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Martedì sera su Rai Storia nell’ambito della sezione Grandi discorsi della storia curata da Aldo Cazzullo, sono stati esaminati i discorsi di alcuni importanti leader contemporanei da Georges W. Bush a Hollande a Khomeini ad Al Baghdadi ad Arafat. A commentarli Domenico Quirico, Fausto Biloslavo, Gad Lerner e io stesso. Per esaminarne il linguaggio e la gestualità c’era la linguista ed esperta di comunicazione Flavia Trupia.

Una gran bella trasmissione, come del resto è nella tradizione di Rai Storia. Peccato che, suppongo per motivi di spazio, sia rimasto fuori un discorso che Muammar Gheddafi tenne all’Assemblea delle Nazioni Unite il 23 settembre 2009. Un discorso estremamente interessante. Innanzitutto perché, a differenza di quelli di Al Baghdadi e, parzialmente, di Khomeini, è un discorso assolutamente laico espresso con linguaggio laico come farebbe un qualsiasi leader occidentale. Poi per i contenuti. Gheddafi parte dal fatto che nonostante le solenni premesse della Carta dell’ONU gli Stati non sono affatto uguali. “Il Preambolo della Carta afferma che tutte le nazioni, piccole o grandi, sono uguali. Sono uguali quando si tratta di seggi permanenti? No, non sono uguali. Abbiamo il diritto di veto, siamo uguali? I seggi permanenti contraddicono la Carta”. Il leader libico poi fa notare come i seggi permanenti nel Consiglio di Sicurezza appartengano a Paesi “che sono stati scelti perché hanno armi nucleari, grandi economie o tecnologie avanzate. Non possiamo permettere che il Consiglio di Sicurezza sia guidato da superpotenze, quello è terrorismo in sé e per sé…Il terrorismo non è solo Al Qaeda ma può assumere anche altre forme”. Gheddafi fa quindi notare come l’ONU non solo non sia riuscita a evitare le guerre di aggressione ma le sue risoluzioni siano state rispettate o non rispettate a seconda delle convenienze delle grandi potenze. E fa alcuni esempi. “Noi eravamo contro l’invasione del Kuwait, e i Paesi arabi hanno combattuto contro l’Iraq a fianco dei Paesi stranieri in nome della Carta delle Nazioni Unite. In un primo momento la Carta è stata rispettata. La seconda volta quando abbiamo deciso di utilizzare la Carta per fermare la guerra contro l’Iraq del 2003, nessuno l’ha usata e il documento è stato ignorato”. E così continua: “Se un Paese, la Libia per esempio, decidesse di aggredire la Francia, allora l’intera Organizzazione risponderebbe perché la Francia è uno Stato sovrano membro delle Nazioni Unite e noi tutti condividiamo la responsabilità collettiva di proteggere la sovranità di tutte le nazioni. Tuttavia 65 guerre di aggressione hanno avuto luogo (contro Stati sovrani, ndr) senza che le Nazioni Unite facessero nulla per prevenirle. Altre otto enormi e feroci guerre, le cui vittime ammontano a circa 2 milioni, sono state intraprese dagli Stati membri che godono di poteri di veto”.

Un passaggio particolarmente interessante è quello che il leader libico riserva all’Afghanistan: “Per quanto riguarda la guerra in Afghanistan, anche qui bisogna indagare. Perché siamo contro i Talebani? Perché siamo contro l’Afghanistan? Chi sono i Talebani? Se i Talebani vogliono uno Stato religioso, va bene…Se i Talebani vogliono creare un emirato islamico, chi dice che questo li rende un nemico? C’è qualcuno che sostiene che Bin Laden fa parte dei Talebani o che lui è afgano? Bin Laden è uno dei Talebani? No, non è dei Talebani e non è neppure afgano. I terroristi che hanno colpito New York City erano dei Talebani? Erano dell’Afghanistan? Non erano né Talebani né afgani. Allora qual era la ragione per la guerra all’Afghanistan?”.

Gheddafi poi, pensando all’Iraq e allo scontro fra sciiti e sunniti e forse premonendo qualcosa di simile per se stesso, contesta l’intromissione di potenze straniere nelle guerre civili altrui. “L’America ha avuto la sua guerra civile e nessuno ha interferito. Ci sono state guerre civili in Spagna, in Cina e nei Paesi di tutto il mondo. Lasciate che ci sia una guerra civile in Iraq. Se gli iracheni vogliono avere una guerra civile e lottare fra loro, va bene”.

Gheddafi non poteva avere in mente la guerra civile siriana che è cominciata nel 2011, ma se gli occidentali non fossero intervenuti in Iraq non si sarebbe creato l’Isis, se non fossero intervenuti in Siria, consentendo tra l’altro alla Russia di fare lo stesso, non avremmo avuto il macello di Aleppo.

