La formazione del governo 5stelle-Pd, che mi si consenta, pardon mi si permetta, io avevo previsto (Il PD ammetta l'errore: vada al governo col M5S, Il Fatto, 9/8/19) prima ancora che Matteo Salvini desse la spallata decisiva, con un autentico autodafe, al proprio esecutivo in cui svolazzava libero e felice da mane a sera, ha fatto letteralmente impazzire i giornali che sarebbe offensivo per la destra, che è o almeno è stata una cosa seria, definire di destra. Lasciamo perdere l’aggettivazione normalmente sobria di questi giornali (“L’orrendo governo giallorosso”, La Verità; “Un esecutivo di stolti”, Feltri, Libero; “Non c’è pace fra i cretinetti”, sempre Feltri) e concentriamoci solo su alcune delle acrobatiche capriole, da veri saltimbanchi, cui sono stati costretti. Scrive Feltri che il nuovo esecutivo “bacerà le pantofole ai fessi dell’Europa”. Ma come, i 5stelle non erano stati accusati di antieuropeismo e di voler addirittura uscire dall’euro, tanto che Paolo Savona, indicato da Luigi Di Maio come ministro dell’Economia, fu costretto a rimettere il mandato? “Nasce il governo più impopolare della storia”, Franco Bechis sul Tempo. Ma come, l’attuale Presidente designato, succeduto a se stesso, non era nei sondaggi il più popolare dei politici italiani, più dello stesso popolarissimo Salvini? “Il governo più a sinistra della storia della Repubblica” scrive Sallusti aggiungendo con accezione negativa che “non il popolo ma il Parlamento è sovrano”. Ma come, in queste settimane non hanno insistito tutti, ma proprio tutti, sulla “centralità” del Parlamento? Che poi in linea generale questa affermazione sia vera e cioè che nelle democrazie parlamentari il popolo non conti nulla (io l’ho scritto in Sudditi. Manifesto contro la Democrazia) vale però per questo governo come per quello precedente come per tutti i governi che si sono succeduti dalla nascita della Repubblica. E’ troppo comodo, troppo facile, accorgersene quando si viene sconfitti e prendere il sistema per buono quando si è vincenti. “Perdenti al Governo”, Il Giornale. Per la verità i “perdenti al Governo” erano quelli di prima, perché ci era andata la Lega che aveva il 17 % contro il 18,7 del Pd. Ora al Governo ci sono i due partiti usciti vincenti dalle ultime elezioni, i 5stelle con il 32,7% e il Pd appunto con il 18,7 %. Che cosa c’è di strano, che cosa c’è di scandaloso, sempre ragionando in termini democratici, se i due primi partiti si mettono insieme per governare? In Germania si sono fatte ‘grosse Kolition’ tra l’SPD socialista e il partito centrista di Angela Merkel senza che nessuno ululasse all’’inciucio’.
Matteo Salvini, come già prima Renzi, si è fatto ubriacare dalla vittoria nelle elezioni europee, ma purtroppo per lui, per i suoi seguaci, per i suoi sgomenti sostenitori mediatici, in Italia, allo stato, valgono le elezioni politiche italiane.
L’”orrendo governo”, mi spiace per i “perdenti”, durerà sino alla conclusione della legislatura. Sarebbe davvero pazzesco che 5stelle e Pd ripetessero la disastrosa mossa di Salvini sfasciando il nuovo governo in qualche momento del suo percorso perché ciò significherebbe la loro fine politica, come ha segnato quella, almeno per il momento, di Salvini. Errare è umano, perseverare è diabolico.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2019
Achtung! Fra poco dovremo diventare tutti vegani o quantomeno vegetariani. Secondo il sito americano Vox, che il giornalista del Corriere.it Gianluca Mercuri definisce “raffinatissimo e di tendenze molto progressiste”, le tasse sulla carne dovrebbero essere aumentate in modo tale che pochissimi potrebbero permettersi il lusso di questo cibo.
Nelle libere democrazie non si può far più nulla, non si può più bere, non si può più fumare se non con sigaretta elettronica (se non ci fosse di mezzo un ‘de cuius’ mi sbellicherei dalle risa alla notizia del primo morto per uso di questo sostituto delle vecchie, care Gauloises o Camel o Stuyvesant), non si può più scopare perché dopo #meetoo avvicinare una donna è diventato pericolosissimo, a meno che non si abbia novant’anni com’è accaduto a Parigi e allora si gode della pietas generale, e adesso non si può più nemmeno mangiare una cotoletta alla milanese.
