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Credo che nella prossima legislatura i Cinque Stelle dovranno essere molto più attenti nel selezionare i propri candidati per la Camera e il Senato. Nelle prime due, essendo un movimento nuovo, hanno dovuto imbarcare ‘n’importe quoi’ purché avesse la fedina penale pulita. Così nelle elezioni del 2018 si sono fatti affascinare da Gregorio De Falco, famoso e popolarissimo per la frase diretta al comandante Schettino: “Torni a bordo, cazzo!”. Non c’era alcun bisogno di fare il fenomeno, umiliando un uomo già umiliato e che con tutta evidenza non era più in grado di agire. Quello che doveva fare De Falco, come capo sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, era inviare un elicottero (da Livorno all’Argentario ci vogliono 15 minuti) con a bordo un paio di ufficiali di Marina che scendessero sulla nave e prendessero il controllo della situazione. Non lo fece, accontentandosi di quella inutile e maramaldesca esibizione. Un comandante di una di queste grandi navi, che nella sua lunga carriera non aveva avuto incidenti di rilievo, senza voler difendere l’indifendibile Schettino ma evidentemente rivolto a De Falco, disse: “C’è chi va per mare e chi sta a terra”. E De Falco è uno che nella sua carriera è sempre stato a terra. De Falco si aspettava chissà quale promozione. Invece il suo atteggiamento non piacque affatto, e a nostro avviso giustamente, al Comando generale della Marina mercantile che nel 2014 lo trasferì alla Direzione Marittima di Livorno con le mansioni di capo ufficio studi e relazioni esterne. Fu relegato a un ruolo meramente burocratico, una decisione punitiva tanto che De Falco fece ricorso, ma inutilmente.

De Falco è un uomo che va per terra, molto per terra. Tanto che colse subito l’occasione, approfittando dell’indebita popolarità acquisita, e si fece candidare al Senato dai Cinque Stelle e fu eletto.

Adesso Gregorio De Falco, che a me pare un uomo molto più attento a se stesso che ai valori dei Cinque Stelle, si è messo di traverso contro il Movimento in cui milita (o militava, nel momento in cui scriviamo non sappiamo se è stato espulso) in tre occasioni: sul decreto Sicurezza, sull’emendamento al dl Genova per il quale ha votato contro insieme a Forza Italia e al Pd, sull’articolo 41 che riguarda lo sversamento dei fanghi da depurazione.

E’ vero che la nostra Costituzione all’articolo 67 dichiara: “Ogni membro del Parlamento…esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Questa disposizione fu presa dai nostri Padri costituenti perché ogni parlamentare potesse votare in piena libertà di coscienza. Ma allora i partiti non avevano ancora occupato, del tutto arbitrariamente come abbiamo scritto più volte, buona parte del sistema democratico. Bisogna quindi prendere atto della realtà: la libertà di voto, in linea teorica sacrosanta, si è trasformata nel disinvolto passaggio di un parlamentare da un gruppo all’altro, come abbiamo visto tante, troppe volte, spesso in modo prezzolato (il caso De Gregorio, comprato da Berlusconi con 3 milioni di euro per sottrarlo al gruppo di Antonio Di Pietro, docet). Per evitare queste situazioni i Cinque Stelle si sono dati regole rigidissime sul comportamento dei loro parlamentari che devono seguire la linea politica e le direttive del Movimento, pena il richiamo, la sospensione e l’espulsione. Si può discutere molto su queste regole dei Cinque Stelle, ma quando De Falco è entrato a far parte del movimento fondato da Beppe Grillo le conosceva benissimo e non può ora darsela da martire. Adesso la questione è questa: se Gregorio De Falco, come crediamo, sarà espulso dal Movimento politico che lo ha portato in Parlamento, si dimetterà dal Parlamento, come coerenza vorrebbe, lasciando il posto a chi ha diritto a subentrare? Non crediamo proprio. De Falco è “un uomo di terra”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 16 novembre 2018

 

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Il 5 novembre è scattato il diktat americano rivolto all’intera comunità mondiale: nessun commercio con l’Iran, nei settori energetici e finanziari. Donald Trump ha graziosamente esentato alcuni Paesi, fra cui l’Italia (gli altri sono Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Grecia, Turchia, Taiwan) dall’applicare queste sanzioni, ma a termine: entro sei mesi dovranno adeguarsi.

Chi si credono di essere gli Stati Uniti d’America? I padroni del mondo tanto da poter imporre le loro decisioni unilaterali all’intero pianeta? Effettivamente lo sono, i padroni. Ma il loro predominio globale comincia a vacillare, anche per l’ingresso sulla scena di altre grandi potenze, economiche e militari, come la Cina e l’India. La stessa decisione di Trump, la minaccia implicita di ritorsioni contro i Paesi che non ottempereranno al suo diktat, non è un segno di forza ma di debolezza. Non si ha bisogno di ringhiare quando si ha la situazione sotto controllo. Gli Stati Uniti capiscono o intuiscono che “il secolo americano” sta per concludersi e che siamo vicini alla fine del loro Impero. Gli antichi Imperi mesopotamici durarono tre millenni, più recentemente l’Impero austroungarico, quello ottomano e quello russo qualche  secolo. Ma oggi le cose, non solo in politica ma in qualsiasi ambito, come sperimentiamo sulla nostra stessa pelle, vanno molto più velocemente. Un’egemonia durata un secolo è già al limite.

