“Noi difenderemo sempre la nostra libertà e i nostri valori” (Emmanuel Macron, dopo l’attentato a Nizza).
La vostra libertà, Presidente Macron? La vostra libertà. La vostra libertà è stata sempre quella di troncare con la violenza quella altrui. Avete un passato coloniale che fa orrore. Come tutti gli altri Paesi europei, come l’intera razza bianca (ho detto razza, restituiamo le parole ai fatti) ma non ci si può lavare l’anima, un’anima sporca come poche, con un facile e comodo “così fan tutti”. Era appena finito il processo di Norimberga, che secondo alcuni uomini di buona volontà avrebbe dovuto sancire la condanna definitiva della guerra, che con l’atroce brutalità di sempre soffocavate il Madagascar che cercava di liberarsi dalle vostre manette coloniali. Dopo la seconda guerra mondiale vi siete seduti come vincitori al tavolo della pace. Arbitrariamente, perché la vostra Resistenza è stata addirittura inferiore a quella italiana. Gerhard Heller, un singolare nazista (in realtà era solo un tedesco) che durante l’occupazione della Francia era a capo della Propagandastaffel, cioè della censura, e che invece lasciò pubblicare il giovane Camus (Lo straniero) e il giovane Sartre (A porte chiuse) e rappresentare le opere di quest’ultimo anche a teatro, diceva “siamo disgustati dalla quantità di francesi che vengono a denunciare altri francesi” (La Rive Gauche, H.R.Lottman). A parte che Heller era impregnato di cultura francese è evidente che la Gestapo riteneva del tutto innocua la resistenza o la pseudoresistenza degli intellettuali transalpini.
La vostra libertà, nonostante tutte le arie di grandeur, non siete mai stati capaci di difenderla. Durante la prima guerra mondiale foste salvati dagli inglesi. Nella seconda la strombazzata linea Maginot fu aggirata con irrisoria facilità dall’esercito tedesco e in due settimane Hitler passeggiava sugli Champs-Elysées. L’Europa fu salvata, ancora una volta, dallo straordinario valore e coraggio degli inglesi che come colonialisti non hanno meno responsabilità di voi ma a differenza vostra hanno le palle. Napoleone? Napoleone era corso e comunque fu sulla punta delle baionette, cioè ancora con la violenza, che furono esportati in Europa quei sacri princìpi dell’Illuminismo (liberté, égalité, fraternité) che voi rispettate un giorno sì e un altro no a seconda che vi convengano o non vi convengano.
Si dirà che son cose che appartengono a un passato ormai lontano. Mica tanto. Siete stati in Algeria, se non sbaglio, sino al 1962. Siete l’unico Paese europeo che fa uso ancora di pratiche coloniali vieux style. Nel Mali del Nord –ed è storia di oggi- convivevano pacificamente animisti, tuareg, islamici moderati. Ma, poiché occupate di fatto il Mali del Sud e la sua capitale Bamako, la cosa non vi stava bene. E avete quindi scatenato l’inferno nel Mali del Nord cercando di rioccuparlo con la forza, inventandovi anche una moneta coloniale che fa comodo a voi ma non certamente a chi là ci vive. Risultato: gli islamici son diventati estremisti, e animisti e tuareg hanno dovuto soccombere.
Storie di ieri? Nel 2011, con un’azione del tutto illegittima secondo il diritto internazionale, e contro la volontà dell’Onu, avete attaccato la Libia di Muammar Gheddafi, lasciato assassinare il colonnello con un linciaggio che farebbe orrore a quelli che chiamate, che tutti chiamano, “i tagliagole dell’Isis”, cosicché oggi la Libia è totalmente fuori controllo, percorsa da violenti e sanguinosissimi scontri intertribali, mentre durante il regime di Gheddafi la Libia non rappresentava un pericolo all’esterno e viveva con sufficiente ordine al suo interno. Perché lo avete fatto? Per i nobili princìpi della libertà e dei suoi valori? No, solo per sostituire i vostri interessi economici a quelli dell’Italia che con la Libia, sia per motivi storici, sia grazie a Berlusconi che con Gheddafi aveva stretto rapporti di amicizia, sia pur a modo suo, maldestro, aveva forti legami. Dell’attuale, tragica, situazione libica siete i principali responsabili.
