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Ora l’WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale, la più antica istituzione del mondo sul clima fondata nel 1873, diventata agenzia delle Nazioni Unite, certifica ufficialmente che dalla Rivoluzione industriale in poi la temperatura del pianeta è aumentata di 2 gradi centigradi. Cosa che produce fenomeni inquietanti, sia nell’immediato e soprattutto nel futuro, come la contrazione dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, la riduzione della terra disponibile, fenomeni meteorologici imprevisti e disastrosi. Ma aldilà di questi grandi eventi geofisici ci sono le conseguenze del ‘qui ed ora’ sulla nostra salute. Prendiamo un fenomeno marginale ma significativo dell’intera questione. Quando ero giovane, e quindi non parliamo di epoche pleistoceniche, le allergie praticamente non esistevano o comunque erano casi assai rari. Oggi non c’è quasi ragazzo o ragazza che non ne sia affetto (allergie alimentari, allergie stagionali e tutta un’altra serie di risposte ad un ambiente che ci fa star male). Tutta questa serie di fenomeni, sia quelli macro che quelli micro, sono dovuti allo straordinario, e in velocissima progressione, aumento dell’anidride carbonica, Co2, nell’atmosfera. Chi è responsabile di questo aumento? La produzione industriale, come ci dice chiaramente e finalmente il report dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Per tamponare il fenomeno si pensa ad ogni sorta di soluzioni, a cominciare dalle cosiddette ‘energie rinnovabili’. Ma nessuna energia applicata in modo massivo è innocente e indolore. Un paio di decenni fa in una regione fra Olanda e Belgio sfruttando il vento impetuoso del mare del Nord (motivo per cui i belgi e gli olandesi sono stati protagonisti del recente campionato del mondo di ciclismo che si correva in Qatar, dove il percorso era totalmente pianeggiante ma le difficoltà venivano dal vento fortissimo, ora a favore, ora contro) furono costruite trecento enormi torri eoliche. Gli abitanti ne uscirono quasi pazzi, per due motivi, uno culturale, erano abituati ad avere davanti a sé una pianura sterminata e si trovavano invece questi Gulliver che chiudevano l’orizzonte, l’altro molto pratico: il rumore era assordante. Insomma all’inquinamento climatico si sostituiva quello acustico. Il problema quindi è la massa. Un foglio di carta in una casa non dà problemi, un quintale di fogli di carta ti rendono difficile respirare.

Naturalmente c’è anche chi ha visto in questo innalzamento della temperatura del pianeta una formidabile occasione economica (e come poteva essere diversamente?) come il commendevole professor Claudio Carraro, vicepresidente dell’Ipcc, l’organismo dell’Onu sui cambiamenti climatici: “in Olanda in previsione dell’aumento del livello del mare stanno già intervenendo realizzando ad esempio colline sotto le quali insediano linee ferroviarie e altri impianti necessari alla vita civile”. Evviva.

In realtà c’è un’unica soluzione per tentare di salvare l’equilibrio del pianeta e, con esso, la nostra pelle: ridurre la produzione. Smetterla di inventarci oggetti assolutamente inutili di cui la pubblicità ci dà puntualmente ed entusiasticamente conto, di inventarci bisogni di cui l’uomo non ha mai avuto alcun bisogno. Dobbiamo rinunciare al mito demenziale delle crescite esponenziali e come suggeriscono alcune inascoltate correnti di pensiero americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo, ritornare “in modo ragionato, graduale e limitato a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano per il recupero della terra e l’inevitabile ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario”. Ma business is business. E in nome di questo Dio, il Dio Quattrino, il solo ormai riconosciuto, questo tumore dell’universo che è diventato l’uomo farà la fine che si merita e di cui avvertiamo solo ora, e con grandissimo ritardo, le prime avvisaglie.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2016

