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Berlusconi è morto e consuma il suo Eterno Riposo nel mausoleo di Arcore, ma la sua anima, sarebbe meglio dire il suo spirito, aleggia ancora, se non in Cielo, perché sarebbe azzardatissimo dire quale posto occupi l’ex Cavaliere in quel lontanissimo e remoto Empireo, perché innanzitutto bisognerebbe dare per presupposto che esista un Cielo e che in quel luogo si eserciti, oltre a quello di primo grado, l’Appello, la Cassazione, la Revisione, la Corte internazionale dei diritti dell’uomo, anche un sesto e insindacabile giudizio, il Giudizio Universale, che dovrebbe punire alla fine dei Tempi i disonesti, i corrotti, i corruttori, i truffatori di ragazze minorenni ed orfane, e premiare coloro che in vita si sono comportati correttamente, cioè gli eterni fessi, insieme ai risparmiatori, ripagati, secondo il Verbo del Cristo, perché “è dei poveri di spirito il Regno dei Cieli” e poi “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco varchi la porta del Paradiso”. Campa cavallo, anzi cammello, perché per avere un po’ di giustizia dovremmo aspettare la fine dei Tempi.

Comunque, se non si può sapere se lo spirito di Berlusconi aleggi nel Regno dei Cieli, non si sa mai, agisce, e molto concretamente, nient’affatto spiritualmente, sulla Terra. Si sa che a Berlusconi i magistrati non sono mai stati molto simpatici. Li definì “antropologicamente pazzi”, non esseri umani in senso proprio, così come non gli è mai andata a genio la Magistratura nel suo complesso, per cui, lui premier, in terra di Spagna definì il legittimo, anzi doveroso, agire di Mani Pulite “una guerra civile”. Queste sì sono cose che non stanno né in Cielo né in Terra e che possono avvenire solo in Italia. In nessun altro Paese sarebbero passate senza qualche bacchettata del Presidente della Repubblica, da noi niente, aggiungendo così brace al fuoco della protervia berlusconiana cui contribuì parecchio Vittorio Feltri per cui per anni, sul Giornale da lui diretto (ho la raccolta completa), non c’era errore di un magistrato, commesso sia pure in Nuova Zelanda, che non trovasse posto in prima pagina.

Adesso sull’onda dello Spirito berlusconiano si riaffaccia la proposta di un test psicologico non solo per chi sta facendo tirocinio per entrare in magistratura, ma anche, come pare di capire nel confusissimo dibattito che questa proposta ha generato, ai magistrati già in servizio. Si è parlato anche di un Tso per costoro.

È ovvio che se passasse questa proposta, che vede come capofila, non a caso, un senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, appena un Pm prendesse un’iniziativa sgradita o un giudice deliberasse in modo altrettanto sgradito, si scatenerebbe mediaticamente e anche politicamente la caccia al magistrato. Emblematico è il caso del giudice Raimondo Mesiano, nel 2009, che aveva condannato Fininvest a risarcire la Cir di De Benedetti. Dopo un’udienza fu pescato da una troupe di Mediaset seduto su una panchina mentre fumava e gli si vedevano, sotto il risvolto, dei calzini color turchese. Segno inequivocabile, secondo la troupe di Mediaset, ripresa poi da altri media berlusconiani, di un’instabilità mentale. La troupe fu poi condannata per violazione della privacy e il direttore di Videonews, Claudio Brachino, fu sospeso dall’Ordine dei giornalisti. Ma intanto la minaccia mafiosa era arrivata. Stessa sorte era toccata a John Henry Woodcock, non a caso di origine inglese, uno dei nostri magistrati più irreprensibili, non rilascia interviste e quando lascia la città dove vive per una qualche indagine non ne informa nemmeno la propria fidanzata. Il giovane magistrato (allora era giovane, oggi ha 56 anni) fu pescato mentre inforcava una moto, non era normale.

Da Mani Pulite in poi si è fatta una lotta senza quartiere alla Magistratura, da parte dei berluscones ma non solo, che continua ancora oggi, come la proposta del “test attitudinale” dimostra.  

Berlusconi è morto e sia pace all’anima sua, il berlusconismo no e “lotta insieme a noi”, i mascalzoni.

Il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2024

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"Non è il sonno ma il sogno della Ragione che genera mostri" (M. F.)

