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Nei giorni di Natale Matteo Renzi ha inaugurato la variante di valico dell’Appenino Tosco-Emiliano. Con una giusta euforia perché era un’opera in gestazione da decenni e che solo ora è arrivata a compimento. In quelli stessi giorni (e ancora oggi) non solo le grandi città ma anche, sia pur in diversa misura, quasi l’intero Paese era sotto una cappa di smog. I due fenomeni sono in correlazione e in contraddizione, sia pur indirette. Non si tratta qui di far propria la critica degli ambientalisti vegani che contestano che la variante di valico ha comportato lo sbancamento di tonnellate di terra, disboscamenti, l’alterazione del paesaggio. I paesaggi così come li abbiamo conosciuti finora, in Italia e nel mondo, siamo destinati a non vederli più, se non attraverso ricostruzioni virtuali rese possibili dalla tecnologia, così come in Cina viene riprodotto un Colosseo che nella realtà non esiste più da secoli e a Las Vegas fra rovine romane artefatte ogni giorno Bruto pugnala Cesare. Né il disboscamento è la causa principale delle famigerate polveri sottili che non sono che un aspetto, parziale, dell’inquinamento globale che sta sconvolgendo il clima in tutto il mondo sviluppato o in via di sviluppo e anche in quello che allo sviluppo non partecipa e nemmeno ne vorrebbe sapere ma ne rimane coinvolto perché l’inquinamento prodotto dai Paesi industrializzati non riconosce, come la Bomba Atomica, i confini.

E allora vediamo come si lega la variante di valico alle polveri sottili. Perché abbiamo costruito questa variante? Perché vorremmo che fosse terminata al più presto la Napoli-Reggio Calabria, anch’essa in attesa da anni? Per rendere più scorrevoli e veloci i collegamenti fra Nord, Centro e Sud Italia. E perché devono essere più veloci? Per poter produrre meglio e di più. Cioè per poter crescere di più. Ma non ci può essere crescita senza inquinamento. L’una include l’altro. Se a Pechino non si può più nemmeno respirare è perché la Cina sta crescendo a ritmi forsennati, da quando, come l’India, è entrata nella logica del modello di sviluppo occidentale. Ciò che dobbiamo fare, in Italia e nel mondo sviluppato o in via di sviluppo, non è mettere ridicoli divieti alla circolazione delle automobili, pannicelli caldi che come dimostra l’esperienza servono a poco o nulla (la notte di Natale a Milano, dove non circolava un’automobile, i livelli di Co2 erano comunque superiori ai già laschi limiti) sperando con apposite danze rituali che arrivi la pioggia in modo che l’inquinamento invece che dall’alto ci arrivi, attraverso la corruzione delle falde acquifere, dal basso infilandosi su per il buco del culo. Quello che dobbiamo fare è ridurre la produzione, che è esattamente ciò che l’attuale modello di sviluppo non ci consente.

Nella notte di Natale Papa Bergoglio sotto la forma dell’ammonimento morale ha fatto il più duro attacco, a quanto io ricordi, almeno a livello di una autorità così importante, al modello di sviluppo industriale: “In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale”. Se seguissimo –parlo naturalmente della parte ricca del mondo- le indicazioni del Papa e cioè non fossimo ebbri di consumo e di piaceri e tornassimo alla sobrietà e all’essenziale crollerebbero, appunto, i consumi, oggi, come sempre, tanto invocati e la produzione. E con essi l’economia dominante. Ma in quel riferimento ad un ritorno all’ ‘essenziale’ e a una vita più semplice c’è anche il succo morale del discorso di Bergoglio. Perché è nell’essenziale che si ritrova quella gerarchia di valori, preconomici, prepolitici, preideologici e, oserei dire, anche prereligiosi che oggi abbiamo perduto, non solo in Italia naturalmente, anche se in Italia in modo più evidente e sfacciato, ma nell’intero mondo così detto sviluppato.

Va da sé che il monito del Papa in quella notte che dovrebbe essere spirituale ma tale non è più da tempo, non verrà ascoltato da nessuno perché nessuno ha orecchie per intendere né, tantomeno, voglia di disturbare il Manovratore.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2015

 

 

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Non conosco donna, fra i trentacinque e i cinquantacinque anni, che non sia attratta dall’esoterismo, da Osho, da Milarepa o, le più colte, da Gurdjieff. E’ una cosa che ha poco senso perché si tratta di esperienze interiori che possono essere vissute solo là dove quelle religioni o filosofie orientali sono nate e si sono sviluppate e non possono essere esportate e sostituite da letture (“Il Tao detto non è il vero Tao”) o da guru e Illuminati più o meno improvvisati e spesso non innocenti trasferitisi in Occidente. Per la verità questo volgersi all’Oriente, religioso o filosofico, coinvolge anche gli uomini (anche se non ne ho visto mai uno, almeno di mia conoscenza, salmodiare Nam Miyoho Renge Kyo) e fa parte di un fenomeno più generale. Il fatto è che la Chiesa non è riuscita a intercettare i bisogni spirituali che, per contraccolpo, si creano in una società materialistica come la nostra. La progressiva desacralizzazione dell’Occidente ha origini lontane e complesse, nella comparsa e nel graduale prevalere della Ragione illuminista. Ma per stare a un passato recente si può fare l’esempio di Papa Wojtyla. Più Wojtyla si affermava come Superstar mondiale, grazie alla sua esposizione mediatica, più, in contemporanea e in correlazione, nel quasi quarto di secolo del suo pontificato crollavano le vocazioni, sacerdotali e monacali, e in Occidente si illanguidiva fin quasi a scomparire il senso del sacro. E temo che alla stessa fine sia destinato un altro Papa Superstar, Bergoglio, troppo inserito, al di là delle sue parole, ma non della sua volontà, nel mondo. Del mondo, in Europa e in Occidente, ne abbiamo fin sopra i capelli. Abbiamo bisogno di qualcos’altro. E lo andiamo a cercare altrove. Solo l’Isis può credere che sia rimasto qualcosa di cristiano in Occidente.

