Le manifestazioni popolari che hanno portato alle dimissioni del primo ministro Abdul Mahdi, filo iraniano come tutti i suoi predecessori del dopo Saddam, e l’attacco dei giorni scorsi delle milizie irachene filoiraniane presenti in Iraq (ce ne sono 63) all’ambasciata americana a Bagdad sembrano appartenere, all’apparenza, ad ambiti diversi. Le prime sono le classiche manifestazioni sociali contro il caro vita, la mancanza di lavoro, la corruzione della classe dirigente, che sono presenti attualmente in molti altri paesi del mondo per quel fenomeno che Matteo Salvini ha chiamato, intelligentemente, “la rivolta del popolo contro le élite”. Queste manifestazioni sono ipoteticamente favorevoli agli Stati Uniti, perché, dopo le dimissioni di Mahdi, potrebbero portare al governo di Bagdad un premier meno legato all’Iran e più sotto il controllo americano. L’attacco all’ambasciata americana appartiene invece allo storico filone khomeinista che vuole una sola cosa: che gli occupanti occidentali, ci siamo anche noi con 1000 uomini, se ne vadano dal Paese. Sono ricomparse le antiche parole d’ordine “morte all’America, morte agli ‘ingilis’, no all’America” e bandiere inneggianti agli Hezbollah storici nemici di Israele e quindi del suo grande protettore americano. Khazali , leader della milizia sciita irachena Assaib Ahl al-Haq, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Gli americani non sono i benvenuti in Iraq. Sono una fonte di male e vogliamo che se ne vadano”. Insomma un’atmosfera che non si respirava dai tempi della fatwa di Khomeini contro Salman Rushdie e che io stesso ho potuto vedere di persona perché in quei giorni mi trovavo a Teheran.
Eppure un filo rosso unisce le proteste sociali contro il governo di Bagdad e il risorgere in Iraq dell’antiamericanismo combattente. Ma per capire, o almeno cercare di capire, questa intricatissima situazione bisogna fare alcuni passi indietro. Durante la guerra, iniziata nel 1980, Iraq-Iran, nel 1985 le truppe iraniane, peggio armate ma meglio motivate rispetto al più tecnologico esercito di Saddam, erano inaspettatamente davanti a Bassora e stavano per prenderla. La presa di Bassora avrebbe comportato la caduta immediata di Saddam Hussein, l’unione dell’Iraq sciita all’Iran, perché si tratta della stessa gente dal punto di vista antropologico, culturale, religioso, e la formazione di uno Stato curdo ai confini della Turchia a quell’epoca alleato privilegiato degli Stati Uniti. A questo punto intervennero gli americani per motivi “umanitari” naturalmente (“non si può permettere alle orde iraniane di entrare a Bassora”). In realtà l’intervento americano era ovviamente in funzione anti Iran, il nemico storico, ma anche anti curdo a protezione della Turchia a quell’epoca loro grande alleato. Così americani, sovietici, via Germania Est, e francesi fornirono a Saddam le famose “armi di distruzione di massa” che il dittatore iracheno usò disinvoltamente contro i curdi (5000 civili curdi “gasati” in un sol colpo nella cittadina di Halabja) e contro i soldati iraniani. Nel 1989 Khomeini dovette bere “l’amaro calice” e accettare la pace. Tutto ritornava come prima.
Nel 2003, in una delle più sciagurate guerre dei Bush, abbandonando ed eliminando Saddam Hussein, ritenuto non più presentabile, gli americani invasero e occuparono l’Iraq dove sono attualmente presenti con 5000 uomini, fra soldati regolari e contractor. Adesso, dopo l’attacco all’ambasciata, Trump si ripromette di portare in Iraq altri 750 uomini a protezione del governo iracheno contro i combattenti filoiraniani, attribuisce all’Iran non solo l’ispirazione dell’attacco all’ambasciata a Bagdad ma anche altri interventi nella regione “contro gli interessi americani”, e minaccia sanguinose ritorsioni, non più solo economiche ma militari. La guida suprema iraniana Ali Khamenei gli ha risposto così: “gli americani dovrebbero ragionare di più. Non si rendono conto che le loro occupazioni, in Iraq come in Afghanistan, li stanno rendendo odiosi al mondo intero”. Ma dovrebbero ragionare di più anche rivedendo la lunga storia della loro guerra infinita all’Iran. Non si sono resi conto che con la guerra del 2003, eliminando Saddam Hussein, sunnita e sostanzialmente laico, hanno consegnato l’Iraq sciita agli iraniani che si sono presi senza dover sparare un solo colpo di fucile quello che si sarebbero conquistati legittimamente nel 1985 prendendo Bassora.