Naturalmente la proposta di quelli di Vox, non per nulla sono “raffinatissimi”, non è priva di argomentazioni anche serie: la sofferenza di bovini, suini, polli ‘stabulati’ sotto i riflettori 24 ore su 24 per farli crescere di più e più in fretta cosa che causa a questi animali patologie tipicamente umane, disturbi cardiovascolari, infarto, diabete, depressione. Violenza che anch’io, che pur non sono “raffinato” come quelli di Vox, denuncio da anni pronunciandomi a favore della più cruenta ma più onesta corrida, con grande scandalo di questi stessi animalisti, ambientalisti e ultraprogressisti. Questi animali dovrebbero essere mandati all’alpeggio, come si fa tuttora in Svizzera, o allo stato brado, come in Corsica, evitando non solo le loro sofferenze, ma a noi di mangiare carne malata di animali malati cosa che certamente ci fa più male che fumarci qualche sigaretta in santa pace.
Ma dove casca l’asino di questi ambientalisti Khomeinisti e ultraprogressisti? Sta nell’osservazione che la giornalista del Corriere Sara Gandolfi, ma certamente non solo lei, fa sul riscaldamento delle terre emerse: “la temperatura dell’aria sulle terre emerse ha raggiunto circa 1,5°C in più rispetto all’era preindustriale, il 13% di CO2, il 44% di metano e l’82% di protossido di azoto, a causa dell’agricoltura, silvicoltura e altri usi intensivi del suolo”. Insomma la colpevole è la mucca che, com’è stato sostenuto in tutta serietà, con le sue scoregge al metano inquinerebbe l’intero pianeta. Nemmeno un accenno invece si fa mai, tanto meno da parte dei “raffinatissimi” di Vox, alla produzione industriale propriamente detta che è la principale responsabile dell’aumento di CO2 nell’aria e nel suolo. Non se po’ fa, disturberebbe il manovratore (non per nulla tutti questi aumenti sono posteriori alla rivoluzione industriale e metterebbero in discussione l’intero nostro modello di sviluppo e persino l’Illuminismo che l’ha razionalizzato e legittimato).
Non manca nello j’accuse di Vox l’argomentazione salutista: gli obesi che sono tali a causa dell’abuso di carne per il loro scellerato piacere. “Chi vuol esser obeso sia, di diman non c’è certezza”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2019
Nell'estate del 1989, a pochi mesi dal crollo del muro di Berlino, io mi stavo occupando del lento sfaldamento di un altro muro: l'apartheid. Nell'agosto dell'89 mi trovavo in Sud Africa per L'Europeo. Nel mese successivo il nuovo presidente sudafricano De Klerk, che sostituiva l'ultraconservatore Botha, avrebbe annunciato la sua intenzione di abolire la discriminazione razziale fra bianchi e neri, una decisione che era nell'aria da tempo. La parte più meschina e stupida dell’apartheid, la cosiddetta ‘petty apartheid’, era stata già abolita: l’Immorality Act che interdiva i rapporti sessuali tra persone di razze diverse e la proibizione a neri e bianchi di frequentare gli stessi locali e usare gli stessi mezzi pubblici. Resisteva invece l’apartheid più dura, la ‘job reservation’, che impediva ai neri di raggiungere posizioni apicali.
Ma nel 1989 anche l’abolizione della ‘petty apartheid’ era più virtuale che reale, tale era la diffidenza che si era accumulata nei decenni fra le due comunità. Inoltre c’era una differenza culturale. E’ difficile immaginare due comunità così agli antipodi: la determinazione, la chiusa cupezza, di stampo protestante, degli ‘afrikaner pedigree’, boeri olandesi preilluministi che sembravano usciti paro paro dai quadri di Bruegel e l’allegria, la bonomia e la tradizionale indolenza dei neri che, nel 1989, erano ancora quelli descritti da Karen Blixen ne La mia Africa.
