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Mi è venuta una ‘pazza idea’. Mi è venuta osservando in questi anni o mesi Gentiloni, Letta, Padoan, Calenda, Maroni, Tremonti, Brunetta, Meloni, Di Maio, Di Battista. Persone, per capacità, esperienza o perché portatrici di idee inedite, politicamente decenti, naturalmente per il campionato italiano perché se, come nel calcio, ci fosse la possibilità di rivolgersi all’estero, acquisteremmo sul mercato Angela Merkel, che ci costerebbe sicuramente meno della cifra sborsata dal Paris Saint Germain al Barca per Neymar, le affideremmo il governo per dieci anni e poi, finito il contratto, la rimanderemmo a casa sua.

L’idea è la seguente. I cittadini eleggono direttamente il Presidente della Repubblica. Come negli States. Ma a differenza degli Stati Uniti costui non farebbe il premier, si limiterebbe a nominarlo. Come ora in Italia, ma con la differenza che il Primo ministro avrebbe totale libertà di scegliersi i suoi ministri, dal mondo politico e dalla società civile, senza stare a badare alla loro provenienza ideologica ma solo alla loro capacità, competenza, creatività. Sarebbe un ‘governo dei migliori’ o, se si preferisce, dei ‘meno peggio’. Costoro potrebbero ‘fare squadra’ senza dover essere costantemente impegnati in ‘baruffe chiozzotte’ che, attualmente, servono solo per smarcarsi, per trovare una collocazione e una visibilità. Il governo dei ‘meno peggio’ sarebbe, nel suo operare con una buona coesione, facilitato dal fatto che le categorie ‘destra’/’sinistra’, vecchie di due secoli e mezzo, non hanno più senso e sono praticamente indistinguibili. Come si vede in questa abominevole, ma anche chiarificatrice, campagna elettorale dove tutti i partiti propongono le stesse cose anche se fingono che siano diverse. Perché tutti sanno quali sono le cose prioritarie da fare nel nostro Paese.

Verrebbe eliminato il Parlamento. Un’Assemblea, oltre che estremamente costosa, inutile perché, come sappiamo tutti benissimo, deputati e senatori sono nominati dai segretari di partito o dai loro più stretti sgherri e a loro obbediscono oppure passano disinvoltamente da una formazione all’altra non per convinzioni ideali ma per pura convenienza personale o addirittura per denaro. E’ il ‘mercato delle vacche’ cui assistiamo da qualche decennio e che negli ultimi tempi ha assunto ritmi parossistici (L’assenza del “vincolo di mandato”, stabilita dalla nostra Costituzione, art.67, fu decisa in un epoca completamente diversa, di grandi passioni ideali, per cui nessuno si sarebbe sognato di passare da un giorno all’altro, poniamo, dalla Dc al Pci, casomai si staccavano interi gruppi in dissenso dal proprio partito formandone uno nuovo, come avvenne per il Manifesto dopo le vicende di Praga).

Questa nuova Costituzione eliminerebbe via via anche i partiti, il vero cancro della democrazia liberale, il killer della meritocrazia. Perché nessuno avrebbe più interesse a infeudarsi in questi apparati mafiosi dato che i posti di rilievo verrebbero conferiti, senza interferenze di partito, direttamente e liberamente dal Premier e dal suo Governo non dovendo ricorrere ad alcun manuale Cencelli.

Per le Regioni e i Comuni verrebbe mantenuto l’attuale meccanismo elettorale, ma anche qui il Presidente della Regione o il sindaco, liberati dai diktat dei partiti, potrebbero scegliere i propri assessori senza alcuna pregiudiziale ideologica.

Resterebbero naturalmente i Referendum, sia propositivi che abrogativi, con forza di legge.

E se il Governo non funziona? Il Presidente della Repubblica cambia il Primo ministro che a sua volta darebbe vita liberamente a una nuova formazione, eliminando quelli che si sono dimostrati incapaci e mantenendo, della precedente, quelli che si sono rivelati validi.

E se non funziona il Presidente della Repubblica, se le sue scelte non convincono? Se ne elegge un altro.

Insomma, per disperazione, mi sono creato la mia Costituzione. ‘Pazza idea’? Chissà…

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2018

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Parlando alla kermesse del Movimento animalista, Silvio Berlusconi ha definito “criminale” la sentenza di condanna che gli impedisce di fare il premier. “Criminale” non è la sentenza, ma questa affermazione. Nessun cittadino di uno Stato può esprimersi in questi termini nei confronti di una sentenza definitiva della Magistratura di questo stesso Stato. Perché vuol dire che non crede alla legittimità della Magistratura, delle leggi, votate o confermate dal Parlamento, sulle quali è chiamata a prendere le sue decisioni, delle Istituzioni e dello stesso Stato che le ricomprende. Un soggetto del genere è, concettualmente, un terrorista e dovrebbe, come coerentemente fecero al loro tempo i brigatisti, darsi alla clandestinità. Invece Silvio Berlusconi pretende di fare il Presidente del Consiglio di uno Stato a cui non crede, che non rispetta, che considera “criminale”.

