0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Ho letto che una signora di Sassari, di soli 42 anni, gravemente ustionata in varie parti del corpo, avrebbe potuto essere salvata con l’amputazione di un piede e di una mano. Ma la signora, alla presenza di tre magistrati, ha rifiutato l’operazione e poco dopo è morta. L’arcivescovo di Sassari, Paolo Atzei, ha definito la cosa ‘orrenda’ e ha affermato:‘‘Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Nessuna legge può spezzare una vita’’. Dite quel che volete, ma io sono d’accordo con l’arcivescovo.

Mario Nunez, Arezzo

In uno stato moderno e laico la vita non appartiene né alla Chiesa né allo Stato, ma solo a chi ne porta il fardello. La decisione della signora è perfettamente legittima come corretto è il comportamento degli altri protagonisti o comprimari di questa triste vicenda: i medici che hanno rispettato la volontà della donna, i magistrati che l’hanno certificata e i genitori che hanno dato il loro assenso peraltro ininfluente. Troppo spesso, in vicende come queste, si dimentica che la nostra Costituzione prevede che ‘‘nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario contro la sua volontà’’. Maria Grazia Panin, così si chiama la signora, era perfettamente lucida quando le è stato chiesto se intendeva sottoporsi a un intervento che l’avrebbe mutilata e ha detto di no. Com’era suo sacrosanto diritto. La presenza dei magistrati serviva solo ad accertare la volontà della donna e che tale volontà fosse espressa nel pieno possesso delle facoltà mentali. Se i medici si fossero opposti alla volontà della donna avrebbero violato la Costituzione, la legge e avrebbero commesso un reato. Con buona pace dell’arcivescovo di Sassari la legge, per quanto alle volte possa sembrare il contrario, ha ancora un valore in questo Paese. E nessuno può essere mutilato contro la sua volontà, sia pure ‘a fin di bene’. Qual è il mio bene lo decido io e solo io.

Massimo Fini

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Sì. Caro DeCarlo, finisce l’anno e finisce anche il nostro duello. Non siamo mai stati d’accordo su nulla, ma non perché ci costringesse l’impostazione della rubrica,ma per intima convinzione. Tu sei più americano degli americani, più repubblicano dei repubblicani. Le nostre divergenze sono state quindi, in particolare, sulla politica estera degli Stati Uniti: sulla teoria della ‘guerra preventiva’ di Bush,sul nucleare iraniano, sulla guerra all’Iraq e, soprattutto, su quella all’Afghanistan che io considero la più vergognosa delle guerre occidentali dove 38 Paesi, fra cui il nostro, armati nel modo più sofisticato, tentano di schiacciare il  diritto all’autodeterminazione e alla libertà dallo straniero di un popolo coraggioso e fiero. Tu sei d’opinione opposta: là si combatte la battaglia  decisiva contro il terrorismo. Ma le diversità non  sono solo il sale di un dibattito, sono il sale della vita. Per questo mi batto contro l’omologazione del mondo sotto la bandiera della democrazia e dei valori occidentali. Sei stato comunque un avversario coerente e auguro a te e ai nostri lettori un Buon anno nuovo.

Massimo Fini

Sì. Caro Fini, mai rubrica sul nostro giornale era durata tanto a lungo,cinque anni. Raramente aveva suscitato tanta attenzione e tante reazioni. Contrapposizioni nette, senza sfumature, giri di parole, ambiguità di comodo. Tutto ci divideva. E non solo sulla politica estera. Nero e bianco. E i lettori lo apprezzavano a giudicare dalle lettere che ricevevo e che certamente continueranno perchè il nostro scontro da diretto diventerà indiretto su questo stesso giornale. Debbo dire che sei stato il migliore dei provocatori. La tua vis polemica ha consentito di definire meglio la mia. E in omaggio alla coerenza di cui parlavi, ti debbo dire che non sono d’accordo nemmeno questa volta. Noi occidentali non cerchiamo di imporre niente. Quei valori, democrazia, pluralismo, diritti civili per essere nostri non sono meno universali. Li stiamo solo difendendo dai fanatici che ci hanno attaccato nel nome di Allah. Buon Anno anche a te.

