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Per capire le ragioni della spaventosa ferocia degli assalitori dell'impianto di In Amenash e la reazione altrettanto cruenta dei reparti speciali dell'esercito algerino bisogna fare un passo indietro di circa vent'anni. Nel 1991 le prime elezioni 'libere' algerine, dopo trent'anni di una sanguinaria dittatura militare, furono vinte dal Fis (Fronte islamico di Salvezza) con il 78,5% dei consensi. Allora i generali tagliagole, con l'appoggio dell'intero Occidente, politico e intellettuale, annullarono le elezioni sostenendo che il Fis avrebbe instaurato una dittatura. Per la verità il Fronte islamico di Salvezza, a dispetto del nome, non era particolarmente fanatico comprendendo, in maggioranza, gruppi religiosi moderati. In ogni caso in nome di una dittatura puramente ipotetica si ribadiva quella precedente. Tutti i principali dirigenti del Fis furono messi in galera. Una pessima pedagogia 'democratica'. Perché insegnava che le elezioni, perno di ogni democrazia, vanno bene se le vinciamo noi occidentali o i nostri amici, se le vincono gli 'altri' non valgono più.

Cosa succede in un Paese, qualsiasi Paese, quando quasi l'80% della popolazione si vede derubata del proprio voto? Una guerra civile. E così fu. I gruppi più decisi e più estremisti del Fis costituirono il GIA (Gruppo Islamico Armato) e diedero inizio ad una guerriglia durata molti anni. Il bilancio approssimativo è di 200 mila morti la maggior parte civili come ormai avviene in tutte le guerre moderne. Ma non sono certamente tutti addebitabili al GIA. Mohamed Samraoui, ex numero due dell'antiterrorismo, riparato in Francia, in un libro del 2003 ('Cronache di un anno di sangue'), ha raccontato come molte stragi di civili e la cancellazione di interi villaggi, attribuite al GIA, fossero opera dei reparti speciali dell'esercito, camuffati da estremisti islamici, per indirizzare l'odio della popolazione sui guerriglieri e giustificare agli occhi del sensibile Occidente i 15 mila desaparacidos e le orribili torture che si praticavano nelle carceri algerine. Ha anche raccontato come il suo capo, Smaïn Lamari, gli ripetesse: “Sono pronto a eliminare tre milioni di algerini pur di mantenere la legge e l'ordine”. C'è quasi riuscito, in un senso e nell'altro. Rispetto agli anni novanta la guerriglia ha perso molta della sua forza, ma molti gruppi di resistenti sono rimasti. E' ovvio che una situazione del genere sia il 'brodo di cottura' ideale per quelli che Lorenzo Cremonesi sul Corriere chiama gli 'jiaidisti veri' cioè coloro che hanno in testa la 'guerra totale' all'Occidente, e che sono accorsi in massa in Algeria. Del resto non è casuale che colui che ha guidato l'attacco, Mokhtar Belmokhtar, abbia chiesto in cambio della liberazione di due ostaggi americani quella di due terroristi, di nazionalità molto diversa, detenuti negli Stati Uniti: lo sceicco egiziano Omar Abdel Rahman e la scienziata pakistana Aafia Siddiqui, proprio a sottolineare che la guerra fra Islam ed Occidente è ormai globale. Peraltro nel commando che ha assaltato la centrale di In Amenas c'erano, oltre ad algerini, yemeniti, egiziani, siriani, tunisini, mauritani, libici e persino tre occidentali, un francese, un inglese e un canadese. Così da una pur grave guerra civile, ristretta all'Algeria, rischia di nascere, anche come conseguenza di quell'antico scippo di elezioni che gli islamici avevano vinto legittimamente, un conflitto totale.