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In Afghanistan gli uomini dell’Isis, bandiera nera al vento, hanno massacrato 36 civili fra cui bambini per rappresaglia all’uccisione di un loro capo. L’eccidio è avvenuto nella provincia di Ghor che occupa una regione abbastanza centrale di quel Paese. Questo vuol dire che Isis è penetrato profondamente in Afghanistan. Che l’Isis fosse la maggiore minaccia per l’Occidente lo avevo anticipato in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 21 giugno 2014 (“Guerra in Iraq: trappola per l’Occidente”). Previsione che si è puntualmente avverata se è vero che oggi per contrastare l’Isis in Iraq sono schierati francesi, inglesi, americani con l’appoggio dei peshmerga curdi, dei pasdaran iraniani e, in una posizione più ambigua, dei russi. La stessa cosa, se c’è una logica in tutto questo, dovrebbe avvenire in Afghanistan. Invece in Afghanistan gli occidentali continuano a combattere i Talebani e si disinteressano dell’Isis. I Talebani dovrebbero essere considerati, almeno oggettivamente, dei nostri alleati perché, pur sunniti, sono fieri avversari dell’Isis. E’ perlomeno dall’inizio del 2014 che gli indipendentisti talebano-afgani combattono contro l’Isis. All’inizio sulle zone di frontiera con il Pakistan, ma adesso sono costretti a farlo anche all’interno del loro Paese. Tant’è che ora hanno richiamato forze consistenti nella zona di Ghor per contrastare l’avanzata del Califfo. Del resto in uno dei suoi ultimi atti, una lettera aperta ad Al Baghdadi del 16 giugno 2015, che in Italia solo Il Fatto Quotidiano ha pubblicato (“Tutte le morti del Mullah Omar”, 30/7/2015), il Mullah era stato esplicito e gli aveva intimato: non permetterti di cercare di penetrare in Afghanistan perché la nostra è una guerra di indipendenza che non ha nulla a che vedere con le tue mire espansionistiche. E aveva aggiunto: tu stai pericolosamente dividendo il mondo musulmano. E anche questo è puntualmente avvenuto perché oggi c’è una frammentazione di sigle jihadiste che fanno riferimento alle più diverse tendenze (wahabite, salafite, eccetera).

 

Probabilmente il cinico calcolo degli occidentali è: che si ammazzino fra di loro, Talebani e uomini del Califfo, tanto a noi che ce ne importa, anzi ne traiamo vantaggio. Ma non è così. Al contrario, indebolire i Talebani a favore dell’Isis è una pura follia perché i Talebani afgani non costituiscono alcun pericolo per l’Occidente, mentre per l’Isis l’Afghanistan è solo un passaggio per la guerra totale che hanno dichiarato alla nostra civiltà. Inoltre sul piano dei ‘diritti umani’ a cui gli occidentali si dimostrano, a parole, sempre molto attenti, ci sono delle differenze radicali fra Talebani e jihadisti. I primi hanno sempre puntato ad obbiettivi militari e politici e si sono ben guardati, nel limite del possibile, da colpire la popolazione civile, non foss’altro per il fatto che è proprio grazie al sostegno di una buona parte di questa popolazione che possono condurre una resistenza che dura da 14 anni. Ma non c’è solo questo. C’è una profonda differenza culturale e, oserei dire, umana. Gli afgani non sono arabi, sono un antico popolo tradizionale (come i curdi) che ha conservato alcuni valori prepolitici, preideologici, prereligiosi, che si chiamano coraggio, dignità, onestà, rispetto del nemico. Lo si è visto molto bene nel trattamento che hanno sempre riservato ai loro prigionieri, trattati con rispetto e se si trattava di donne con particolare riguardo per le loro esigenze femminili. Né hanno mai usato i bambini per fare la guerriglia, tantomeno in forma kamikaze. Di questi valori gli uomini del Califfo hanno conservato solo il coraggio. Il resto è ferocia. Peraltro la stessa ferocia, mascherata solo dal fatto che noi usiamo macchine e non uomini, degli occidentali. Nella prima guerra del Golfo (1990), in Serbia (1999), in Afghanistan (2001), in Iraq (2003), in Somalia (2006/2007), in Libia (2011) e anche adesso in Siria e in Iraq noi abbiamo fatto, con i nostri bombardieri e i nostri droni, non uno, ma dieci, cento, mille Bataclan. E poiché la ‘guerriglia gentile’ talebana è destinata alla sconfitta, perché per quanto indomiti i Talebani non possono battersi contemporaneamente contro gli occupanti occidentali e gli jihadisti internazionali del Califfo, se, ferocia per ferocia, c’è da scegliere fra uomini e macchine, io sono e sarò sempre dalla parte degli uomini, qualsiasi ideologia professino.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2016