Cesare De carlo

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Mi sono  persuaso che lei e il signor Gad Lerner abbiate fatto la stessa scuola di giornalismo e che il vostro indottrinamento politico vi sia stato inculcato da un professore di comunismo massimalista. Lei, signor Fini, ostenta autonomia sia da destra che da sinistra ma perchè lei e Lerner esprimete le stesse discredite convinzioni e il vostro odioso estremismo anti Berlusconi? Le vostre sterili considerazioni sono di una superficialità inconcepibile per persone che si suppone abbiano una cultura superiore.

Gian Pietro Fogli, Ferrara

Lerner ha fatto il ’68, io no. Lerner era di Lotta Continua, io non ho mai militato in alcun gruppo extraparlamentare di sinistra. Lerner conduce da anni programmi televisivi, io dalla Rai non ho avuto mai nemmeno una consulenza. Se esprimo perplessità sull’annuncio di Berlusconi di voler cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza (cui lei, principalmente, si riferisce) non sono d’accordo con Lerner ma col Capo dello Stato che ha affermato che «nessuno può pensare di cambiare i princìpi fondamentali della Costituzione o alterarli». Nella sua lettera, insieme a insulti e altre sciocchezze, lei scrive che «il lodo Alfano non è stato ancora approvato dal Parlamento e contestarlo è un falso deontologicamente e storiograficamente di cattivo giornalismo». Il lodo Alfano è stato approvato dal Parlamento, controfirmato dal Presidente della Repubblica ed è legge dello stato. Insulti pure ma, prima, si informi. Una volta esistevano i ‘trinariciuti’ di sinistra, ora ci sono anche quelli di destra. Si salvi chi può.

Massino Fini

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Le croonache ci dicono che sui voli dall’Italia per le Maldive o per i Caraibi non si trova più un posto. Che le località sciistiche più prestigiose sono zeppe. Che gli alberghi a cinque o a sette stelle sono in overbooking. E allora dov’è la crisi, dov’è la recessione? La crisi c’è, ma si innesta su un fenomeno di lungo periodo che riguarda tutti i Paesi sviluppati e che in Italia è divenuto percebile a partire dai primi anni ’70: la forbice fra ricchi e poveri tende inesorabilmente ad allargarsi. Come scrivevo in un articolo sul Giorno del 15/12 del 1983, intitolato ‘Il ceto medio va indietro’, «i ricchi diventano sempre più ricchi e anche più numerosi, ma anche i poveri diventano sempre più poveri e molto più numerosi dei ‘nuovi ricchi’. Una parte, minoritaria, del ceto medio ascende all’empireo della ricchezza, un’altra, molto più numerosa, scende nella cajenna delle nuove povertà. Ecco perché ci sono molte persone sulle quali la crisi non ha alcun peso, che possono spendere e spandere come e più di prima, e un numero di gran lunga maggiore che deve tirare la cinghia. La proletarizzazione del ceto medio è un dramma per chi la vive. Non solo per la frustrazione e la vergogna di vedersi degradati. Chi è stato sempre povero ha imparato l’arte di arrangiarsi e può contare su una rete di solidarietà. L’ex ceto medio non ha questo know how e nessuna rete di solidarietà. La situazione è ben fotografata dal bel film di Soldini ‘Giorni e nuvole’. Il protagonista (un bravissimo Antonio Albanese) è un manager genovese di mezza età che viene licenziato da un giorno all’altro insieme ad alcuni dei suoi operai. Ma mentre questi troveranno il modo di cavarsela e alla fine anche un posto di lavoro al Porto grazie a vecchie amicizie sindacali, lui incontrerà prima, nel frustrante calvario dei colloqui per un’assunzione, la freddezza dei suoi ex pari grado e quando, sconfitto, cercherà di adattarsi a lavori più umili, come il tapezziere, non ci riuscirà. Non per mancanza di volontà, ma di capacità. L’ALTRO GIORNO ero dal macellaio e avevo posato a terra il sacchetto della spesa. Mi sono distratto: non c’era più. «E’ stato quello là» mi ha detto il macellaio. L’ho raggiunto. Era un signore anziano, vestito dignitosamente, con la camicia un po’ lisa ma pulita. «Quella roba è mia», «Lo so» ha risposto. «Mi scusi, me ne vergogno profondamente». C’è un fenomeno su cui varrebbe la pena di riflettere. La ricchezza delle nazioni non fa che aumentare, perché, se prescindiamo dalla crisi attuale e guardiamo le cose nel tempo, il Pil e la produzione non han fatto che crescere, ma noi, presi singolarmente, già da ben prima della crisi, facciamo fatica a mantenere le posizioni, più facilmente ci impoveriamo. E’ uno degli effetti paradossali dello sviluppo industriale. E’ stato Tocqueville a notare nel saggio «Sulla povertà», scritto nel 1830, che nell’Inghilterra del suo tempo, il Paese più opulento d’Europa, nel pieno del suo sforzo industriale, i poveri erano sei volte di più che in Spagna e Portogallo che erano appena all’inizio di quel processo, mentre nei Paesi non ancora toccati dall’industrializzazione la povertà non esisteva. Inoltre una cosa è essere poveri dove tutti, più o meno lo sono, come eravamo noi nei ’50. Si può essere felici lo stesso. Ma si passa dalla categoria di povero a quella di miserabile se intorno a te brilla un’opulenza sfacciata e tu sei costretto a rubare la borsa della spesa. Massimo Fini

