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Il più grave pericolo per la Civiltà non è l'Isis, come hanno dichiarato all'unisono all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Barack Obama e il presidente iraniano Rohani. In fondo nella ferocia e nei coltelli dei guerriglieri dell'Isis c'è ancora qualcosa di umano, di molto umano. Il vero pericolo per la Civiltà e l'umanità è la Scienza. La Scienza tecnologicamente applicata che sembra non conoscere più limiti né opposizioni. «Fra quindici anni avremo un robot intelligente in ogni casa. Un umanoide da 5 mila euro. Una macchina che collaborerà nei lavori domestici, che curerà gli anziani, come una badante. Fra trent'anni saremo pronti per il grande salto: un robot coperto di tessuti biologici, sotto la pelle fibre organiche, come i muscoli, capaci di farlo muovere. Sarà forte e intelligente come noi». Chi parla così non è lo scienziato pazzo partorito dalla fantasia di Mary Shelley in Frankenstein o da quella di Ridley Scott in Blade Runner ma, come ci racconta Ferruccio Sansa in un bel servizio realizzato dal Fatto Quotidiano, il molto commendevole e onorevole Roberto Cingolani, direttore dell'Istituto italiano di Tecnologia di Genova. Del resto il buon Cingolani non è che un aspirante. Ben altro bolle in pentola. Gli scienziati di La Jolla (California) hanno creato il primo organismo vivente con un Dna semisintetico in grado di replicarsi. Un Dna che, per la verità, esiste già, ma che «in quattro miliardi di anni» ci spiega sul Corriere Edoardo Boncinelli «la natura ha scelto (chissà perché, ndr) di non utilizzare. L'uomo può costruire la vita» continua compiaciuto Boncinelli «anche se sono convinto che molti cocciutamente continueranno a rifiutare tale concetto».

Cocciutamente? Qui si tratta di stabilire se siano più cocciute e ottuse le persone che davanti a queste acrobazie tecnologiche provano, istintivamente, un brivido di orrore o gli scienziati che, ormai a ruota libera (perché non c'è chi osi opporsi alla Scienza, vera Dea della Modernità) le propongono.

E' un dilemma antico quanto l'uomo, l'unica creatura a possedere la conoscenza. Ma tutto ciò che riusciamo a conoscere va necessariamente applicato? I Greci ritennero di no. Grazie a Pitagora, Filolao e altri straordinari pensatori possedevano una teoria della meccanica che gli avrebbe permesso, già allora, di costruire macchine molto simili alle nostre. Ma vi rinunciarono, intuendo, capendo, che andare ad alterare equilibri che la Natura aveva elaborato «in quattro miliardi di anni» era pericoloso. L'uomo moderno, ubriaco di sè stesso, ha perso questa antica sapienza. Eduardo Amaldi, non a caso inventore, insieme a Fermi, della Bomba atomica, mi disse una volta: «L'uomo se può fare una cosa, prima o poi la fa». Dimentico dell'insegnamento di Eraclito. Per quante ricerche si facciano la legge autenticamente ultima ci sfugge è sempre perennemente al di là e man mano che cerchiamo di avvicinarla appare a una profondità che si fa sempre più lontana: «Tu non troverai i confini dell'anima, per quanto vada innanzi, tanto profonda è la sua ragione». E invece costoro vanno a ravanare nel Dna, convinti di poter trovare le origini della vita e addirittura di poterla replicare e persino variare a loro piacimento. Gli stolti presuntuosi. «Perdona loro perché non sanno quello che si fanno» ha detto Qualcuno. Ma poiché, in realtà, non sanno quello che ci fanno, non li perdoneremo affatto. E, al momento opportuno, taglieremo loro la gola.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 10 ottobre 2014

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All'Assemblea delle Nazioni Unite il presidente Obama ha dichiarato che quella dell'Isis «non è una guerra di religione ma una guerra contro il Progresso». L'ha seguito il presidente iraniano Rohani parlando di «guerra contro la civiltà». Per una volta due leader mondiali sono riusciti a guardare un po' più in là del proprio naso. Quella dell'Isis è, per dirla con Evola, 'una rivolta contro il mondo moderno', che per il momento ha connotazioni religiose e islamiche ma che in futuro potrebbe assumerne anche altre.