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In un’intervista al Corriere della Sera Volodymyr Zelensky ha dichiarato: “Sappiamo che in Italia ci sono tanti filo-putiniani, e anche in Europa. Stiamo preparando una lista, non solo riguardo all’Italia, da presentare alla Commissione europea. Riuscirete a zittirli?”.

È la prima volta che un Paese vuole imporre la censura non solo al proprio interno, ma anche nei confronti delle opinioni pubbliche, dei media, dei giornalisti stranieri. Questo non l’aveva fatto Stalin, non l’aveva fatto Mussolini, non l’aveva fatto nemmeno Hitler. Si perseguitavano certamente i fuoriusciti e magari anche li si accoppava (i fratelli Rosselli uccisi in Francia dai fascisti) ma si trattava di propri connazionali. Secondo il diktat di Zelensky un giornalista italiano, poniamo Travaglio o io o chiunque sia contrario alla sua politica, dovrebbe finire in gattabuia. Del resto la sua vocazione censoria il Presidente ucraino la esercita innanzitutto in patria, dove ha abolito ogni partito di opposizione e tacitato la stampa. C’è qualcosa di nazisteggiante in Zelensky e la sua cricca, il battaglione Azov insegna, ma ciò non vuol dire naturalmente giustificare l’aggressione di Putin che voleva, così diceva, “denazificare” l’Ucraina. Resta il fatto che l’Ucraina di Zelensky è un Paese totalitario, talmente totalitario che non solo mette la mordacchia ai propri giornalisti, ma vorrebbe metterla anche a quelli stranieri.

Del resto questa azione censoria Zelensky l’aveva già fatta, proprio in Italia, ottenendola, ordinando attraverso il suo ambasciatore Melnyk che agli artisti russi fosse impedito di lavorare. Diktat a cui alcuni sindaci si erano subito appecoronati, cancellando i concerti dei pianisti russi Denis Matsuev e Valentina Lisitsa e il balletto di Sergei Polunin. Zelensky voleva anche imporre il cartellone della Scala. Nel 2022 tentò di scardinarlo perché la prima era dedicata al Boris Godunov di Musorgskij e il basso era il russo Ildar Abdrazakov. Per fortuna intervenne Mattarella, che a mio avviso si sta rivelando un buon Presidente della Repubblica, presenziando a quella prima, cosa che non era affatto scontata, come a dire: non scherziamo. Neanche Dostoevskij è sfuggito alla tromboneggiante censura di Zelensky e, per un certo periodo, in Italia è stato proibito darne pubblica lettura. Insomma, a detta di Zelensky, noi dovevamo leggere Dostoevskij o Tolstoj o Puskin di nascosto, come il Mein Kampf di Hitler.

Zelensky deve aver perso la testa, ammesso che l’abbia mai avuta. Perché? Perché è del tutto evidente che la Russia sta vincendo la guerra. Patetica è la seconda controffensiva di primavera che ha annunciato, che farà inesorabilmente la fine della prima. Ciò nonostante, l’Unione Europea, svuotando anche pericolosamente i propri arsenali, continua a sostenere l’Ucraina con armi e finanziamenti. L’ultimo è di 50 miliardi di euro. Molto più prudenti gli Stati Uniti, dove i conservatori si oppongono a dare all’Ucraina altri 60 miliardi di dollari, dopo averne elargiti, finora, 75. Le opinioni pubbliche europee, ma, come si vede, anche americane, sono stanche di questa politica che serve solo a esaltare il superomismo narcisista di Zelensky a scapito dei suoi stessi cittadini. Neanche gli ucraini sono più convinti di questa guerra a oltranza alla Russia se è vero, com’è vero, che otto milioni sono fuggiti all’estero.

E la brava Giorgia Meloni che fa? Ha ricevuto, sempre sul Corriere, un elogio formale di Zelensky e una reprimenda sostanziale perché l’Italia non sarebbe sufficientemente vicina all’Ucraina. Che fa? Tace, proprio lei che, di solito, è così attenta alla difesa della nostra identità e dignità nazionale. Non si può essere nazionalisti ed europeisti e nello stesso tempo superatlantisti, più atlantisti degli stessi americani che stanno mollando Zelensky al suo destino.

Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2024