0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Gli interventi del Governo degli Stati Uniti negli affari interni della politica italiana si fanno sempre più frequenti e pesanti. Ma ormai ci siamo così assuefatti e mitridatizzati che non ci facciamo più caso. Quando più di un mese fa l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, John Phillips, che certamente non parlava a titolo personale ma in nome del suo Presidente, ‘consigliò’ agli italiani di votare Sì al referendum costituzionale, qualche sia pur flebile voce si levò contro questa inaudita ingerenza. Adesso è lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a dire senza mezzi termini che gli italiani devono votare Sì e tenersi comunque l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi, anche se in quel referendum dovesse prevalere il No. Insomma, come si dice adesso che non usiamo più nemmeno la nostra lingua, gli ha dato il suo endorsement. Ma da noi tutto questo è passato sotto silenzio e non c’è stata nessuna reazione non dico delle nostre Istituzioni ma nemmeno di qualche autorevole commentatore. Perfino Duterte, presidente delle Filippine che fino a ieri erano alleate degli americani, gli ha mandati al diavolo quando hanno cercato di inserirsi nella vita interna di quel Paese.

Da un altro versante bisogna però riconoscere a Matteo Renzi e al suo pragmatismo di essere riuscito nel vertice del Consiglio europeo a far passare la linea di non imporre nuove sanzioni economiche alla Russia di Putin per la questione siriana, dopo quelle già in atto per l’annessione dell’Ucraina e delle regioni russofone, trascinando sulla sua posizione anche i più importanti leader europei da Angela Merkel a Francois Hollande a Theresa May. E’ quasi inutile aggiungere che dietro la linea dura contro la Russia c’erano e ci sono gli americani. Per una volta l’Europa ha dato un segno di indipendenza.

Per l’Italia le sanzioni alla Russia comportano già un danno economico rilevante in parecchi settori delle nostre esportazioni che si concretizzano in una perdita secca, nel giro di due anni, del 39,1 per cento.

Ma è l’intera politica europea che dovrebbe trovare una maggior compattezza e i Paesi che ne fanno parte smettere di dilaniarsi fra di loro. Ho partecipato alla bella trasmissione di Andrea Pancani Coffee Break e tutti i politici italiani presenti hanno puntato il dito contro la Germania per la politica di austerity che ci impone. Per la verità non si vede perché i cittadini tedeschi dovrebbero pagare le trentennali dilapidazioni degli italiani e delle loro classi dirigenti. Ma il problema non è questo. E’ da quel dì che l’Europa avrebbe dovuto allontanarsi dagli Stati Uniti, con cautela perché quelli hanno basi militari dappertutto, in particolare in Germania e in Italia, a favore della Russia. Certo bisogna ingoiare molti rospi e come dicevano i latini Incidit in Scyllam qui vult vitare Charybdim, e cioè c’è il rischio che per evitare un male si incappi in un male anche peggiore. La Russia ha la grave responsabilità del genocidio ceceno (250.000 vittime su un milione di abitanti) Putin è un autocrate senza scrupoli e inoltre, come si discuteva nel Consiglio europeo, per proteggere il suo alleato Assad sta facendo scempio di civili ad Aleppo ed altrove. Peraltro invitato a nozze dal precedente intervento americano che ha creato, fra l’altro, quella furibonda mischia attorno a Mosul cui partecipano peshmerga curdi, pasdaran iraniani, il fasullo esercito iracheno, truppe turche, reparti speciali francesi, inglesi, americani oltre agli immancabili bombardieri e droni lanciati dagli Usa dalle loro basi di terra e di mare. Di tutta questa brava gente solo i curdi hanno legittimità perché Mosul fa parte del Kurdistan, una regione da sempre abitata da curdi come dice il nome stesso, un territorio diviso arbitrariamente fra Iraq, Turchia, Iran, Siria. E saranno proprio i curdi dopo aver speso il loro sangue, anche in Libia per aiutare gli occidentali che non hanno più il coraggio di combattere sul terreno, contro l’Isis, a uscire beffati da questa storia perché la Turchia, che ne ha 14 milioni in casa, non permetterà mai la costituzione di uno Stato curdo indipendente ai suoi confini.

