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Dopo i cori razzisti contro Boateng nell'amichevole Pro Patria – Milan, la FIGC e il Viminale hanno deciso di varare la 'linea dura'. Lo stesso giocatore preso di mira dai cori razzisti potrà rivolgersi all'arbitro che, in accordo col responsabile dell'ordine pubblico, potrà decidere per la sospensione temporanea ma anche definitiva della partita.

Va da sé che il razzismo allo stadio é incivile, cretino e anche un po' ridicolo (spesso i tifosi che contestano il 'negher' dell'altra squadra hanno tre o quattro giocatori di colore nella propria, il che, per la verità, attenua la gravità del fenomeno e fa dubitare che si tratti di razzismo vero e proprio).Tuttavia non sono d'accordo con la 'linea dura'. Lo stadio di calcio non é solo un luogo di sport e di spettacolo, oggi anche, e forse soprattutto, di un business che sta svuotando questo gioco dei suoi contenuti mitici, rituali, simbolici, identitari che ne hanno fatto la fortuna per più di un secolo.E' un'arena. Dove parte degli spettatori – non necessariamente solo i giovani – va per sfogare i propri istinti e quell'aggressività che una società moderna, civile, illuminista comprime in tutti i modi. Ma un 'quantum' di aggressività é necessaria all'essere umano perché fa parte della vitalità (quella vitalità che noi italiani abbiamo perduto e che ci fa cosi' tremebondi davanti agli immigrati balcanici o magrebini che invece l'hanno conservata). L'aggressività non puo' quindi essere completamente eliminata da una società, perché é vitale e perché, se troppo compressa, finisce poi per esplodere, all'improvviso, nelle forme più violente e pericolose, come il coperchio di una pentola tenuta troppo a lungo sotto pressione. Le società preilluministe lo sapevano benissimo e si sono ingegnate a creare istituti in cui canalizzare l'aggressività, senza annullarla, ma tenendola sotto controllo ed entro limiti accettabili. La festa orgiastica, la guerra ' ritualizzata ', (diembi) dei neri africani, ma anche il carnevale europeo durante il quale ci si poteva permettere cose proibite durante il resto dell'anno, hanno questo significato. Non é un caso che nell'antica Grecia il 'capro espiatorio' fosse chiamato 'pharmako's ' ,medicina. Si scaricava su di lui l'aggressività collettiva che, altrimenti, agendo all'interno della comunità l'avrebbe distrutta.

Naturalmente noi moderni non possiamo più avvalerci di questi antichi espedienti. Ci manca anche la guerra, per noi la fanno le macchine. Ci rimane solo lo stadio. Ecco perché credo che allo stadio la violenza, finché rimane verbale, vada tollerata. Altrimenti a furia di imporre la tolleranza a tutti i costi, il 'politicaly correct' , le buone maniere si finisce nei delitti delle ' villette a schiera' , come li ha chiamati Ceronetti, dove tutto é lindo e pulito, corretto, ma un mattino uno si alza e sbudella una mezza dozzina di vicini.

Infine, i Paesi occidentali, con l'intrusione violenta del loro modello, hanno distrutto l'economia, la socialità, l'equilibrio delle popolazioni dell'Africa nera e le hanno ridotte alla fame. Ma di questo le 'anime belle' non si curano. Per loro l'Intollerabile é dare del 'negher' a un nero. Schifosi ipocriti.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2013

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Alle prossime elezioni si presenteranno come candidati numerosi magistrati (Grasso, Ingroia, Dambruoso, per dire dei più noti) che fino a pochi giorni fa erano in piena attività nell'amministrazione della giustizia.Si tratta di un'aberrazione. Un magistrato non dovrebbe entrare in politica perché questo getta un'ombra sulla sua attività pregressa. Il magistrato puo' anche essersi comportato nel modo più corretto e imparziale ma al cittadino resta il legittimo dubbio che abbia svolto il suo delicatissimo lavoro non ai fini superiori della giustizia ma per favorire gli interessi di parte della formazione politica con cui si é candidato. Questo dubbio basta per inficiare tutta la sua attività di magistrato. Come la moglie di Cesare non solo deve essere onesta ma deve anche apparirlo, cosi' un magistrato non solo deve essere imparziale ma deve anche apparire tale. E se si immerge nella lotta politica questa apparenza di imparzialità si dilegua. Tra l'altro poiché tutti i magistrati che abbiamo citato si sono candidati in formazioni di sinistra o di estrema sinistra, si finisce per dare ragione a Berlusconi quando delira sui complotti delle 'toghe rosse' ai suoi danni e sostiene che esiste un 'partito dei giudici'.

Dice : i magistrati sono cittadini come tutti gli altri e ne hanno quindi gli stessi diritti, anche quello, dismessa la toga, di fare politica attiva. I magistrati non sono cittadini come tutti gli altri é la loro delicatissima funzione, che puo' incidere sulla libertà e l'onorabilità delle persone, che impone loro dei limiti e dei doveri che i normali cittadini non hanno. Uno dei provvedimenti che dovrebbero essere presi nella prossima legislatura - ma é una utopia sperarlo- é una legge che impedisca ai magistrati, lasciata la toga, di entrare nella politica attiva o quantomeno che imponga un congruo lasso di tempo (cinque anni) fra l'abbandono della toga e il loro impegno attivo in politica. In questi cinque anni possono fare di tutto : gli avvocati, i pittori, i carpentieri ma non i politici.

Lo stesso discorso vale per le 'esternazioni' dei magistrati in carriera. Anche qui il limite alla libertà di espressione garantito a tutti i cittadini dall'articolo 21 della Costituzione é dato dalla loro funzione. Ci sono soggetti istituzionali che proprio a cagione dell'ufficio che svolgono hanno più doveri e quindi più limiti degli altri. Il Presidente della Repubblica é, come la Magistratura, un organo di garanzia, anzi il massimo organo di garanzia. Il suo primo dovere é quello di essere, e di apparire, imparziale. Non puo' dire « il partito Tal dei Tali non mi piace », anche se lo pensa, deve limitarsi a sussurrarlo in un orecchio a sua moglie. Oggi invece assistiamo ad un profluvio di dichiarazioni 'politiche' da parte dei magistrati, in convegni, in dibattiti, in conferenze stampa, nei talk show, e spesso su procedimenti in corso e addirittura su procedimenti di cui hanno la titolarità. Ci furono tempi, non poi tanto lontani, in cui il magistrato parlava solo 'per atti e documenti'. Erano, appunto, altri tempi. Di un'Italia più sobria, meno narcisista e più civile.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 11 gennaio 2013