A Johannesburg sono salito a Hillbrow, una collina sopra la città, e sono entrato in un discreto pub, il Belmont. Separate da un vestibolo c’erano due grandi sale: il Taffi’s Bar e il Blue Bar. Nessuna scritta “white only”. Ma i bianchi stavano tutti al Taffi’s e i neri tutti al Blue. Non si vedeva un solo nero su un autobus di bianchi né, tantomeno, un bianco su un autobus che portava i neri nelle loro township. L’ho fatto io prendendo il bus per Alexandra, uno dei ghetti, insieme a Soweto, più famosi. Conservo ancora, con un certo orgoglio, il biglietto della Putco. I passeggeri neri mi guardavano con una certa curiosità, ma senza alcuna ostilità. Un’ostilità che non ho mai incontrato né nelle township né nei loro locali. Come mi ha detto un leader del Cosatu, il sindacato dei lavoratori neri: <<noi non ce l’abbiamo con i bianchi presi individualmente, ma con un sistema>>.
C’è però una differenza tra i neri anziani e i giovani, soprattutto quelli che hanno studiato in Occidente. Mi trovavo una sera a cena a casa di amici, a Durban. C’era un giovane medico Bheki Mbhele che lavorava all’ospedale King Edward VIII. Mi trattava freddamente. Capisco che per lui doveva essere frustrante, dover rientrare dopo cena, con la sua bella Mercedes bianca e il suo PhD, a Clermont il ghetto nero di Durban. Ma è anche vero che i neri che hanno studiato in Occidente perdono tutte le buone qualità della loro razza, a cominciare dalla tradizionale affabilità e una certa fanciullaggine, per acquisire tutte le cattive dei bianchi, a partire dall’ideologismo.
L’apartheid in ritirata in superficie (sto parlando sempre del 1989) si prende la sua rivincita nelle miniere. Scendo nella Western Deep Levels, una delle più grandi miniere aurifere del Sud Africa. L’ascensore è una grande gabbia divisa a mezz’altezza da una grata. Nella parte superiore stanno i neri, sotto i bianchi. Se cade una pietra se la buscano i primi. A 2700 metri di profondità, dove si trova il reef, la vena aurifera, il caldo è insopportabile, l’umidità soffocante, non si respira. Anche il più piccolo movimento costa fatica. Il geologo fa portare i suoi strumenti dal bass boy, il capo dei lavoratori neri. Svoltiamo in una galleria ancora più angusta, un budello in leggera salita. C’è un passaggio in cui siamo costretti a strisciare pancia a terra fra la ghiaia scivolosa e la roccia che ci preme sulla schiena. Sono dieci, quindici metri da incubo. Finalmente passiamo al di là della strettoia. Alla luce delle torce che ondeggiano sugli elmetti quattro o cinque neri a torso nudo trapanano la roccia con i martelli pneumatici. E’ lo stope, l’ultima frontiera della miniera, il posto dove si estrae. Il rumore è infernale. I ‘machine boy’ lavorano accovacciati perché il cunicolo è alto meno di un metro. Devono stare in quella posizione quattro o cinque ore, finché hanno finito di fare i fori nei quali verranno messe le cariche di dinamite. Alla luce della torcia il geologo mi mostra il reef, la vena, la stretta striscia di trenta centimetri di roccia per cui tutta la miniera, con i suoi uffici, le sue baracche, i suoi pozzi, le sue gabbie, i suoi livelli, i suoi treni, le sue gallerie, è costruita. Trenta maledetti centimetri, da cui si estrarranno 5, 10 grammi d’oro a tonnellata. Il geologo mi spiega perché lo stope è così basso, non più di un metro: per non diminuire la resa. Più bassa è la galleria, più alta è la resa. Risaliamo in superficie. La commovente natura sudafricana mi viene incontro. Riesce difficile immaginare che proprio sotto i nostri piedi c’è l’inferno.
Nelson Mandela ha potuto compiere il miracolo di una transazione pacifica dal Sud Africa dell’apartheid a uno stato di diritto perché apparteneva alle due culture. Da una parte, avvocato, aveva introiettato i principi dell’illuminismo, ma dall’altra rimaneva un Principe Xosa e, nonostante i 27 anni di galera, non aveva perso la tradizionale moderatezza dei neri d’antan.
Adesso in Sud Africa c’è la democrazia. La leadership è nera e corrotta come in tutte le altre, o quasi, democrazie del mondo. Tutto è tornato alla normalità.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2019