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Sgozzare un prigioniero e, per sopramercato, filmarne l’esecuzione, è un atto infame. I prigionieri di guerra vanno rispettati. Ciò vuol dire che non devono nemmeno essere umiliati mettendoli nudi a piramide o, sempre nudi a quattro zampe tenuti al guinzaglio come cani, da una soldatessa, con un ‘superadditum’ di agonia per un uomo di cultura islamica, come è stato ad Abu Ghraib o tenerli in gabbie scoperte, esposti giorno e notte, come è avvenuto e avviene tuttora a Guantanamo (vizietto, questo, non nuovo agli americani che nel dopoguerra, a Tombolo, misero in una gabbia del genere, esposto come un animale alla curiosità morbosa della gente, il grande poeta Ezra Pound mallevadore di decine di letterati statunitensi) oppure facendoli sfilare, con le mani legate dietro la schiena, in ciabatte, fra ali di una folla insultante che li bersagliava di uova, come è accaduto a Donetsk ai soldati ucraini prigionieri dei russofoni. Né il prigioniero di guerra può essere torturato, col waterboarding, la deprivazione del sonno e altre pratiche consimili cui sono stati sottoposti i Talebani a Guantanamo. Anche se la tortura, comunque inaccettabile ha un grado di gravità leggermente inferiore perché può essere fatta per estorcere informazioni al nemico, mentre l’umiliazione è solo un atto di puro sadismo esercitato da chi, avendo nel suo pieno potere una persona, dà sfogo alle sue pulsioni più laide.

Anche i Talebani afghani hanno e hanno avuto prigionieri. E tutti, da Daniele Mastrogiacomo di Repubblica alla giornalista inglese Yvonne Ridley alla francese Celine Cordelier dell’Ong ‘Terre d’enfance’ fino al giovane sergente americano Bowe Bergdahl liberato, dopo 5 anni, pochi mesi fa in cambio di alcuni detenuti di Guantanamo, hanno dichiarato di essere stati trattati con rispetto. Appena liberata dopo 25 giorni la Cordelier disse: “Non potrò mai dimenticare che mi hanno nutrito e trattata con rispetto e anche con delicatezza per le mie esigenze di donna”. Ma il caso più significativo è forse quello di Yvonne Ridley. La giornalista inglese, mascherata con un burqua, si era introdotta in territorio talebano proprio nei giorni in cui gli angloamericani cominciavano a bombardare Kabul. Naturalmente i Talebani la sgamarono subito, l’arrestarono e la portarono in una loro prigione, prima a Bagram poi a Kabul. A lei, terrorizzata per essere caduta nelle mani di gente tanto malfamata, venne un blocco allo stomaco, si rifiutava di mangiare. “Ciò addolorò sinceramente i miei carcerieri che cercavano di farmi coraggio”. Poiché non aveva con sé documenti che dimostrassero che era davvero una giornalista, e oltretutto apparteneva ad un Paese che li stava attaccando, i Talebani avevano delle buone ragioni per sospettare che fosse una spia. La interrogarono quindi per alcuni giorni e accertato che non era una spia, la portarono, protetta da una scorta armata, e quindi distogliendo uomini che potevano essere utili altrove, al confine col Pakistan, liberandola. E lei, qualche tempo dopo, si fece musulmana. Non ci sono mai arrivati dall’Afghanistan filmati osceni con i prigionieri costretti alle più umilianti ritrattazioni come fece Saddam Hussein con i giovani soldati americani caduti nelle sue mani o filmati in cui si fanno sfilare i prigionieri come a Donetsk o come fecero gli stessi americani con i primi guerriglieri Talebani catturati ed esibiti alla curiosità dei giornalisti e delle Tv benché implorassero i loro carcerieri di non costringerli a quell’osceno ‘defilé’ (”Piuttosto uccideteci, ma non umiliateci”).

Il fatto è che quello afgano, talebano o no, nonostante gli sia passato sopra l’islamismo, resta un antico popolo tradizionale che conserva alcuni valori prereligiosi, preideologici, prepolitici: dignità, lealtà, rispetto. Valori che gli arabi, dalla lingua biforcuta, non hanno mai avuto e che noi occidentali, russi compresi, abbiamo perduto da tempo.

A me non sono mai interessate le ideologie, mi interessano gli uomini e i loro comportamenti. Per questo, pur non condividendo quasi nulla, sono stato, sono e sarò sempre dalla parte dei Talebani che da 14 anni tengono testa, non aiutati da nessuno se non dalla propria valentia guerriera, al più potente, tecnologico, robotico e vigliacco esercito del mondo. Io sto col Mullah Omar. Un uomo, finalmente, un uomo.