Come non ho mai creduto al processo di Norimberga, dove pur sedevate fra i giudici, né ad alcun Tribunale internazionale per “crimini di guerra” perché son sempre i Tribunali dei vincitori (all’Aja ci vanno solo i serbi, da Milosevic, a Karadzic, a Mladic), beh se questi Tribunali fossero una cosa seria uno dei primi a dover esservi mandato, insieme ad altri autentici tagliagole come Bush, Obama e il nostro grande amico Abdel Fattah al-Sisi, dovrebbe essere Nicolas Sarkozy.
Il Fatto Quotidiano, 31 ottobre 2020
Non invidio il nostro Presidente del Consiglio stretto fra due necessità in realtà fra di loro inconciliabili: quella di tutelare la salute dei cittadini senza far saltare l’economia. Benché io sia stato contrario fin dall’inizio alle misure di contenimento dell’epidemia Covid, perché se tu comprimi una forza con un’altra forza questa, appena viene allentata la pressione, rimbalza fuori come una molla –ed è quanto è puntualmente avvenuto tant’è che oggi ci troviamo sostanzialmente nella stessa situazione epidemiologica di marzo e aprile- apprezzo il comportamento di questo avvocato, sbalzato improvvisamente ai più alti livelli della politica, e quindi senza conoscerne i marchingegni e le trappole, in un frangente difficilissimo quale nessun suo predecessore aveva dovuto affrontare. Apprezzo Giuseppe Conte, che i giornali che è difficile definire di destra senza far torto alla Destra, chiamano sprezzantemente Giuseppi, per il modo con cui si è speso senza risparmio in questi nove mesi, mettendo in gioco anche la sua di salute, per la pacatezza e i toni sostanzialmente tranquilli, un po’ alla Angela Merkel, con cui quasi ogni giorno ha illustrato agli italiani gli intricatissimi problemi cui ci troviamo di fronte.
Però una scivolata Conte l’ha fatta proprio sul piano comportamentale e psicologico quando a proposito del coprifuoco ha chiesto ai suoi ministri di “utilizzare ogni possibile sinonimo per non spaventare i cittadini”. In realtà questa raccomandazione, uscita immediatamente dalle segrete stanze, sembra fatta apposta per spaventare ulteriormente chi ne viene a conoscenza, cioè noi. Se tu cerchi di nascondere una cosa è perché la ritieni grave. Ma poi non è cambiando le parole, usando gli eufemismi, che si cambiano i fatti. Sembra di essere precipitati nel 1984 di Orwell dove il Grande Fratello stabilisce le parole che si possono usare e quelle che sono proibite, tanto che alla fine del suo profetico romanzo Orwell inserisce un saggio sulla neolingua. Insomma ci avete tagliato tutto, non tagliateci anche la lingua. Del resto in questo campo la situazione è già abbondantemente compromessa, perché tutto ciò che esce da quello che viene chiamato, con un termine che a me non piace, “politically correct” viene sanzionato socialmente se non addirittura penalmente. Un esempio grottesco è la querelle che dal 2006, trascinandosi di talk in talk, divide Alessandra Mussolini e Vladimir Luxuria perché a un “Porta a Porta” la nipote del Duce aveva dato all’altro/altra del frocio e costui/costei aveva replicato appioppandole l’appellativo di fascista.