Torniamo alle donne. Il loro esoterismo non è solo il segnale del tentativo di colmare un vuoto spirituale, ma marca anche un’altra assenza, più concreta e terrena: quella del maschio. Non per una scopata (quella non la si nega a nessuna) ma per un rapporto serio e duraturo. I maschi, dicono, sono scomparsi. E hanno ragione, anche se qualche attenuante ce l’abbiamo. Non ci sono più le condizioni per dimostrare la nostra, vera o presunta, virilità. Non andiamo più in guerra, non siamo più legati a ideologie che comportino rischi, pericoli, qualche prova di coraggio, fisico e morale, la tecnologia ha reso inutile la forza fisica, tutt’al più ci serve, sui treni, per aiutarle a mettere le loro pesantissime valigie (ma che cosa mai ci mettono dentro?) sulle reticelle. A questo ci siamo ridotti. E così invece del Principe Azzurro (nonostante tutto un po’ romantiche lo sono restate) si trovano di fronte quello che l’uomo in realtà è sempre stato: un bambino (“Ricordati che in ogni uomo c’è sempre un bambino che vuole giocare” scrive Nietzsche). E ne sono deluse. Ecco perché molte donne e molti uomini d’Occidente sono attratti dall’Isis. Le prime per trovare un maschio propriamente detto, i secondi per ritrovar se stessi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 dicembre 2015

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Io l’avevo scritto sul Gazzettino il 29 agosto 2014: “Noi occidentali dovremmo riconoscere la realtà del Califfato di Al Baghdadi e trattare con lui”. Allora ero stato preso per pazzo o per un filojihadista. Mi fa piacere che un giornale autorevole e insospettabile come l’Independent ora faccia propria questa idea. Quello che noi chiamiamo abitualmente il “sedicente Califfato” è in realtà uno Stato con un governo, un territorio, una popolazione. E non si può cancellarlo solo perché a noi non piace. Bisogna tener presente che la lotta jihadista si avvale della componente religiosa ma è anche un tentativo, a mio avviso perfettamente legittimo, di ridefinire i confini di quell’area mediorientale che sono stati disegnati arbitrariamente dagli inglesi tra il 1920 e il 1930. Gli Stati e i loro confini non sono eterni, ma mutano nel tempo, alcuni scompaiono, altri si modificano. Se si fosse seguita a suo tempo la logica che si vuole imporre oggi, cioè cancellare il Califfato, noi italiani non avremmo potuto fare le nostre guerre di indipendenza. Dobbiamo smetterla di considerare ogni nuova realtà che non ci piace (e il discorso potrebbe essere esteso, scendendo di livello naturalmente, alla violenta campagna contro i populismi europei) come il Male Assoluto. Le distinzioni non sono mai così nette. Loro non sono il Male, noi non siamo il Bene. Bisogna anche capire le ragioni degli altri e “le vite degli altri”. Certo noi rabbrividiamo difronte a stragi come quelle del Bataclan, ma siamo del tutto indifferenti, o ignoriamo, o piuttosto fingiamo di ignorare, che un drone guidato da Nellis nel Nevada da un pilota che non rischia nulla quando sgancia un missile uccide forse qualche guerrigliero o spazza via un’infrastruttura ma nello stesso tempo fa decine, a volte centinaia di vittime civili in un colpo solo. E questo va avanti da tre o quattro anni da quando, con i bombardamenti americani, ci siamo intromessi in una guerra civile fra una parte dei sunniti e una parte degli sciiti che non ci riguardava affatto. Qualche reazione dovevamo quindi aspettarcela. Un fenomeno come l’Isis ce lo siamo abbondantemente creato anche noi. Alla trasmissione Piazzapulita ho fatto mia la dichiarazione di Amedy Coulibaly: “ Voi ci combattete, non potete pretendere che non vi rispondiamo”. Per rispondere allo strapotere tecnologico occidentale gli jihadisti hanno finito per portare la guerra in Europa e forse anche negli Stati Uniti, con i mezzi che in questo caso li sono possibili: il terrorismo kamikaze (in Medio Oriente fanno invece guerra di guerriglia).

Venendo al sodo che cosa bisognerebbe trattare col Califfato? Al Baghdadi che di fatto controlla l’intero mondo jihadista dovrebbe impegnarsi a non uscire dall’area di sua competenza e quindi stoppare ogni attentato terroristico in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Se non lo facesse gli si potrebbe formalmente dichiarare guerra come si faceva ai vecchi e più onesti tempi. Mandando però le truppe sul terreno e non in questa vile guerra di macchine contro uomini che non fa che aumentare le simpatie per lo jihadismo.

Massimo Fini

17 dicembre 2015

Per un errore del Fatto Quotidiano questo pezzo è stato attribuito al generale Fabio Mini e, viceversa, il pezzo di Mini a Massimo Fini.