Sempre in quell’occasione Berlusconi ha affermato che i Cinque Stelle “non hanno valori né princìpi”. Per la verità almeno un valore, espresso in un modo anche troppo ossessivo, nelle parole e nei fatti, i Cinque Stelle ce l’hanno, ed è quello della “legalità”. Capiamo perfettamente perché, in questo senso, un tale valore sia particolarmente ostico per Berlusconi. Vorremmo anche sapere a quali valori si ispira un uomo che è stato dichiarato “delinquente naturale” da un Tribunale della Repubblica italiana, che ha usufruito di nove prescrizioni per i più diversi reati (e in almeno tre casi la Cassazione, quest’organo “criminale”, ha accertato che Berlusconi quei reati li aveva effettivamente commessi, anche se, per il tempo intercorso, non erano più perseguibili), che ha tre processi in corso. Io richiamo spesso, probabilmente con una certa sorpresa di qualche lettore, la figura di Renato Vallanzasca. Perché Vallanzasca non ha mai contestato il diritto dello Stato a punirlo per i suoi crimini, a differenza di Berlusconi e dei terroristi. Vallanzasca ha un’etica, sia pur malavitosa. Berlusconi è solo un malavitoso.

Vorremmo anche sapere che valori umani ha un personaggio che, approfittando delle condizioni di inferiorità della sua vittima, ha truffato una minorenne orfana, in circostanze drammatiche, di entrambi i genitori, come ha accertato la Corte di Appello di Roma che ha assolto Giovanni Ruggeri (Gli affari del Presidente-Avvoltoi sulla preda, Kaos Edizioni), L’Espresso e me che quella truffa avevamo pubblicamente denunciato (sentenza del 2.5.08). E che, in un’occasione più recente, mostrando un altrettale cinismo, ha gettato una minorenne nelle braccia di una puttana.

Berlusconi ha anche definito i Cinque Stelle “una setta”. E’ comico che un partito che prende più di otto milioni di voti sia definito “una setta” da un altro che, se va bene, ne prende la metà.

Purtroppo non c’è niente da ridere. A chi agisce con metodi criminali bisognerebbe rispondere con modi altrettanto e, se possibile, più criminali (“A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini, come richiamai, ormai tanti anni fa, al Palavobis). Svegliatevi ragazzi italiani, perché se costui riprende, in un modo o nell’altro, il Potere, vi troverete a vivere invece che in uno Stato sicuramente con gravi difetti ma ancora legale, in uno Stato criminale e, per sopravviverci, a farvi, a vostra volta, criminali.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 gennaio 2018

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Lettera al Fatto Quotidiano e risposta

Martedì 16 Gennaio, attratta dallo stimolante titolo (“La pacca e la metafisica del c.”), ho iniziato a leggere il pezzo di Massimo Fini, sempre più coinvolta dalla erudita disamina storico-psicologico-filosofica. Poi mi sono guardata allo specchio e mi sono chiesta se avevo sufficiente bellezza, raffinatezza, eleganza, fama che mi dessero quell’autorevolezza che permette alla signora Deneuve di temere la fine di quello che lei – e immagino M. Fini – definiscono “corteggiamento maschile”. No, assolutamente no, devo ammetterlo: sono una anonima donna di una certa età, che ha dalla sua solo un apparato genitale che le consente, forse, di esprimere, conscia della sua pochezza culturale, qualche pensiero.

Anche se la disamina di M. Fini sul culo è - all’apparenza- democratica, interclassista e coinvolge l’umanità maschile e femminile tutta intera, si rivela, andando avanti nella lettura, dedicata esclusivamente al “luciferino ed orgoglioso” culo femminile, visto il tenero confronto con il seno ( che “si accarezza, si vezzeggia e si mordicchia affettuosamente”). Cosicché mi par evidente che è quello femminile il culo “masochista e remissivo” da “abbattere” e “degradare”.

Consiglio però, M. Fini di fare molta attenzione quando pone la sua mano su uno di quei tanti culi che gli si presentano con quella loro aria di “falsa innocenza” o di “impertinenza” quando non arroganti: si accerti prima se dall’altra parte ci sono due TETTE o due GONADI, perché l’esito della pacca potrebbe non essere quello sperato.

In attesa di un suo prossimo saggio sulla “culità nel pensiero di Platone” o, in alternativa un approfondimento su “il culo in Aristotele: dalla Potenza all’Atto”.

Vittoria Gallo

 

Gentile signora, la ringrazio per l’attenzione con cui ha letto il mio articolo e anche per l’ironia così diversa dall’aggressività di una lettera al Fatto di Claudia Mori. E’ vero: spesso la cultura serve per confondere le acque. Premesso che il mio articolo sul culo è anche un divertissement, è ovvio che in un pezzo breve non si può esprimere interamente il proprio pensiero. Approfitto della sua lettera per cercare di farlo. Io penso che la donna, per meglio dire la femmina, sia dal punto di vista antropologico la vera protagonista della vicenda umana. Perché è colei che dà la vita, mentre il maschio è solo un inseminatore, un fuco transeunte. E infatti nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone (e ora non mi accusi di eccesso di cultura), l’Essere primigenio è androgino. Con la caduta si scinde in due: la Donna, che viene definita “la Vita” o “la Vivente”, e l’uomo, che è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”. Ciò che in definitiva, e nonostante tutto, spinge l’uomo verso la donna è la nostalgia della vita. Nel linguaggio degli innamorati lui le dice “tu sei la mia vita”, “non posso vivere senza di te”. In una bella canzone Tony Del Monaco canta: “Io che avevo ormai perduto tutte quante le speranze/non credevo nei miei occhi quando sei venuta tu/Vita mia, vita mia, l’unica ragione tu, della mia vita”. Lei invece lo chiama amore, tesoro, gioia e con ogni altra sorta di vezzeggiativi, ma quasi mai gli dice “Tu sei la mia vita”. Perché la vita è lei.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2018