Il prossimo premier iracheno dovrebbe essere Moqtada Al Sadr che ha vinto le ultime elezioni. Chi è Moqtada? Moqtada Al Sadr nel 2004 fu il primo a creare una potente milizia contro gli occupanti americani. Ed è forse il più importante, certamente il più prestigioso, dei personaggi politici iracheni che detestano, come tutti gli iracheni, l’America. E così si arriva al paradosso che gli americani, con l’invio di nuove forze in realtà proteggono il loro principale nemico politico e militare in Iraq.
Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2020
L’anno sta finendo. E’ il momento dei résumé. C’è una grande confusione sotto i cieli. In Libia si contrappongono, per interposta persona, cioè sulla pelle dei libici, la Turchia schierata a favore dell’inconsistente governo di al Serraj, in teoria legittimato dall’ONU, e l’Egitto che opera attraverso il generale tagliagole Haftar che ne è una propaggine. Su questo scacchiere sono presenti anche 800 contractor russi, cioè mercenari, che portano il nome vagamente sinistro di Wagner, sinistro perché, a torto o ragione, il grande musicista tedesco è considerato un precursore del nazismo. Evidentemente i russi, come gli americani, non sono più disposti a rischiare direttamente la propria pelle. Ma dovrebbero studiarsi un po’ di storia. L’Impero romano, che con i suoi formidabili legionari e la sua logistica aveva conquistato tutto il mondo conosciuto, crollò quando i Romani, divenuti molto simili a quelli di oggi, non ne vollero più sapere di combattere, affidando la propria difesa a mercenari germanici, Visigoti, Ostrogoti, Vandali, che per qualche tempo cancellarono Roma dalla faccia della Storia (la popolazione di Roma si ridusse a 37.000 abitanti).
In Siria la Turchia, con l’appoggio russo, stermina i curdi che sarebbero i soli legittimati ad abitare quella regione che non a caso si chiama Kurdistan. Per la Turchia i curdi sono una storica spina nel fianco perché in Turchia vivono 15 milioni di curdi e il timore, anzi il terrore, dell’ex Stato ottomano è che si uniscano alle enclave curde in Siria, in Iraq e in Iran. Quindi Erdogan e i suoi predecessori hanno risolto la questione in modo molto semplice dando ai curdi la patente di terroristi (Ocalan insegna). In quanto agli americani sono lì, a supporto della Turchia e della Siria di Assad, col pretesto di combattere l’Isis. Ma come l’Isis non doveva essere stato spazzato via dalla faccia della terra dopo la presa di Raqqa e Mosul? Invece i guerriglieri del Califfato fondato da Al Baghdadi sono ancora presenti in Medio Oriente e soprattutto altrove. E’ dei giorni scorsi il devastante attacco a Mogadiscio (più di 70 morti e altrettanti feriti) da parte degli Shabaab che al Califfato hanno giurato fedeltà. In Yemen l’Iran e l’Arabia Saudita, appoggiata dagli americani, si combattono mietendo un numero incalcolabile di vittime locali, incalcolabile perché, come in Afghanistan, non è stato mai calcolato.
L’Europa disunita, e al suo interno l’Italia, non è presente in nessuno di questi scacchieri, non fa che predicare impossibili soluzioni diplomatiche, anche per la Libia che è di nostro stretto interesse, per quanto sia del tutto evidente che ciò che conta è solo la forza militare.
Ma questo caos, che fa rimpiangere i tempi della guerra fredda, non è, al di là di tutte le apparenze, la questione principale almeno per i paesi occidentali o occidentalizzati. Il vero dittatore del mondo è il mercato (“il più freddo di tutti i mostri” per parafrasare ancora una volta Nietzsche) o per essere più precisi “i mercati”. Ogni mattina che accendiamo la tv non sentiamo parlare che dei “mercati” e delle loro inderogabili esigenze. Con queste entità metafisiche noi ci dialoghiamo: “i mercati ci chiedono”, “il progetto non è piaciuto ai mercati“, “sembra che la proposta abbia avuto l’approvazione dei mercati”. Ma mentre un dittatore o un autocrate può essere sempre abbattuto con il nostro fucilino a tappo, contro i “mercati” non c’è nulla da fare. Sono un’entità metafisica che non si sa dove stia, un nuovo Dio che vive in un suo empireo irraggiungibile, tirargli contro è come sparare al vento quel “vento che tutto sa” come canta Alessandro Mannarino. Insomma siamo ancora e sempre a quella concretissima astrazione che si chiama denaro, che determina le vite di noi tutti, di cui abbiamo parlato riprendendo Lutero in Denaro. “Sterco del demonio” che viene da almeno due secoli e mezzo fa e che ha dato il via, insieme ad altri fattori, alla civiltà moderna, quella che stiamo vivendo. Parlarne qui ci porterebbe troppo lontano. Leggete.
Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2019
Nell’omelia di domenica papa Francesco ha ricordato che il Natale “è la festa della famiglia”. Peccato che la famiglia non esista più. Dagli anni cinquanta in Occidente e nei paesi che hanno adottato il suo modello di sviluppo, siamo sotto il cosiddetto “livello di sostituzione”, quel 2,1 di fertilità per donna che consente che la popolazione rimanga stabile. In Portogallo il tasso di fertilità per donna è dell’1,2, in Germania 1,5, in Canada 1,6, a Singapore 1,2, a Hong Kong 1,3, in Giappone 1,5, in Corea del Sud 0,89, a Taiwan 1,2 e in Italia, che occupa il terzultimo posto in questa classifica sinistra, è dell’1,3. Le ragioni di questa infertilità sono così numerose che non è possibile metterle tutte a fuoco in questa sede. Ne citiamo alcune: economiche, psicologiche, sociali. Più è alto il livello di istruzione più è bassa la fertilità. Le donne, avendo raggiunto, in linea di massima, la sacrosanta parità dei diritti, riluttano a far figli abbandonando la funzione antropologica di madri. Convinte dalla scienza medica che tutto è possibile, rimandano l’età del concepimento verso i quarant’anni. Ma avere il primo figlio a quell’età non è facile, ancora più difficile è seguirlo a meno che non si sia così ricchi da avere un esercito di ‘tate’.
Più in generale in Occidente non siamo più capaci di soffrire e quindi di affrontare quelli che i filosofi chiamano “i nuclei tragici dell’esistenza”: il dolore, la vecchiaia, la morte.
Premesso che in una società individualista qual è la nostra ognuno è libero di fare della propria vita ciò che più gli aggrada tutto ciò che abbiamo fin qui cercato di descrivere ha delle pesanti conseguenze sociali ed economiche. Sociali. Nei paesi che abbiamo citato c’è, se non la maggioranza, un numero molto consistente di vecchi. Cesare Musatti, lo psicologo, a più di novant’anni e quindi al di sopra di ogni sospetto, diceva: “vivere in un mondo di vecchi mi sembrerebbe spaventoso”. Economiche. Non è lontano il tempo in cui il numero dei giovani non sarà più in grado di sostenere le pensioni dei vecchi e questo è un problema che, come noto, assilla anche l’Italia. La vita si è allungata troppo. E’ uno degli effetti “paradossi “ della Ragione o, se si vuole, della Scienza, come quelle medicine che intendendo curare una malattia la aggravano. A titolo di consolazione, sui media, si fa gran parlare di vecchiaie estreme in buona salute come quella di Gillo Dorfles in piena lucidità fino ai suoi centosette anni. Ma questi sono casi eccezionali. Nella norma i vecchi non sono autosufficienti e ricadono sulla testa dei figli stretti nella morsa fra l’affetto per i genitori e un accudimento che gli rende la vita impossibile o quasi. Scriveva Max Weber ne Il lavoro intellettuale come professione che è del 1919: “Il presupposto generale della medicina moderna è – in parole povere – che sia considerato positivo, unicamente come tale, il compito della conservazione della vita e della riduzione al minimo del dolore. E ciò è problematico… La scienza medica non si pone la domanda se e quando la vita valga la pena di essere vissuta . Tutte le scienze naturali danno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Ma se vogliamo e dobbiamo dominarla tecnicamente , e se ciò, in definitiva, abbia veramente un significato, esse lo lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro fini.”
A petto della situazione dei paesi occidentali o occidentalizzati quella dei paesi cosiddetti “in via di sviluppo” è la seguente: Nigeria, tasso di fertilità 5,4 per donna, Mali 5,9, Ciad 5,8, Burkina Faso 5,2, Niger 7,2. In Medio Oriente il tasso di fertilità è mediamente del 2,5.
La popolazione di quella che era, prima che la distruggessimo, l’Africa Nera è di 720 milioni di abitanti, escludendo il Sudafrica che ha una storia a sé. Basta che un numero non dico rilevante ma consistente di queste persone che abbiamo ridotto alla fame si sposti verso l’Europa e non basteranno i cannoni di Salvini, o di tutti i Salvini, per respingerla. Nonostante tutta la nostra sofisticata tecnologia saremo sommersi. Per una questione che più che con la fisica ha a che fare con la matematica.
Quindi il mio augurio per gli anni a venire è che il Natale, già ridotto da tempo a un fenomeno di consumo nevrotico privo di alcuna spiritualità, torni perlomeno a essere veramente “una festa della famiglia”. Numerosa.
Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2019