Del resto, al di là del Covid e dei suoi verboten, pratici e adesso, a quanto pare, anche linguistici, la nostra democraticissima Repubblica è una società di divieti. Una promettentissima poliziotta, Arianna Virgolino, 31 anni, è stata sospesa dalla Polizia per “demeriti estetici”. Qual è la gravissima colpa di Arianna? Essersi fatta tatuare sul polso un cuore con coroncina, regalo per i suoi 18 anni. Tatuaggio che aveva poi eliminato. E’ comprensibile che i poliziotti, Corpo di Stato, abbiano divieti particolari che non riguardano gli altri cittadini, anche se forse, a mio modo di vedere, bisognerebbe fare una qualche distinzione fra un tatuaggio che inneggia all’Isis e uno, del tutto innocente, che inneggia all’amore. Peraltro, come si è detto, quello scandaloso tatuaggio, peccato di gioventù, era stato estirpato a colpi di dolorosi e costosi laser. Insomma usare qualche volta quello che le persone istruite chiamano “senso comune” e il popolo buon senso non guasterebbe. E questo vale per tutti. Per Conte, per il Corpo di Polizia, per il Consiglio di Stato che con una sentenza ha posto le premesse per l’espulsione di Arianna Virgolino, per la pleistocenica querelle mediatica inflitta agli spettatori fra due personaggi non proprio di primissimo piano (non siamo qui alle diatribe fra Ennio Flaiano e Gianni Brera o per mettere un piede in Francia fra Sartre e Camus ma piuttosto al livello di Trissottino). Buon senso e buona educazione, che pur erano molto presenti nel popolo italiano negli anni Cinquanta e Sessanta, sembrano essersi inabissati nella volgarità del vivere contemporaneo, incentivata dalla Tv, dai social media e, diciamolo pure, dai nostri giornali. Il buon senso, come il coraggio di manzoniana memoria, chi non ce l’ha non se lo può dare. La buona educazione invece può essere trasmessa, certamente dalla famiglia ma soprattutto dalla scuola. Ed è uno dei compiti, e non dei più marginali, dello Stato senza per questo dover ricorrere a una totalitaria neolingua ma usando semplicemente quella, straordinaria, che ci ha lasciato in eredità padre Dante di cui l’anno prossimo si celebrano i settecento anni dalla morte. Io penso anzi che quella della buona educazione sia la prima, vera, urgente riforma da fare in Italia. Covid, che tutti ci innervosisce, permettendo.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2020
A Parigi è già vigente da alcuni giorni il coprifuoco dalle 21 di sera alle 6 del mattino, cioè in questo orario nessuno può uscire di casa (Parigi brucia?). Si è deciso di adottare questa misura anche in Italia, in particolare per una grande città come Milano che curiosamente risparmiata dall’epidemia nei primi mesi oggi vede un’accelerazione dei contagi da ‘zona rossa’.
Il termine ‘coprifuoco’ è di derivazione medioevale. Nel Medioevo europeo ad una certa ora della sera, al suono delle campane, si chiudevano le porte della città (quelle porte che oggi fanno parte del nostro patrimonio artistico), nessuno poteva uscire dal borgo né entrarvi e c’era la precauzione di coprire con le ceneri le braci per evitare incendi (copri-fuoco, appunto). All’interno della città o del borgo la vita notturna continuava come sempre, pur tenendo conto che in un’epoca in cui non c’era la luce elettrica quella vita era meno turibolante di quanto possa essere oggi a Parigi, a Londra, a Milano, a Roma. Il coprifuoco non era quindi un provvedimento eccezionale, ma una consuetudine che aveva a che fare con la normale amministrazione.
Nei tempi moderni invece il coprifuoco è una misura eccezionale presa dai governi per fronteggiare un’emergenza altrettanto eccezionale. In linea di massima è stato utilizzato durante le guerre, soprattutto dopo l’avvento dei bombardieri. Di qui la necessità di spegnere tutte le luci per non offrire al nemico un bersaglio troppo facile. E infatti a Milano, la città più colpita, gli angloamericani bombardarono alla cieca e alla cieca fecero un mucchio di morti civili, senza riuscire a colpire alcun obbiettivo militare o paramilitare apprezzabile. Sia in epoca medioevale o moderna il coprifuoco non aveva quindi nulla a che vedere, sia pur per motivi diversi, con la difesa da un’epidemia. Nell’ultimo secolo e mezzo ci sono state in Europa e in Italia numerose epidemie, anche più letali di quella Covid, ma mai si era pensato di introdurre il coprifuoco e nemmeno a misure di sicurezza così stringenti come quelle attuali a cominciare dalla più devastante di tutte, dal punto di vista psicologico, emotivo, sociale ed economico, che si chiama appunto “distanziamento sociale”. Non sto dicendo qui che il Covid non esiste –i contagi ci sono e dopo la parziale fine del lockdown propriamente detto stanno aumentando- ma che la nostra reazione è sproporzionata al pericolo che dobbiamo affrontare. I contagi, di cui ci dà quotidianamente conto il Cts, riguardano in buona parte soggetti asintomatici, cioè persone che non sono malate di alcunché, ci sono poi i cosiddetti “paucisintomatici”, cioè persone che hanno sintomi leggeri non diversi da quelli di una normalissima influenza, quindi quelli ricoverati in terapia semintensiva o intensiva, ma alla fin della fiera dopo nove mesi dall’inizio della pandemia i morti per Covid in Italia sono lo 0,15% della popolazione. Perché allora questo allarme, questo senso di angoscia che, ammettiamolo, ci prende tutti, chi più chi meno, perché questa pandemia di panico che non ha precedenti nel passato? Io credo che le ragioni siano sostanzialmente due.