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Oggi parliamo di scarpe, caro Fini. Di quelle scagliate contro Bush a Bagdad e che, lungi dal rappresentarne l’umiliazione, sono la consacrazione del trapianto di democrazia. Il balilla iracheno sarebbe stato fucilato sul posto se avesse osato un analogo lancio al tempo di Saddam Hussein e la gente che a Sadr City lo ha festeggiato nelle strade sarebbe stata massacrata dalla Guardia repubblicana. La protesta è l’ossigeno di una società libera. Principio ovvio in un occidente che da secoli ha metabolizzato Voltaire. Non nel Medio Oriente islamico che un suo illuminismo lo deve ancora sperimentare. E allora il duplice augurio per il 2009 è che Muntasser Al Zaid venga prontamente rilasciato e che la sua esuberanza sia d’esempio agli altri arabi ansiosi di riscattarsi da regimi autocratici e teocratici. Perchè – parafrasando il filosofo francese – chiunque dovrebbe essere disposto a immolarsi per difendere il diritto del prossimo di togliersi le scarpe e farne i proiettili della libertà di espressione. Anche a costo di rimanere scalzo per il resto della vita.Carla Bruni First Lady francese e cantante EBRAHIM NABAVI Giornalista iraniano discografici ai bimbi di Haiti. Sono felice che la musica serva a questo.Ahmadinejad poteva essere il nostro presidente più famoso. Invece ha distrutto economia, politica e cultura.

Cesare De Carlo

Caro De Carlo, è quasi commovente come tu riesca sempre ad autoconsolarti. Il lancio delle scarpe contro Bush del giornalista sciita Muntadar e le imponenti manifestazioni popolari per la sua immediata scarcerazione dicono solo dell’odio profondo degli iracheni contro i «liberatori» americani che sono riusciti ad accumunare in questo, ma solo in questo, sunniti e sciiti benché questi ultimi, all’epoca, fossero sot- to il tallone del sunnita Saddam. E non protrebbe essere diversamente. Il «trapianto di democrazia» in Iraq ha provocato, direttamente o indirettamente, 650mila morti (calcolo semplice fatto da una rivista medica inglese confrontando i decessi negli anni di Saddam con quelli del dopo 2001), una disoccupazione del 50%, mentre gli attentati e gli scontri armati continuano ad avere cadenza quotidiana e il Paese è distrutto. Un bilancio che mette in bocca agli iracheni la famosa frase longanesiana: si stava meglio quando si stava peggio.

Massimo Fini