Ha fatto scalpore nei giorni scorsi la notizia che Sharon Stone, 60 anni, si sia rivolta alla piattaforma Bumble, un sito d’incontri, per trovare un compagno. La cosa è parsa talmente incredibile che la Bumble ha chiuso il profilo dell’attrice ritenendo la sua richiesta un falso. Invece era vera. Sulla scia di questa notizia è saltato fuori che altri vip, come Ben Affleck, Lily Allen, Cara Delevingne, Amy Schumer, Katy Perry, Zac Efron, si sono rivolti a questi siti d’incontri che sono una sorta di declinazione moderna dei vecchi “annunci matrimoniali”. Mark Gaisford, importante manager inglese di 50 anni, ha confessato di non avere un solo amico. E questi sono tutti soggetti giovani e nel pieno dell’età, famosi, che non dovrebbero avere difficoltà a incontrare chi vogliono. Il fatto è che quello occidentale è un mondo di solitudini. E se la solitudine colpisce giovani e famosi, si può facilmente immaginare quale sia la situazione dei vecchi. Non è così in mondi molto più disastrati del nostro. In Africa il vecchio vive circondato da figli e nipoti (in Europa solo il 5,3 % si trova in questa situazione), resta il capo della famiglia, conserva un ruolo e la sua vita un senso. Da noi accade esattamente l’opposto. Terribile, veramente terribile, è la situazione del vecchio nelle società sviluppate. Il micidiale istituto della pensione, una crudeltà che solo la modernità poteva inventarsi, una volta raggiuntala ti taglia fuori. Da un giorno all’altro perdi il posto, per quanto modesto, che avevi avuto nella vita sociale. E adesso vai a curare le gardenie, povero, vecchio e inutile stronzo (qualcuno ricorderà, forse, il film Fantozzi va in pensione). Scriveva lo storico Carlo Maria Cipolla nel 1980 in Storia economica dell’Europa preindustriale: “Una società industriale è caratterizzata dal continuo e rapido progresso tecnologico. In tale società gli impianti divengono rapidamente obsoleti e gli uomini non sfuggono alla regola. L’agricoltore poteva vivere beneficiando di poche nozioni apprese nell’adolescenza. L’uomo industriale (per non parlare di quello che vive nell’attuale mondo digitale, ndr) è sottoposto ad un continuo sforzo di aggiornamento e tuttavia viene inesorabilmente superato. Il vecchio nella società agricola è il saggio: nella società industriale è un relitto”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2020
“I più pericolosi terroristi del mondo sono i gloriosi United States of America” scrivevo sul Fatto del 5 marzo del 2019 (Altro che Isis, i terroristi più pericolosi sono gli americani) ribadendo un concetto già espresso altre volte. L’assassinio, con un drone, di Soleimani, leader dei pasdaran, numero tre della gerarchia iraniana dopo Ali Khamenei e Rouhani, avvenuto in Iraq violando quindi anche la sovranità di quel Paese, ne è l’ennesima conferma. Un atto terrorista in piena regola. Il governo degli Stati Uniti lo motiva sostenendo che Soleimani stava preparando attentati contro siti di “interesse americano”. Un processo alle intenzioni in linea con la teoria Bush della “guerra preventiva” che abbiamo visto dove ci ha portato. Teoria a cui in questo caso mancavano anche le premesse perché nel recente aggravarsi della tensione fra Stati Uniti e Iran, non certo voluta dagli iraniani, i pasdaran non avevano messo in atto gravi provocazioni, il che è un dato di fatto, confermato tra l’altro, dal generale Mini che ha dichiarato al nostro giornale: “Sono anni che Teheran non mette a segno attentati o azioni eclatanti contro gli Usa”. Al contrario erano stati gli Stati Uniti a dare inizio alla bagarre con un raid contro una base di un gruppo filo-iraniano in Iraq, uccidendo 25 miliziani, fatto che è all’origine dell’assalto, due giorni dopo, alla protettissima ambasciata americana a Baghdad. L’assassinio di Soleimani è un fatto inaudito nella storia recente, e forse anche meno recente, nel rapporto fra Stati perché, come ha scritto Pino Arlacchi sul Fatto, introduce “l’assassinio politico palese, e al massimo livello, come strumento accettabile delle relazioni internazionali, anche di quelle ostili”. Anche i senatori democratici Bernie Sanders ed Elizabeth Warren hanno definito il blitz Usa “un assassinio” e non credo lo abbiano fatto solo per propaganda elettorale. E la speaker della Camera Nancy Pelosi ha affermato che Trump non può dichiarare guerre a suo piacimento senza una preventiva autorizzazione del Congresso. E’ un Presidente, non un dittatore. E’ stato eletto democraticamente, ma il metodo democratico non garantisce nulla sulla qualità degli eletti, a qualsiasi livello. Scrive Tocqueville in La democrazia in America: “Quando voi entrate nell’aula dei rappresentanti a Washington, restate colpiti dall’aspetto volgare di questa grande assemblea”. Non voglio dire che tutte le leadership dei Paesi democratici occidentali corrispondano alla descrizione di Tocqueville. Angela Merkel e le premier dei Paesi scandinavi sono qui a smentirlo. Ma Donald Trump è di quello stampo, a cominciare dalla volgarità e da una qualsiasi coerenza nella sua politica. Il decidere, dopo aver tentennato, il raid di venerdì fra una buca e l’altra di un campo da golf dove stava giocando può essere emblematico. Forse lo ha deciso perché ha centrato una buca altrimenti avrebbe soprasseduto.