Detto di Putin tutto il male che andava detto è però indubbio che i nostri interessi, di noi europei, convergono molto di più verso la Russia che verso gli Stati Uniti. Per vicinanza geografica, per questioni energetiche ed economiche ed anche culturali (Dostoevskij, Tolstoj, Puskin, Cechov, Gogol fanno parte della cultura europea molto più della filiera, non certo disprezzabile ma ad altezze di gran lunga inferiori, degli scrittori americani). L’ideale sarebbe trovare una equidistanza fra le due superpotenze. E in questo senso, pur sottobanco, lavora Angela Merkel di cui si capisce da vari segni che, dovendo scegliere fra due mali, preferisce quello russo a quello americano.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2016

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Che i musulmani integralisti siano dei sessuofobi, con la loro ossessione per le parti scoperte, anche le più innocenti, del corpo femminile, è fuori discussione. Ma gli americani non sono da meno, la loro sessuofobia è speculare a quella musulmana anche se agita in modo diverso. Tutta, o quasi, la campagna democratica contro Donald Trump è ruotata attorno ad argomenti sessuali. Nel 2005, cioè undici anni fa, in un colloquio su un autobus, registrato, con un personaggio televisivo, Billy Bush, il tycoon si lasciò andare a dichiarazioni sessiste. E quando, per difendersi da questa gravissima accusa, disse che erano “chiacchiere da spogliatoio” si sono indignati i calciatori in difesa dell’onore femminista degli spogliatoi (chiunque sia stato in uno spogliatoio maschile sa che cosa si dice delle donne). Tutta, o quasi, la campagna repubblicana contro Hillary Clinton si è incentrata sulle amanti, vere o presunte, del marito che già andò sotto impeachment perché aveva fornicato con una stagista. Di programmi sia di politica interna che di politica estera, determinanti questi ultimi per il futuro non solo degli Stati Uniti ma dell’intero Occidente (Isis, rapporti col mondo musulmano e con le culture ‘altre’) si è parlato pochissimo e comunque anche quel poco è stato sommerso dalle ‘chiacchiere da spogliatoio’. Trump è stato anche accusato di molestie sessuali (potevano mancare?) nei confronti di nove donne scovate al momento opportuno. Si è difeso, suscitando un ulteriore scandalo, dicendo che erano troppo brutte perché gli venisse voglia di insidiarle. E’ da un mese che la campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti va avanti su questo tono.

Gli americani sembrano conciati peggio di noi italiani. Premesso che, come dice sarcasticamente Max Weber, “i programmi di governo hanno un significato quasi puramente fraseologico” (Il lavoro intellettuale come professione) da noi prima delle elezioni di programmi si parla e non delle attitudini sessuali di questo o quel candidato (sotto elezioni nemmeno il comportamento decisamente machista di Silvio Berlusconi è stato usato come argomento contro di lui).

Ma a parte tutto questo fa venire i brividi l’antropologia non solo dei candidati ma delle folle urlanti e gridolinanti che si assiepano ai loro comizi fra cui ci sono anche molti personaggi che faranno poi parte del Congresso. Sembra di essere tornati, ammesso che se ne sia mai usciti, alle impressioni che Alexis de Tocqueville, uno dei padri della liberal democrazia, trasse dal suo primo viaggio negli Stati Uniti nel 1831: “Al mio arrivo negli Stati Uniti fui molto sorpreso fino a qual punto il merito…fosse scarso nei governanti… Quando voi entrate nell’aula dei rappresentanti a Washington restate colpiti dall’aspetto volgare di questa grande assemblea. Invano voi cercate un uomo celebre, quasi tutti i suoi membri sono oscuri personaggi il cui nome non vi dice nulla” (La democrazia in America).

Il presidente degli Stati Uniti (non solo quest’ultimo, tutti) finisce regolarmente e ritualmente ogni suo discorso pubblico con la frase “Dio protegga l’America”. E perché non il Burkina Faso? Comunque volendo riprendere questa formula, vagamente blasfema, noi potremmo dire: “Dio protegga l’Europa”. Dagli americani.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2016

 

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Nel vecchio Codice di Procedura penale di Alfredo Rocco, che sarà stato anche un fascista ma era un giurista di prim’ordine, riaggiornato nel dopoguerra per adeguarlo alle esigenze di una democrazia, esisteva il segreto istruttorio (e su questo Codice ho studiato laureandomi proprio sul tema che è in discussione in questi giorni con una tesi su “Libertà di stampa e segreto istruttorio”).