Credo che a Muammar Gheddafi questo coraggioso, lucido e ineccepibile discorso sia costata la pelle. Nel 2011 francesi e americani si intromisero nella appena iniziata guerra civile in Libia, Gheddafi fu linciato in un modo inguardabile degno dell’Isis, e si è creato lo sconquasso che tutti oggi abbiamo sotto gli occhi.

Gli occidentali dovrebbero smetterla con la loro politica di potenza e prepotenza, non solo perché è sommamente ingiusta come notava il leader libico, ma finisce regolarmente per rivolgersi contro i nostri stessi interessi. Come è stato in Serbia, come è stato in Iraq, come è stato in Libia.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2017

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Secondo uno studio frutto dell’indagine di 180 ricercatori, in Italia diminuisce per la prima volta l’aspettativa di vita che attualmente è di 78 anni per gli uomini e di 82 e spiccioli per le donne.

Io sono da sempre convinto che la generazione che è nata intorno agli anni Sessanta e ancor più quelle successive abbasseranno la media della lunghezza della vita. Com’è possibile con gli straordinari progressi della medicina che è capace di allungare esistenze (anche se spesso la qualità di queste vite è vicino allo zero) ben aldilà del limite naturale contro il quale si sarebbero infrante? In Italia noi abbiamo avuto e abbiamo straordinari vecchi che hanno vissuto fino a novant’anni, come Dario Fo, Umberto Veronesi, Margherita Hack o addirittura fino a 102 come Rita Levi Montalcini o 106 come l’ancora vivissimo Gillo Dorfles. Per citare solo alcuni di quelli famosi. E di vecchi di questo genere, lucidi e in discreta salute, ce ne sono in giro parecchi. Ma sono tutti uomini e donne forgiati, fisicamente e moralmente, dalla guerra. Chiunque abbia conosciuto e frequentato persone di quelle antiche generazioni avrà notato la saldezza di nervi con cui affrontano i problemi. Non si mettono a fare il ponte isterico per qualsiasi sciocchezza come i giovani di oggi.

Quelli che erano bambini nell’immediato dopoguerra non hanno dovuto fare i conti con l’inquinamento industriale e le polveri sottili emesse dai tubi di scarico delle macchine. Io nei primi Cinquanta abitavo in una via periferica di Milano, via Washington, una strada molto larga. Mettevamo le cartelle a fare da pali e quando passava una macchina ci scansavamo (anche se il problema era sempre lo stesso: il tiro era troppo alto o era il portiere a essere troppo piccolo?). Milano allora era una città di tram più che di automobili. Un dossier dell’Agenzia della UE ha calcolato che in Europa lo smog è causa di 467 mila morti ‘premature’ l’anno.

Nei Cinquanta si mangiava poco, si tirava la cinghia. L’obeso era un’assoluta eccezione. Osservate, se volete, i funerali di Fausto Coppi nel 1960. La folla accorsa ad onorare in silenzio il suo campione, vestita modestamente ma dignitosa, ha volti asciugati e persin belli nella loro asciuttezza. Eppoi quando l’auto era ancora privilegio di pochi se non si prendeva il tram o il filobus si andava di bici o a piedi. E tutti i giochi, a qualsiasi età, erano quasi sempre giochi di movimento. Il ‘personal trainer’ non era stato ancora inventato.

Si mangiava poco ma si mangiava sano. Oggi i vitelli, le mucche, i polli, stabulati, sotto le luci dei riflettori 24 ore su 24 perché crescano più in fretta, sviluppano le malattie degli umani: pressione alta, scompensi cardiocircolatori, infarto, diabete, depressione. E mangiar carni di un animale malato ci fa ammalare.

I ‘baby boomers’ sono cresciuti nella bambagia. Vaccinati praticamente su tutto. Ma basta che si affacci un bacillo o un virus nuovo e sconosciuto che van subito kappaò. Facciamo un esempio modesto. Quest’inverno c’è stata un’influenza nuova e particolarmente pesante. Tutti i miei amici giovani se la sono beccata, quelli vecchi no. Probabilmente vivendo nella loro infanzia nella sporcizia e senza tante precauzioni si sono, come dire, autovaccinati.

La droga falcia migliaia di giovani vite l’anno.

C’è poi un fenomeno parzialmente nuovo e inquietante che riguarda soprattutto i lavori impiegatizi e manageriali: le morti per ‘eccesso di lavoro’ che i giapponesi, che l’hanno studiato, chiamano karoshi. In una società sempre più competitiva, globalizzata, dove le aziende si fanno una lotta feroce, chi lavora è costretto a dare sempre il massimo e qualcuno finisce per lasciarci la pelle. I ‘furbetti del cartellino’, l’ho già scritto, non hanno poi tutti i torti anche se a spese altrui: “primum vivere deinde laborare” (Che del resto in latino vuol dire ‘soffrire’ e San Paolo chiama il lavoro “quello spiacevole sudore della fronte”). E’ solo con l’Illuminismo, con i suoi derivati sia capitalisti che marxisti – Stachanov è un eroe dell’Unione Sovietica- che il lavoro diventa un valore, prima lo era il tempo, l’’otium’.