Il movimento è iniziato con l'avvento al potere in Iran, nel 1980, dell'ayatollah Khomeini. Uomo di raffinata cultura e di sottile intelligenza non rifiutava la modernizzazione, ma voleva che, sul piano del costume, la struttura tradizionale del suo Paese rimanesse intatta. Naturalmente il suo successo fu dovuto anche a ragioni economiche. Nell'Iran dello Scià c'era una sottilissima striscia di borghesia ricchissima (il 2% della popolazione), il resto viveva nella miseria. Oggi, grazie alla rivoluzione khomeinista, l'Iran è diventato una potenza economica e tecnologica e anche questo spiega la singolare convergenza fra Rohani e Obama. La via indicata da Khomeini è stata poi seguita, in modo più rozzo, dal Mullah Omar e i suoi Talebani. Omar, ragazzo di campagna, accettava le conquiste della modernizzazione occidentale solo in alcuni settori essenziali (sanità, energia, trasporti), ma sognava, e sogna, il ritorno a un modo di vivere antichissimo, più semplice e più sobrio. Lo disse, senza mezzi termini, il suo luogotenente Wakil Muttawakil: «Noi vogliamo vivere la vita come la viveva il Profeta millequattrocento anni fa. Noi vogliamo ricreare i tempi del Profeta». Poi sono arrivati quelli dell'Isis il cui obbiettivo finale è evidente e dichiarato: distruggere l'Occidente, il suo modello di vita, le sue conquiste (anche se, sul piano mediatico, utilizzano proprio la tecnologia dell'Occidente per combatterlo). Se quella dell'Isis è una rivolta contro il mondo moderno il suo bacino d'utenza potrebbe essere vastissimo. Anche in Occidente ci sono sacche di disagio profonde ed estese, che più che economiche sono esistenziali. Noi tutti, ricchi e poveri, viviamo in una condizione permanente di stress, di angoscia oscillando fra nevrosi e depressione. Siamo bipolari. Come bipolare è la società che ci siamo organizzati. Dal punto di vista etico siamo apparentemente liberi di fare tutto, ma nel contempo lo Stato si introduce nelle pieghe più intime del nostro vivere, castrando anche gli istinti più elementari (in America dare un sacrosanto calcio a un gatto rompicoglioni costa un anno di galera). Gli americani, i canadesi, gli europei che, sia pur formalmente convertiti all'Islam, vanno ad ingrossare le file dell'Isis sono la punta di lancia di questo disagio esistenziale e, domani, potrebbero diventare un esercito.

Infine non so fino a quando le centinaia di migliaia di migranti che vengono a morire sulle nostre coste accetteranno di essere ridotti a cadaveri, galleggianti o meno, e non si rivolteranno. Abbiamo creato un mondo dove ci sono Paesi ricchissimi, al cui interno peraltro esistono sperequazioni, economiche e di status (il matrimonio di mister Clooney), incolmabili, insultanti, inaccettabili proprio nell'epoca in cui, dalla Rivoluzione francese in poi, abbiamo proclamato l'uguaglianza (Stati Uniti, Cina, Russia ne sono l'esempio palmare), un mondo circondato da un mare di miseria che, prima o poi, per una ragione che oserei chiamare fisica, ci sommergerà. E di fronte a questa rivolta globale non ci sono droni e bombe che possono salvarci. Ce le butteremmo sui piedi.

Non credo che l'Isis sia la soluzione. Ma per rispondere a Obama e a tutti gli altri siamo davvero sicuri di rappresentare il Progresso e la Civiltà? Oppure, con l'ottuso e pericoloso ottimismo di Candide, nel tentativo di creare 'il migliore dei mondi possibili', abbiamo finito per partorirne uno dei più disumani?