Il segreto istruttorio, finché è esistito, prima della sciagurata riforma di Gian Domenico Pisapia del 1988, divenuta legge, aveva due funzioni. 1. Tutelare le indagini da possibili inquinamenti. 2. Tutelare l’onorabilità delle persone coinvolte a qualsiasi titolo in un procedimento penale. Nella fase preliminare e ovviamente incerta delle indagini, quelle che vengono condotte dai Pubblici ministeri, possono infatti incappare soggetti che non verranno poi rinviati a giudizio o addirittura persone che nell’inchiesta figurano solo marginalmente (esemplare è rimasta, almeno nella mia memoria, nella Tangentopoli 2, il cosiddetto ‘scandalo delle Ferrovie’, la storia della figlia di Necci che, a quanto pare, si era offerta a Chicchi Pacini Battaglia, un fatto che con le indagini non c’entrava nulla). Al vaglio del Giudice delle indagini preliminari (Gip o Gup) i Pm portano solo i materiali che ritengono utili al processo qualora il Gip o Gup decida di avviarlo. Il Gip o Gup può archiviare la pratica ritenendo gli indizi raccolti dai Pubblici ministeri non sufficienti o rinviare a giudizio. Solo in questo secondo caso il processo diventa pubblico. Perché in un regime democratico l’istruttoria è segreta, o può esserlo, ma il dibattimento è pubblico. Nei regimi totalitari è segreto anche il dibattimento.

Se questo regime fosse stato in vigore Marino e Cota non sarebbero incorsi nella stritolante gogna mediatica che ne ha stroncato la carriera perché delle indagini non si sarebbe saputo nulla a cominciare dagli interessati (e questo vale, o valeva, per qualsiasi cittadino italiano, non necessariamente per un uomo politico). La debolezza del sistema-Rocco era che le pene pecuniarie erano irrisorie, per cui i giornali, e soprattutto i grandi giornali che se lo potevano permettere, preferivano pagare la multa e pubblicare. Ma il principio era sacrosanto.

Con la riforma Pisapia, un ibrido fra sistema inquisitorio e sistema accusatorio, il segreto è stato di fatto abolito tranne che per casi particolari. I Pm devono depositare gli atti delle loro indagini, che sono messi a disposizione degli avvocati difensori, ma anche di chiunque abbia interesse o solo voglia di consultarli, a cominciare dai giornalisti. E quindi anche i soggetti che non verranno poi rinviati a giudizio vengono massacrati dalla stampa, in misura maggiore o minore a seconda delle posizioni che occupano nelle istituzioni o della parte politica cui sono legati.

I giornalisti, che sono una casta come tante altre, non migliore di tante altre, si sono sempre opposti al ripristino del segreto istruttorio. Questo rende molto più facile il loro lavoro, ma oltre a colpire in modo indelebile cittadini che risulteranno poi estranei ai fatti, toglie loro la voglia di fare inchieste per proprio conto.

I giornali della destra, memori dell’esperienza di Silvio Berlusconi, si sono scatenati contro la Magistratura (emblematico è un titolo de Il Giornale del 9.10: “La malagiustizia show ci costa 15 miliardi. Più di una manovra”). Ma chi ragiona in questo modo non tiene conto che le funzioni del Pm e quella del Giudice sono profondamente diverse. Il Pm indaga in una area di necessaria incertezza, il Giudice vaglia gli elementi da lui raccolti secondo criteri di imparzialità e di ‘terzietà’ fra Pubblica accusa e difesa. Non è responsabilità dei Pm se sono obbligati a depositare per legge atti dell’Istruttoria che, come dicevo, sono necessariamente incerti. Il diniego del Giudice di rinviare a giudizio i soggetti indagati dalla Pubblica accusa fa parte del nostro sistema di garanzie e non vuol dire affatto che i Pubblici ministeri abbiano agito in malafede, “con colpa grave o dolo” (in questo caso devono essere sanzionati). Pm e Gip si trovano in un letto di Procuste: se il Gip accetta la tesi del Pm si dice che si è appiattito sulle sue posizioni, se le rigetta si dice che il Pm è un mascalzone.

Il ripristino del segreto istruttorio, oltre a tutelare l’onorabilità dei soggetti coinvolti e non ancora rinviati a giudizio, toglierebbe ai Pubblici ministeri quel desiderio di farsi pubblicità di cui spesso vengono accusati.

Il sistema è quindi concettualmente semplice: segreto fino alla fase del rinvio a giudizio, dibattimento pubblico se c’è stato un rinvio, giudizio di primo grado, Appello, Cassazione. Ma sono i giornalisti i primi a opporsi. E hanno buon gioco perché da noi le istruttorie possono durare anni e quindi il segreto potrebbe essere una mordacchia inaccettabile alla libertà di stampa. In Gran Bretagna se c’è un imputato detenuto le istruttorie durano, mediamente, dai 28 ai 32 giorni a seconda della composizione del Giurì cioè della gravità del reato. Quindi il detenuto (se c’è un detenuto) si fa un mese di galera che è un’esperienza sicuramente sgradevole, ma se risulta innocente vede ripristinata la propria onorabilità in tempi ragionevoli. Londra è solo a un’ora e mezza di volo ma siamo in un altro mondo e in un’altra cultura, giuridica e mediatica.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2016