Pubblicato da "Il Fatto Quotidiano" il 30 agosto 2014.
Massimo Fini

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Prima di morire devo uccidere qualcuno. Paolo Mieli, per esempio. Perché tutte le volte, poche, che sono stato a cena con lui solo alla fine mi sono reso conto che mi aveva insultato per tutto il tempo. E’ abilissimo. Avvolgente, suadente, subdolo. Ma non ne varrebbe la pena. Gli darei una fama immeritata, sminuendo la mia. Berlusconi, allora?Potevo farlo. Ero in Tribuna d’Onore per un Milan-Torino (1-1). Avevo dei posti regali, né troppo in alto né troppo in basso, che mi aveva dato il vicesindaco democristiano, Zoia, anche lui tifoso del Toro. Io stavo nel sedile più esterno, rasente la scaletta di pietra che divide i Vip dai SuperVip. Berlusconi arrivò all’ultimo momento salendo gli scalini a quattro a quattro con fare un po’ scimmiesco. Mi sfiorò, salutandomi (perché è cortese ed è uno dei suoi vantaggi su quegli spocchiosi della sinistra). Con la pistola – in Tribuna d’Onore, nonostante ci sia il più alto concentrato di mascalzoni, non si fanno controlli – avrei potuto seccarlo tranquillamente. Ma non volevo passare alla cronaca, se non alla Storia, per aver ucciso Silvio Berlusconi. Almeno Erostrato incendiò il Tempio di Artemide a Efeso. Altri politici maschi (si fa per dire, in quest’età femminea i maschi non esistono più, belano, hanno ceduto il cazzo alle donne) degni della mia attenzione non ne vedo. Una donna? Sarebbe più intrigante. Una vendetta postuma contro mia madre anaffettiva, russa e zarista. Daniela Santanché? La Santanché dice delle stronzate inaudite ma personalmente è molto simpatica. Quando la invitai a presentare il mio ‘Di(zion)ario erotico’, al posto di una cretina dal nome altisonante che mi aveva dato buca, fu molto sportiva, perché sapeva di essere una riserva in panchina, divertente e spiritosa. Poiché alla voce ‘Scarpe’ avevo scritto che le donne che portano i tacchi a spillo sono delle ‘oche giulive’ lei esibì orgogliosamente i suoi. In un’altra occasione, a un dibattito, eravamo seduti a fianco mentre parlava Grillini dell’Arcigay. E noi sotto il banco, come dei liceali, ci scambiavamo dei bigliettini feroci sui finocchi (pardon, non si può più dire, come ‘negro’, ‘vu’ cumprà’, ‘forza Vesuvio’, si rischia la galera). No, la Santanché no. Oltretutto ha già la sua condanna in terra: sta con Sallusti. Le altre parlamentari mi ispirano sentimenti neutri. Per la verità una che mi piace c’è, dei 5stelle, ma non la strangolerei, la costringerei alle più umilianti prestazioni, la farei arrampicare nuda sul lampadario, giochetti che un tempo mi riuscivano abbastanza agevolmente, soprattutto con le femministe, le masochiste per eccellenza.

Imbragarsi da kamikaze alla Di Battista e distruggere un monumento famoso, come fece Erostrato? Il Colosseo dopo che Obama l’ha declassato a campo da baseball ha perso ogni appeal. Ma qualcosa che farei saltare volentieri in aria c’è. Il grattacielo a banana costruito davanti alle finestre di casa mia. Lo minerei e lo farei implodere su se stesso come fan gli americani. “Ma, mi raccomando, di notte quando dentro non c’è nessuno” mi ha detto il sempre prudente Padellaro. “No - ho risposto - unt posto del genere non può essere abitato che da stronzi. Se li fai saltare in aria tutti sei sicuro di non sbagliare un colpo”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2014

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Che il premier Matteo Renzi si faccia gavettoni a fini pubblicitari e per vellicare il proprio narcisismo, quando per la cura della Sla il governo non ha stanziato un euro, è grave. Ma molto più grave è che vada a esibirsi platealmente a Erbil. Perché mette inutilmente a rischio l’incolumità dei suoi concittadini. E’ evidente infatti che se i caccia americani e i droni continueranno a bombardare i guerriglieri dell’Isis, sottraendogli una vittoria che si stanno conquistando legittimamente sul campo di battaglia, intromettendosi così in una guerra civile senza averne alcun titolo, essendone anzi la causa originaria per la sciagurata aggressione all’Iraq del 2003, l’Isis porterà la guerra in Occidente. Con le armi che, in questo caso, ha a disposizione: il terrorismo. E l’Italia grazie agli infantilismi di Renzi sarà uno dei primi obbiettivi. L’Italia è alleata degli americani, ma non è il caso che il suo premier faccia il ‘sopracciò’, stia al suo posto, defilato.

