinio' ma anche ai sentimenti.
Col reato di negazionismo ci si spinge ancora un po' più in là. Come osserva il magistrato penale Mauro Morra in una mail che mi ha gentilmente inviato: «Non si sanziona più solo l'istigazione o l'apologia di delitti contro l'umanità, ma anche il semplice fatto di negarne l'esistenza». Un puro reato di opinione se mai ne n'è stato uno. Il che ha l'ulteriore conseguenza di impedire la ricerca. In Austria, dove questo reato esiste già, è stato condannato alla reclusione per tre anni (ne ha scontato poi circa la metà) lo storico inglese David Irving che in base a delle sue ricerche, pubblicate nel libro La guerra di Hitler, non nega l'Olocausto ma ne ridimensiona l'entità. Peraltro ha pochissimo significato se gli ebrei finiti nelle camere a gas siano stati, per ipotesi, quattro milioni invece di sei, perchè non è una questione di quantità ma di qualità, cioè il crimine e l'orrore stanno nel motivo per cui furono internati e uccisi: per il solo fatto di essere ebrei. E' questa la specificità dell'Olocausto, il motivo che lo differenzia dagli altri 50 milioni di morti della seconda guerra mondiale. Ma se uno storico vuole fare ricerche in tal senso ha il pieno diritto di farlo, assumendosene la responsabilità che è morale ma non puo' essere penale, a meno che, senza voler fare paragoni blasfemi ma solo per intendere meglio i principi che sono in gioco e le conseguenze della loro violazione, non si voglia tornare all'epoca di Galileo e del cardinale Bellarmino.
Infine il reato di negazionismo sarebbe controproducente rispetto ai suoi fini.] Perchè come ogni proibizionismo ecciterebbe la trasgressione, soprattutto nelle menti giovanili. Come ci insegna la Storia, anche recente, e come sa chiunque abbia, o abbia avuto, figli adolescenti.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 25 ottobre 2013