L'ingiustificato attacco della Francia al Mali del Nord è stato un pretesto perché l'operazione contro la centrale di In Amenas era stato preparata due mesi fa. Ma l'Occidente dovrebbe stare più attento a offrire simili pretesti. Perché, alla lunga, potrebbero diventare ragioni.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 25 gennaio 2013

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In Libia, nel 2011 , i francesi, gli inglesi e gli americani intervennero a sostegno dei ribelli contro Gheddafi con il quale, peraltro, avevano fornicato fino a pochi mesi prima. Non furono i ribelli a rivendicarsi in libertà, gliela regalò la superpotenza dell'Occidente con i suoi caccia, i bombardieri, gli aerei-robot (droni) la sua tecnologia. In Mali sta avvenendo il contrario. I francesi, con l'appoggio logistico degli inglesi e degli americani, intervengono a favore del governo di Bamako contro i ribelli islamici che, con l'appoggio della maggioranza della popolazione (l'80 % é di religione musulmana) da qualche anno hanno preso il potere del Mali del Nord fondando uno Stato indipendente che dal maggio 2012 ha una sua capitale, Gao. Adesso, con l'aiuto degli alleati Tuareg, puntano su Bamako per unificare il Paese sotto la legge della Sharia.

Il presidente francese, il socialista Hollande, ha giustificato l'intervento militare « come lotta al terrorismo che non interessa solo la Francia ma l'intera Europa » e Bernard-Henry Levy ha scritto che l'intervento « conferma, sul piano dei principi, il dovere di protezione già stabilito dall'intervento in Libia;una volta crea un precedente, due volte fa giurisprudenza...per chi pensa che la democrazia non abbia più frontiere è un passo avanti...riafferma l'antica teoria della guerra giusta di Grozio e di San Tommaso...ripete infine il ruolo eminente della Francia in prima linea nella lotta per la democrazia » (« la France! ». Forse Levy dovrebbe leggersi 'Viaggio al termine della notte' dove Céline sbugiarda ferocemente questo patriottismo da retrovia delle élites politiche e intelletuali francesi). Contro questo delirio guerrafondaio ha osato levarsi la voce solo di Dominique de Villepin, l'ex ministro degli Esteri, noto per il celebre discorso all'Onu contro Colin Powell e la guerra all'Iraq, il quale ha denunciato « una missione dagli obiettivi poco chiari e il 'déjà vù degli argomenti contro il terrorismo ».

E infatti il terrorismo, almeno per il momento, nella questione del Mali non c'entra nulla. Come si fa a definire 'terroristi' milioni di islamici, sia pur integralisti, e un'intera etnia come i Tuareg ? E' una guerra civile. Che diritto abbiamo noi occidentali di ingerirci, con la forza, con la violenza, con i bombardamenti nelle vicende interne di un Paese che ci è lontano geograficamente e lontanissimo culturalmente? Nessuno, con buona pace di Grozio, di San Tommaso, di Hollande e di Bernard-Henry Levy. Ma è certo che se l'Occidente, forte della sua incommensurabile superiorità militare e tecnologica di fronte a gente che dispone solo di mitragliatrici e granate, persevererà nella sua totalizzante e proterva pretesa di omologare a sè l'intero esistente, imponendo i suoi valori, o disvalori, le sue istituzioni, la sua falsa democrazia e, naturalmente, i suoi interessi, il fantasma del terrorismo, agitato strumentalmente, potrà diventare terribilmente concreto. Nella 'guerra asimmetrica' questa gente, stanca di subire, non ha altri strumenti. L'attacco alla centrale di Amenas, in Algeria, ne è un tragico preannuncio. Ma, in fondo, siamo ancora lontani dai nostri confini.

Più gravide di conseguenze sono le parole di alcuni combattenti del Mali : « Voi ci avete attaccato, senza ragione, sul nostro territorio, e allora noi abbiamo il diritto di attacarvi sul vostro, in Francia, in Europa, ovunque ». Possiamo dar loro completamente torto ? O solo le nostre sono 'guerre giuste' ?

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2012

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Da una settimana caccia francesi, sostenuti sul piano logistico dalla Gran Bretagna e, più discretamente, dagli Stati Uniti (informazioni via satellite) , stanno bombardando le truppe degli islamici integralisti e dei Tuareg che, dopo aver preso il potere, con l'appoggio della maggioranza della popolazione, (all'80 per cento musulmana) nel Mali del Nord, facendone uno stato secessionista con Gao come capitale, puntano ora verso sud per unificare l'intero Paese e imporre la sharja.