La tecnologia, in questo caso particolare la tecnologia medica, ci ha dato l’illusione di poter avere sempre tutto sotto controllo. Invece il Covid è uno screanzato che non rispetta né regole né previsioni, che marcia per conto suo, tant’è che ha mandato in totale confusione la comunità scientifica dove non si trova un solo esperto che sia d’accordo con un altro. E’ insomma caduto, o è stato largamente intaccato, il mito della Scienza che tutto può e che a tutto provvede (”Poi venne Dio che tutto dà e tutto toglie”, Maddalena, Alessandro Mannarino).
La seconda ragione è una paura della morte, un abbietto terrore della morte che è venuto via via crescendo nel corso degli ultimi decenni. Nella società del benessere che ha sancito il diritto alla felicità (per la verità nella Dichiarazione d’indipendenza americana si parla più cautamente di un “diritto alla ricerca della felicità” che però l’edonismo straccione contemporaneo ha trasformato in un vero e proprio diritto alla felicità) che felicità ci può mai essere se poi a conti fatti si continua, come sempre, a morire? In questa società la morte biologica, questo evento così naturale e ineludibile, è l’’Inaccettabile’, è il vizio oscuro che non si deve nemmeno nominare, come la pederastia di vittoriana memoria (basta leggere i necrologi).
Le epidemie possono durare degli anni. Non credo proprio che nessuna popolazione, anche la più disciplinata e ‘tedesca’, possa tollerare tanto a lungo la situazione da lager che stiamo vivendo ormai da otto mesi. Per ragioni psicologiche ed economiche che si intrecciano. Noi dovremmo vivere, di fatto, fra casa e lavoro, anzi fra lavoro e casa, abbandonando ogni relazione sociale che non appartenga ad una cerchia già consolidata (la famiglia) e non senza qualche mannaia anche su quest’ultima. Col paradosso ulteriore che sul tragitto casa-lavoro-casa sui mezzi pubblici c’è proprio quell’”assembramento sociale” che a tutti i costi si vorrebbe evitare.
Particolarmente pregiudicati da questa epidemia di panico sono proprio i soggetti che si vorrebbero salvaguardare: i vecchi. Uno dei drammi, se non addirittura il principale, della vecchiaia è la solitudine, i compagni di una vita si sono dispersi, altri sono morti, restano solo i figli e i nipoti, ma questi per il timore di contagiare i loro congiunti più anziani se ne devono restare alla larga. Inoltre i vecchi, per la falsa convinzione, a cui le notizie di stampa hanno dato vasta eco, ritengono che i loro coetanei siano, a parità di condizioni, più infettanti dei giovani e quindi si evitano. Addio quindi anche alla combriccola così ben descritta da De André (“Una gamba qua una gamba là/Gonfi di vino/Quattro pensionati mezzo avvelenati/Al tavolino/Li troverai là col tempo che fa/Estate inverno/A stratracannare a stramaledir/Le donne il tempo ed il governo”, La città vecchia). E allora, perdio, esco almeno a fare quattro passi a prendere una boccata d’aria. Solo che con la mascherina obbligatoria anche in solitudine (almeno che tu non corra per i campi cosa inadatta e praticamente impossibile dopo una certa età) quella che ti prendi è una boccata di anidride carbonica.
Particolarmente devastante in economia è lo “stop and go” delle misure prese dal governo. Peculiare qualità dell’imprenditore è la capacità di prevenire e di prevedere gli eventi. Ma che cosa mai posso prevedere se da un mese all’altro, da una settimana all’altra, alle volte da un giorno all’altro, cambiano le regole del gioco?
Insomma per una paura troppo annunciata, e a nostro modo di vedere irrazionale, della morte, noi ci stiamo impedendo di vivere. L’uomo è una creatura tragica e paradossale: a volte si uccide per paura della morte. E’ quanto, senza che ce rendiamo ben conto, stiamo facendo oggi su larga scala.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2020