Una reazione europea c’è stata, ma debole e fatta solo dei soliti comunicati. Ma l’Europa ha tutte le possibilità di non solo resistere a questo diktat ma di ricacciarlo in gola agli yankee. Basterebbe imporre agli americani lo stesso diktat, non in campo energetico, dove siamo deboli, ma in tutti gli altri settori. Cioè gli americani non potrebbero vendere i loro prodotti e fare affari in  Italia. Poiché gli abitanti della UE sono circa mezzo miliardo, e una parte consistente è costituita da forti consumatori, mentre gli americani sono 320 milioni, vediamo chi uscirebbe vincitore da questo braccio di ferro.

Naturalmente dubito che l’Unione Europea abbia non la forza, quella ce l’ha, ,almeno economica, ma il coraggio di prendere una decisione del genere che dovrebbe essere seguita tra l’altro dall’uscita dalla Nato e dalla cacciata dall’Europa delle basi militari americane, molte con missili atomici (in Germania ce ne sono 80, in Italia 60). Ma qualche piccola cosa possiamo già farla, anche noi italiani. Denunciare, come chiede una parte dei Cinque Stelle, il contratto che permette agli americani, dal 2016, di avere in Sicilia, a Niscemi, il cosiddetto Muos, una sorta di super radar che ha la funzione di tenere in collegamento le truppe americane sparse per il mondo e che occupa una superficie di un milione di metri quadri sottratti alla riserva naturale della Sughereta. Al Muos Donald Trump tiene molto. Si dice che il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, esiterebbe perché ha di recente incontrato, in modo molto amichevole, Trump alla Casa Bianca. Ma la politica estera non la si fa con le pacche sulle spalle, ma avendo come obbiettivo primario gli interessi del proprio Paese. Insomma come scrisse Sergio Romano, che di queste cose se ne intende essendo stato ambasciatore, in un bellissimo articolo sul Corriere: “La politica estera si fa alla moda di Andreotti, non in quella di Berlusconi”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2018

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Il presidente Mattarella parlando al Quirinale ad alcuni studenti ha sottolineato “il grande valore della libertà di stampa”. Giusto. E quindi male ha fatto Virginia Raggi a chiedere le scuse dei giornalisti che hanno seguito il suo caso. I giornalisti fanno il loro mestiere, sul quale si possono avere le più diverse opinioni, e il giudizio se abbiano operato bene o male spetta solo al lettore, come diceva Indro Montanelli, almeno che nel loro scrivere si siano resi responsabili di diffamazione. Ma la libertà di stampa è solo un aspetto della più generale libertà di espressione come recita espressamente l’articolo 21 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La libertà di espressione del proprio pensiero non è quindi uno specifico privilegio dei giornalisti, ma appartiene a tutti i cittadini, compresi Beppe Grillo e Alessandro Di Battista a cui, con tutta evidenza, si riferiva il monito di Mattarella.

A me pare che noi italiani si viva in una grande confusione per cui nessuno più conosce quali sono i diritti e i doveri del suo ruolo pubblico e anche privato e i diritti e i doveri altrui, pubblici e anche privati. Tutto ciò deriva da un drastico abbassamento del livello culturale del nostro Paese, non solo nel settore del diritto ma in ogni ambito, la cui lunga genesi imporrebbe un saggio con cui non vogliamo ammorbare il lettore. Ma è a tutti evidente, almeno a quelli che hanno l’età per farlo, e per restare solo in politica, che lo spessore culturale di Einaudi, di Andreotti, di Fanfani, di Togliatti, di Almirante, cioè dei protagonisti politici del dopoguerra, non a nulla a che vedere con quello dei Mattarella, dei Salvini, dei Di Maio, dei Renzi e compagnia cantante. Così come, in campo giornalistico, Montanelli e Bocca non hanno nulla a che vedere con i Feltri, i Sallusti, i Calabresi e naturalmente i Fini.

Le rimonte culturali sono le più difficili e le più lunghe. Solo uno choc, come per i nostri predecessori fu la Seconda guerra mondiale, potrebbe accorciare i tempi. Nel nostro caso, poiché di guerre, almeno nel senso tradizionale, non se ne fanno più, lo choc potrebbe venire da un collasso repentino di un modello di sviluppo, economico, tecnologico, ambientale, sociale, che ci sta togliendo l’aria e ci costringe, in qualsiasi campo noi si operi, a boccheggiare.  Aspettiamo quindi, perché un sistema che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, è certo che, prima o poi, andrà in frantumi. Ma questo riguarderà i nipoti dei nipoti dei nostri nipoti. Noi, come in un girone dantesco, restiamo nella merda che ci siamo ampiamente meritati.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2018