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 4 ottobre 2014

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Donato Bruno, uno dei possibili 'papabili', insieme a Luciano Violante, all'incarico di giudice della Corte Costituzionale per completarne la composizione, ma la cui candidatura, come quella del collega, con cui viaggiava in tandem, era stata bloccata per settimane perché in Parlamento, dopo varie tornate, nessuno dei due era riuscito a raggiungere il quorum, aveva dichiarato un paio di giorni fa: «Ritengo doveroso rimettere nelle mani del presidente Silvio Berlusconi la mia candidatura». Che colui che avrebbe potuto diventare un giudice del massimo organo giurisdizionale del nostro Stato, cui spettano decisioni delicatissime, quali giudicare «le controversie relative alla legittimità costituzionale sulle leggi e degli atti, aventi la forza di legge, dello Stato e delle Regioni, sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e su quelli fra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni, sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica e i Ministri» (art.134 Cost.), abbia sentito il dovere di 'rimettersi', per la propria nomina, all' 'imprimatur' di un detenuto è una cosa che può avvenire solo in Italia. In qualsiasi altro Paese sarebbe stato considerato un 'joke', uno scherzo di cattivo gusto, un pesce d'aprile. Poi il detenuto Berlusconi, con un sms inviato ai suoi parlamentari, ha deciso di sostituire Bruno con Ignazio Francesco Caramazza. Ma la sostanza del discorso non cambia e il nostro articolo potrebbe fermarsi qui. Ce n'è quanto basta per capire a qual punto di sgangheratezza sono giunte le nostre Istituzioni, quelle Istituzioni nelle quali il Capo dello Stato ci esorta di continuo ad avere rispetto e fiducia. Sarebbe come – l'ex Cavaliere non ce ne voglia per l'accostamento- se uno Parlamento per legiferare in materia di mafia avesse bisogno del benestare del Capo di Cosa Nostra.

Ma l'anomalia Berlusconi fa parte di una sistematica e più grave anomalia: il potere arbitrario e illegittimo assunto nel nostro Paese dai partiti, cioè da quelle che, fino a prova contraria, sono delle associazioni private. Invece hanno debordato dappertutto. Sono i partiti che nominano i parlamentari e non i cittadini che li scelgono (qualche anno fa quando a Milano, la città di Mani Pulite, fu eletto Marcello Dell'Utri, ora in carcere in seguito a una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, Giuliano Ferrara, in uno dei suoi non rari momenti di brutale sincerità, disse: «in quel collegio avremmo potuto far eleggere chiunque, anche un cavallo»- il sogno di Caligola che diventava realtà), nominano i presidenti di Regione, i consiglieri regionali, i sindaci, i consiglieri comunali e, come si è visto, anche alcuni membri dei massimi organi giurisdizionali dello Stato. I partiti hanno messo le mani sulle aziende di Stato e del parastato, sulla Rai... ovunque.

Ma restiamo alle elezioni dei membri cosiddetti 'laici' (cioè non togati) della Consulta e del Consiglio superiore della magistratura che sono state in ballo in queste settimane. Poiché uscivamo dalla dittatura fascista i nostri Padri costituenti vollero dare alla Magistratura la massima autonomia e indipendenza. Però perchè non diventasse un organo totalmente scollegato dal contesto sociale stabilirono che un terzo dei membri della Consulta e del Csm fossero eletti dal Parlamento scegliendogli fra personaggi illustri della società civile, docenti universitari in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di servizio (Csm) o vent'anni se destinati alla Corte Costituzionale. Ma i partiti hanno completamente distorto, a loro favore, questa saggia norma. In realtà non è il Parlamento a scegliere liberamente i cosiddetti membri 'laici', sono le segreterie dei partiti che, attraverso trattative oscure, vi mandano i loro uomini. E come mi disse alcuni anni fa, in una cena privata, alla presenza di testimoni, Gustavo Zagrebelsky, illustre giurista, entrato alla Consulta per nomina presidenziale e in seguito eletto presidente all'unanimità: «Non c'è questione in cui i membri 'laici' della Corte o del Csm decidano secondo 'scienza e coscienza', come ogni magistrato sempre dovrebbe fare, ma seguendo invece le direttive e gli interessi dei rispettivi partiti». Come abbiamo ben visto in queste settimane non c'è stata designazione per la Consulta o per il Csm che non riguardasse uomini di partito (fa eccezione proprio, e solo, Caramazza, un tecnico e di questo, paradossalmente, dobbiamo dar atto al detenuto Berlusconi).

E allora signor Presidente della Repubblica come possiamo noi cittadini avere fiducia in queste Istituzioni e in questo Stato che, occupato e depredato dai partiti in trent'anni di malversazioni e di grossolani errori, oggi ci chiede, in nome di un' 'unità nazionale' richiamata solo quando fa comodo, i sacrifici più duri?

Massimo Fini

Il Gazzettino, 3 ottobre 2014