Il Segretario di Stato Mike Pompeo (per il quale bisognerebbe rispolverare Lombroso) ha avuto la sfrontatezza di rimproverare gli alleati europei per non aver plaudito al crimine.
Le conseguenze. 1. Il Parlamento iracheno ha votato una risoluzione per l’espulsione di tutti i contingenti stranieri dall’Iraq. Questi contingenti erano stati chiamati in Iraq dal governo di Baghdad per sconfiggere l’Isis. Una richiesta d’aiuto molto pelosa che ricorda parecchio da vicino quelle fatte all’Unione Sovietica dopo la rivolta ungherese del 1956 e quella cecoslovacca del 1968 per aiutare i governi “amici”. 2. Ricompattamento, se ce ne fosse stato bisogno, fra Iran e la popolazione sciita dell’Iraq che rappresenta i due terzi di quel Paese. 3. Indebolimento in Iran della fazione più moderata e progressista, che fa capo a Rouhani, a favore dell’ala più radicale. Anche qui l’intero Iran si ricompatta perché a prevalere oggi c’è un solo sentimento che unisce tutto il Paese: l’odio antiamericano. 4. Una delle poche cose buone fatte da Obama, insieme a Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania (il noto “5 più uno”) era l’accordo sul nucleare iraniano. Trump, pur di sminuire il suo predecessore, prima è uscito formalmente dall’accordo e adesso lo ha sostanzialmente distrutto con l’assassinio di Soleimani. Il governo iraniano ha affermato che non ha più nessun obbligo di rispettare quell’accordo e che imboccherà la strada della fabbricazione dell’Atomica, anche se, per il momento, probabilmente nel tentativo di non inimicarsi anche gli altri firmatari, continua ad accettare le ispezioni dell’AIEA. Il possesso di un’Atomica come deterrente diventa una necessità di fronte alle minacce di Trump (“non esiteremo a reagire anche in modo sproporzionato”) come dimostra anche l’atteggiamento molto più soft del governo americano nei confronti del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, che un paio di bombette atomiche le possiede. Lo stesso motivo indurrà molti altri Paesi, anche quelli che hanno firmato il Trattato di non proliferazione, a comportarsi di conseguenza. E con un mondo pieno di Atomiche una guerra nucleare, fra vari Stati in conflitto fra di loro, non sembrerà più così remota.
Si è sottolineata da molti l’irrilevanza dell’Europa, per non dire dell’Italia, sui vari scenari di guerra. Ma l’Europa non può nulla perché non possiede una forza militare adeguata. Visto che un diritto internazionale non esiste più, che l’Onu non conta più nulla perché è da più di vent’anni, dalla guerra alla Serbia del 1999, che gli americani agiscono contro la sua volontà, anche la Germania democratica dovrebbe avere la possibilità di dotarsi di quest’Arma. Nell’attuale situazione non è pensabile che oltre a Stati Uniti, Russia e Cina, l’Atomica ce l’abbiano Pakistan, India, Sudafrica, Israele, Arabia Saudita e non il più importante, e centrale, Paese europeo. Bisognerebbe anche che i Paesi europei che fanno parte della Nato denunciassero questa alleanza preistorica e ne uscissero, perché la Nato altro non è che un organismo al servizio degli americani. “Vasto programma” avrebbe detto De Gaulle. Ma un’Europa politicamente unita, armata e nucleare, con una politica estera comune e il ridimensionamento degli Stati nazionali, è assolutamente necessaria se non vuole soccombere, senza difesa, davanti ai grandi potentati, Stati Uniti, Russia, Cina, India, più la finanza internazionale.
Tutta la politica più recente degli Stati Uniti è anti europea. Per un diktat americano i Paesi europei, a cominciare dall’Italia che con Teheran ha buoni rapporti, non possono avere commerci con l’Iran. Gli Stati Uniti hanno anche decretato sanzioni contro le imprese, fra cui quelle italiane, che partecipano al gasdotto Nord Stream 2 che dovrebbe portare appunto il gas dalla Russia all’Europa e che è particolarmente importante per l’Italia che su questo fronte energetico è molto debole.
Gli Stati Uniti si comportano come se fossero ancora i padroni del mondo. Ma non lo sono più. Il Novecento è stato il “secolo americano”. Il dopo Duemila apparterà ad altri.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 9 gennaio 2019
Il Natale, col suo contorno di Feste insopportabili, ha però il pregio di togliere di mezzo almeno per una decina di giorni il pallone (fino a un certo punto, perché c’è pur sempre il calciomercato).