In epoca moderna, fino a non molto tempo fa, in famiglia lavorava uno solo: l’uomo. Non voglio con questo sminuire il mestiere della casalinga che insieme a tante altre cose ha il compito di accudire i figli e anche quello stronzo del marito. Ma certo è un lavoro meno stressante e un po’ più appagante che stare alla catena di montaggio o fare la cassiera di un supermarket. E così molte donne che lavorano cominciano ad avere patologie, come l’infarto, che una volta erano una sinistra prerogativa maschile. Peraltro molte di loro fanno un doppio lavoro: quello propriamente detto e quello in casa.

C’è un’unica categoria che riesce a sfuggire alla falce della Nobile Signora per delle eternità: sono i politici. Bella forza: non hanno fatto una sola ora di lavoro in vita loro.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2017

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Paolo Guzzanti è talmente fazioso che riesce ad aver torto anche quando ha ragione. In un articolo sul Giornale del 20 gennaio afferma che Donald Trump è stato (come lo è tuttora) linciato dalla sinistra radical chic, sia americana che italiana, e che questo ‘vizietto’ della demonizzazione dell’avversario è tipico di questa stessa sinistra. Tutto vero.

Poiché noi non siamo stati dei demonizzatori di Trump ma al contrario abbiamo scritto prima che fosse eletto che c’erano molte buone ragioni per preferirlo ad Hillary Clinton (Addio Impero, finalmente) abbiamo, a questo proposito, la coscienza tranquilla. Il fatto è che l’articolo di Guzzanti, scritto in forma di lettera, rivela subito che la difesa di Trump non è che un pretesto per stabilire un parallelo con Silvio Berlusconi e che quindi la difesa del nuovo presidente degli Stati Uniti altro non è che una difesa postuma dell’ex Cavaliere.

Non è possibile instaurare alcun parallelo, come invece fa Guzzanti, fra questi due personaggi. La sola cosa che gli unisce è che sono due imprenditori che a un certo momento della loro esistenza hanno deciso di entrare in politica. Guzzanti scrive che Berlusconi ha avuto sempre tutti i media ostili. Ora, Berlusconi è stato, ed è, proprietario di tre network televisivi, di un quotidiano, e nei periodi in cui è stato al governo aveva le mani su Rai Uno e Rai Due, ma in questo non diversamente da qualsiasi Presidente del Consiglio italiano (a questo proposito mi ricordo una bella copertina dell’Espresso, quando era ancora l’Espresso e non un giornale samizdat, all’epoca in cui imperava Craxi di cui Guzzanti fu ed è un grande estimatore e rivalutatore, nella quale si vedevano due belle ragazze appoggiate a due televisori, e che recitava così: “Caro Craxi siamo tue, Tiggiuno e Tiggidue”). Affermare, come fa Guzzanti, che Canale Cinque, Italia Uno, Rete 4 fossero “politicamente neutrali perché vendono pubblicità per tutti gli acquirenti” è semplicemente risibile. Ohé Guzzanti, siamo ancora vivi e tutti ricordiamo quanto “politicamente neutrali” fossero quelle Reti. Trump non ha né una Tv né un giornale.

Berlusconi è stato condannato per gravissimi reati, fra cui la corruzione di magistrati, in primo e in secondo grado, salvato più volte dalla prescrizione (ma almeno in due casi la Cassazione accertò che quei reati erano stati effettivamente commessi) definito “delinquente naturale” e infine condannato in via definitiva a quattro anni di detenzione per frode fiscale anche se ne scontò solo uno con quel ridicolo ‘affidamento ai servizi sociali’ che tutti ricordiamo. La fedina penale di Donald Trump è pulita.

Guzzanti sottolinea come la sinistra abbia il ‘vizietto’ di bollare come volgari e ineleganti i suoi avversari. Vero. Ma dimentica che lo stesso trattamento è stato riservato a Umberto Bossi e Antonio Di Pietro e non mi risulta affatto che Guzzanti ne abbia preso le difese, al contrario, soprattutto con Di Pietro, è stato uno dei protagonisti di quei crucifige.

Guzzanti scrive che la sinistra ha un autentico “orrore per il nuovo”. Vero. Ma si dimentica che questo “orrore” è stato riservato anche alla Lega e oggi colpisce in modo violento, cui Guzzanti partecipa, Beppe Grillo e tutti i rappresentanti dei Cinque Stelle.

Ecco perché Paolo Guzzanti anche quando ha ragione finisce per mettersi dalla parte del torto.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2017