Il presidente francese, il socialista Hollande, e il suo ministro degli Esteri Fabius giustificano l'intervento come « lotta al terrorismo  che non interessa solo la Francia ma l'intera Europa ». E Bernard-Henry Levy, dopo aver parlato, a proposito delle truppe islamiche, di 'esercito del terrore', scrive che l'intervento militare francese « Conferma sul piano dei principi il dovere di protezione già stabilito dall'intervento in Libia : una volta, crea un precedente, due volte fa giurisprudenza...per chi pensa che la democrazia non abbia più frontiere é un passo avanti.... Riafferma l'antica teoria della guerra giusta di Grozio e San Tommaso.... Ripete infine il ruolo eminente della Francia, in prima linea nella lotta per la democrazia ». Contro questo unanismo 'patriottico' delle élites francesi (che Céline, nel suo 'Viaggio al termine della notte', riferito alla prima guerra mondiale, sferzo' ferocemente bollandolo per quello che era : un modo per mandare allegramente al macello i giovani francesi in nome di un'astrazione che soddisfaceva i concretissimi interessi della borghesia delle retrovie) si é levata solo la voce di Dominique de Villepin, l'ex ministro degli Esteri transalpino, già noto per il celebre discorso all'Onu contro Colin Powell e la guerra all'Iraq. Villepin ha denunciato « una missione dagli obbiettivi poco chiari, l'unanismo dei favorevoli alla guerra  il 'déjà vu' degli argomenti contro il terrorismo ».

Villepin ha ragione. Qui il terrorismo, almeno, per il momento, non c'entra nulla. Come si possono considerare 'terroristi' milioni di islamici, sia pur integralisti, e un'intera etnia come quella dei Tuareg ? Sono dei ribelli che considerano il governo centrale di Bamako troppo prono ai voleri dell'Occidente e ai suoi stili di vita e che vogliono invece conservare i propri. Si tratta di una classica guerra civile fra fazioni di uno stesso Paese che hanno concezioni diverse dell'esistenza. Che diritto ha l'Occidente (parlo di diritti, di principi quelli richiamati da Bernard- Henry Levy non di interessi) di ingerirsi, con la violenza, con i bombardamenti, con i Mirage che partono da migliaia di chilometri di distanza, nelle vicende interne di un Paese che gli é lontanissimo geograficamente e culturalmente? Nessuno, con buona pace di Grozio, di San Tommaso, di Hollande e di Bernard-Henry Levy. Il fatto é che l'Occidente totalizzante vuole omologare a sè tutte le realtà che non le sono omologhe o i Paesi che non si mettono al suo servizio (se lo fanno possono applicare la sharia, come in Arabia Saudita, nel più feroce dei modi, non olet, altro che i sacri principi).

Col pretesto di combattere il terrorismo noi lo stiamo fomentando. Nella guerra 'asimmetrica' dove l'Occidente usa mezzi tecnologici sofisticatissimi, irraggiungibili, imbattibili e chi non ci sta ha a disposizione solo pick-up, mitragliatrici, granate e i propri corpi, a costoro resta solo il terrorismo. Ed é quanto, prima o poi, avverrà e anzi, sia pur non in Mali, sta avvenendo (vedi l'attentato in Algeria). Un preannuncio ci viene proprio dal Mali « Voi ci avete attaccato, senza ragione, sul nostro territorio-hanno detto i ribelli del Mali-e allora noi abbiamo il diritto di attaccarvi sul vostro, in Francia, in Europa, ovunque ». Se dopo l'Afghanistan, l'Iraq, Somalia, la Libia, il Mali la protervia occidentale continuerà su questo passo non potremo meravigliarci se anche nella tranquilla e, tutto sommato, ancora ben pasciuta Europa, comincieranno a saltare in aria i grandi magazzini.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 18 gennaio 2013