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Gli interventi del Governo degli Stati Uniti negli affari interni della politica italiana si fanno sempre più frequenti e pesanti. Ma ormai ci siamo così assuefatti e mitridatizzati che non ci facciamo più caso. Quando più di un mese fa l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, John Phillips, che certamente non parlava a titolo personale ma in nome del suo Presidente, ‘consigliò’ agli italiani di votare Sì al referendum costituzionale, qualche sia pur flebile voce si levò contro questa inaudita ingerenza. Adesso è lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a dire senza mezzi termini che gli italiani devono votare Sì e tenersi comunque l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi, anche se in quel referendum dovesse prevalere il No. Insomma, come si dice adesso che non usiamo più nemmeno la nostra lingua, gli ha dato il suo endorsement. Ma da noi tutto questo è passato sotto silenzio e non c’è stata nessuna reazione non dico delle nostre Istituzioni ma nemmeno di qualche autorevole commentatore. Perfino Duterte, presidente delle Filippine che fino a ieri erano alleate degli americani, gli ha mandati al diavolo quando hanno cercato di inserirsi nella vita interna di quel Paese.

Da un altro versante bisogna però riconoscere a Matteo Renzi e al suo pragmatismo di essere riuscito nel vertice del Consiglio europeo a far passare la linea di non imporre nuove sanzioni economiche alla Russia di Putin per la questione siriana, dopo quelle già in atto per l’annessione dell’Ucraina e delle regioni russofone, trascinando sulla sua posizione anche i più importanti leader europei da Angela Merkel a Francois Hollande a Theresa May. E’ quasi inutile aggiungere che dietro la linea dura contro la Russia c’erano e ci sono gli americani. Per una volta l’Europa ha dato un segno di indipendenza.

Per l’Italia le sanzioni alla Russia comportano già un danno economico rilevante in parecchi settori delle nostre esportazioni che si concretizzano in una perdita secca, nel giro di due anni, del 39,1 per cento.

Ma è l’intera politica europea che dovrebbe trovare una maggior compattezza e i Paesi che ne fanno parte smettere di dilaniarsi fra di loro. Ho partecipato alla bella trasmissione di Andrea Pancani Coffee Break e tutti i politici italiani presenti hanno puntato il dito contro la Germania per la politica di austerity che ci impone. Per la verità non si vede perché i cittadini tedeschi dovrebbero pagare le trentennali dilapidazioni degli italiani e delle loro classi dirigenti. Ma il problema non è questo. E’ da quel dì che l’Europa avrebbe dovuto allontanarsi dagli Stati Uniti, con cautela perché quelli hanno basi militari dappertutto, in particolare in Germania e in Italia, a favore della Russia. Certo bisogna ingoiare molti rospi e come dicevano i latini Incidit in Scyllam qui vult vitare Charybdim, e cioè c’è il rischio che per evitare un male si incappi in un male anche peggiore. La Russia ha la grave responsabilità del genocidio ceceno (250.000 vittime su un milione di abitanti) Putin è un autocrate senza scrupoli e inoltre, come si discuteva nel Consiglio europeo, per proteggere il suo alleato Assad sta facendo scempio di civili ad Aleppo ed altrove. Peraltro invitato a nozze dal precedente intervento americano che ha creato, fra l’altro, quella furibonda mischia attorno a Mosul cui partecipano peshmerga curdi, pasdaran iraniani, il fasullo esercito iracheno, truppe turche, reparti speciali francesi, inglesi, americani oltre agli immancabili bombardieri e droni lanciati dagli Usa dalle loro basi di terra e di mare. Di tutta questa brava gente solo i curdi hanno legittimità perché Mosul fa parte del Kurdistan, una regione da sempre abitata da curdi come dice il nome stesso, un territorio diviso arbitrariamente fra Iraq, Turchia, Iran, Siria. E saranno proprio i curdi dopo aver speso il loro sangue, anche in Libia per aiutare gli occidentali che non hanno più il coraggio di combattere sul terreno, contro l’Isis, a uscire beffati da questa storia perché la Turchia, che ne ha 14 milioni in casa, non permetterà mai la costituzione di uno Stato curdo indipendente ai suoi confini.

Detto di Putin tutto il male che andava detto è però indubbio che i nostri interessi, di noi europei, convergono molto di più verso la Russia che verso gli Stati Uniti. Per vicinanza geografica, per questioni energetiche ed economiche ed anche culturali (Dostoevskij, Tolstoj, Puskin, Cechov, Gogol fanno parte della cultura europea molto più della filiera, non certo disprezzabile ma ad altezze di gran lunga inferiori, degli scrittori americani). L’ideale sarebbe trovare una equidistanza fra le due superpotenze. E in questo senso, pur sottobanco, lavora Angela Merkel di cui si capisce da vari segni che, dovendo scegliere fra due mali, preferisce quello russo a quello americano.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2016