Peraltro è dal 1989, col crollo dell’Urss, che gli Stati europei avrebbero dovuto prendere le distanze dall’avventurismo americano. Anche perché sono decenni che gli Usa non ne azzeccano una, con effetti boomerang. E’ dal 1980, dalla caduta dello Scia, un dittatore la cui polizia segreta, la Savak, era la più famigerata del Medio Oriente, che è tutto dire, e dall’avvento di Khomeini, che hanno preso di punta l’Iran inserito nell’’Asse del Male’. Nel 1980 l’Iraq aggredì l’Iran. Per cinque anni i Paesi occidentali fornirono armi a entrambi i combattenti perché potessero ammazzarsi meglio (e fra i fornitori c’erano gli italiani, tanto che adesso i nostri sminatori sono reclamati nella regione perché l’Italia è la più grande produttrice di mine al mondo, comprese quelle ‘antiuomo’ che persino il Mullah Omar aveva proibito ai suoi di utilizzare). Ma nel 1985 quando gli iraniani erano davanti a Bassora e stavano per prenderla, intervennero gli americani, per ‘motivi umanitari’ naturalmente: non si poteva permettere alle ‘orde iraniane’ (gli altri sono sempre ‘orde’, solo i nostri sono eserciti) di entrare a Bassora, sarebbe stato un massacro. Risultato dell’intervento ‘umanitario’: la guerra che sarebbe finita nel 1985, con la caduta immediata di Saddam, l’indipendenza del Kurdistan iracheno e che fin lì era costata mezzo milione di morti, durò altri tre anni portando il bilancio a un milione e mezzo. Saddam non solo restò in sella, ma rimpinzato di armi dagli americani, fra cui quelle chimiche con cui aveva ‘gasato’ 5000 curdi ad Halabya, aggredì il Kuwait.

Nel 2003 c’è stata l’occupazione dell’Iraq e la creazione del governo fantoccio e pseudodemocratico di Al Maliki col risultato di consegnare più della metà dell’Iraq all’Iran, che senza sparare un colpo si è preso quello che gli era stato negato nel 1985, perché gli sciiti iracheni, il 62% della popolazione, sono fratelli gemelli di quelli iraniani. A lunga gittata questa intromissione in Iraq, con l’emarginazione dei sunniti, avrebbe posto le premesse per la nascita dell’Isis. Adesso gli americani si trovano nella paradossale situazione di poter contare, oltre che sui loro droni, solo sui pasdaran iraniani, gli unici, per valentia guerriera, a poter contrastare sul campo gli uomini dell’Isis.

Nel 2001 c’era stata l’invasione dell’Afghanistan talebano, del tutto immotivata (Bin Laden in Afghanistan non ce l’avevano portato i Talebani, ma Massud, alleato degli americani) una guerra che va avanti da 14 anni, la più lunga da secoli. Nel 2006/2007 l’invasione, per interposta Etiopia, della Somalia dove le Corti Islamiche avevano sconfitto i ‘signori della guerra’ locali riportando, come i Talebani in Afghanistan, l’ordine e la legge in quel Paese, sia pur un duro ordine e una dura legge. E oggi la Somalia è in piena guerra civile. Nel 2011 l’attacco alla Libia per defenestrare Gheddafi con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

E’ evidente che questo pluriventennale attacco al mondo arabo-musulmano, militare, economico, ideologico e culturale (la donna islamica deve omologarsi a quella occidentale e così via) ne favorisce l’estremismo da cui nasce l’Isis.

Noi occidentali dovremmo riconoscere la realtà del Califfato, o quel che l’è, di al Baghdadi e trattare con lui. Oppure, dopo averlo riconosciuto, dichiarargli formalmente guerra, come si faceva ai vecchi tempi. Eviteremmo perlomeno che ‘vispe Terese’ come Greta Ramelli e Vanessa Marzullo circolino in libertà in quei luoghi, esponendoci a ulteriori ricatti.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 29 agosto 2014