Con Giancarlo Padovan, che è del mestiere, abbiamo scritto un libro: Storia reazionaria del calcio. I cambiamenti della società vissuti attraverso il mondo del pallone. E’ un libro in cui si parla, e molto, di calcio, ma non è un libro sul calcio. Abbiamo preso il calcio come uno degli specchi della società. Quali sono i Demoni del mondo di oggi? L’Economia e la Tecnologia. Ebbene Economia e Tecnologia, sia separatamente, sia strettamente intrecciate fra loro, stanno via via svuotando il calcio di quei contenuti identitari, comunitari, rituali, simbolici, mitici che per più di un secolo hanno fatto la fortuna di questo gioco. I più importanti sono i motivi identitari e comunitari. Come si fa a identificarsi in una squadra che gioca con dieci o undici stranieri, con giocatori che cambiano società ogni anno e anche all’interno dello stesso Campionato con tanti saluti alla regolarità della competizione, con presidenti americani o cinesi? E se gioca in trasferta la squadra lascia la maglia tradizionale negli spogliatoi per indossarne un’altra in funzione degli sponsor. Non esistono più i giocatori simbolo, i Rivera, i Mazzola, i Riva, i Bulgarelli, gli Antognoni (l’ultimo portabandiera di questo calcio d’antan è stato Totti). La tv si è impadronita del calcio, inteso più come spettacolo che come sport, spodestando il calcio da stadio cioè il vero calcio che dal 1982 ha perso più del 40 percento degli spettatori . Chiunque mastichi calcio sa che differenza c’è, innanzitutto emotiva ma anche tecnica, fra vedere una partita sul campo e vederla in tv, tra una chiacchierata e l’altra, un’incursione nel frigo, una risposta al cellulare. Il calcio è un rito, una Messa laica che, come tale, vuole una concentrazione assoluta .
Una volta, ma qui parliamo di molto tempo fa, a parte gli stronzi in tribuna d’onore, non c’era la divisione sugli spalti a seconda dello status sociale. L’operaio si poteva trovare a fianco del piccolo o medio imprenditore. Era la funzione comunitaria, interclassista, di quello che, insieme al ciclismo, era il grande sport nazional popolare.
Come se non bastasse è stato introdotto il Var. Tre arbitri nei sotterranei dello stadio, vestiti grottescamente in tenuta di gioco , rivedono sui monitor l’operato dell’arbitro in campo perché sia esclusa ogni possibilità di errore (l’arbitro è diventato in pratica un impiegato, un impiegato della Tecnica, come siam tutti). E’ l’illusione, tutta moderna, di poter controllare tutto ed eliminare l’errore. Ma questa possibilità non si dà in natura. Il film Rashomon di Akira Kurosawa ci da in questo senso una lezione. Nella prima scena si vede una coppia, un samurai con la moglie, che in una foresta viene assalita da dei banditi. Lei viene stuprata, lui ucciso. Ci sono poi anche altri che hanno assistito al delitto. Al processo vengono ascoltate le varie testimonianze, compresa, via medium, quella dell’ucciso. Ad ogni testimonianza Kurosawa fa rivedere la scena iniziale senza cambiare un solo fotogramma. E tutte appaiono verosimili. Del resto la stessa fisica moderna ha ammesso che non esistano verità oggettive, ma che tutto dipende dal punto di vista dell’osservatore. E Nietzsche, da par suo: “Non esiste la realtà, ma solo le sue rappresentazioni”.
Ma la cosa veramente insopportabile del Var è che se la tua squadra segna un gol non puoi esultare. Fermi tutti, c’è il Var. Si crea una sorta di assemblea fra arbitro in campo, guardialinee, quelli del Var, il quarto uomo, che può durare anche quattro o cinque minuti. Solo quando l’arbitro, dopo le varie consultazioni, indica il cerchio del centrocampo, il che vuol dire che è gol, o il punto da cui deve essere battuto il presunto fuori gioco, ci si può abbandonare alla gioia o alla disperazione. Ma la situazione è surreale perché in quel momento in campo non sta succedendo nulla. Inoltre la partita è come un racconto, non può essere interrotta per qualcosa che non ha nulla a che vedere con ciò che in quel momento sta succedendo sul campo. E’ come inserire un piccolo saggio, perfetto, perfettissimo, fra due terzine di Dante. Si perde tutta la poesia.
Il cinque gennaio ricomincia la rumba. Le partite, sempre per esigenze televisive ed economiche, vengono spalmate su tutto l’arco della settimana. Il venerdì l’anticipo di B, il sabato la B e due anticipi di A, la domenica a mezzogiorno altra partita, alle tre del pomeriggio si giocano quelle meno interessanti, alle 18.30 una gara di medio valore, alle 20.45 il clou della giornata, il lunedì c’è il posticipo di A, il martedì e il mercoledì la Champions, il giovedì quella competizione comica che è l’Europa League. E così il cerchio si chiude. Una overdose che potrebbe stroncare un vampiro per eccesso di sangue.
Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2020
Come abbiamo scritto altre volte, i veri terroristi internazionali sono gli americani. Altro che Isis.
m.f.