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Oggi è di moda sparare sulla burocrazia. Non c'è uomo politico, non c'è partito che non accusi la burocrazia, per le sue complicatezze, soprattutto in materia fiscale, di essere un peso insopportabile per l'imprenditoria italiana oltre che un angoscioso tormento per la vita del singolo cittadino. Bene, secondo uno studio della Confartigianato negli ultimi sei anni, da metà aprile del 2008 a marzo di quest'anno, il Parlamento ha approvato 629 norme in materia fiscale, di queste solo 72 semplificano le procedure, 389 le complicano. Ed è pressoché certo che se analoghi studi fossero fatti su altri rami della Pubblica Amministrazione il risultato sarebbe più o meno lo stesso. Che c'entrano i burocrati? I burocrati applicano le leggi e le leggi, sotto la guida del governo, le fa il Parlamento cioè proprio quegli uomini politici e quei partiti che puntano il dito contro le complicazioni burocratiche. Il dito dovrebbero puntarlo contro se stessi.

Lo stesso avviene con i magistrati, odiati dalla classe dirigente da quando, con Mani Pulite, hanno osato chiamare anche 'lorsignori' al rispetto di quella legge cui tutti siamo tenuti (come conferma il voto trasversale dell'altro giorno alla Camera in favore della responsabilità civile dei giudici, norma che paralizzerebbe psicologicamente ogni magistrato). Se in via preventiva mettono in galera dei 'pezzi grossi' (che quasi mai è vera galera -questa tocca ai poveracci- ma i più comodi 'arresti domiciliari' in lussuose ville) li si accusa di volersi fare pubblicità. Ma a parte il fatto che se si seguisse questo ragionamento nessun uomo politico potrebbe essere mai indagato, la discrezionalità del Pubblico ministero nel decidere o no un arresto (discrezionalità peraltro correggibile dal Gip e dal Tribunale della libertà) gli viene dalle leggi e le leggi le fa il Parlamento, cioè proprio quegli uomini politici che, a seconda dei casi, si scandalizzano per quegli arresti. Se si ritiene che quella discrezionalità sia eccessiva, la si limiti con una nuova legge, altrimenti il magistrato non può che applicare quella vigente. Uomini politici e partiti gridano all'infamia quando delinquenti notori vengono liberati per la decorrenza dei termini della carcerazione preventiva. Ma chi, in questi anni, ha inzeppato il Codice di procedura penale di leggi cosiddette 'garantiste' tanto da allungare all'infinito i tempi del processo, se non il Parlamento, cioè quegli uomini politici e quei partiti che poi gridano all'infamia? Se i termini sono decorsi il magistrato non può e non deve far altro che applicare la legge, che non lui ha fatto, ma altri, non può dire, alla Jannacci, «no tu no» perché sei cattivo e malfamato.

Il Italia è costume, o piuttosto malcostume, dare sempre la colpa agli altri. Quando è scoppiato lo scandalo Mose il premier Renzi ha affermato «sono cose raccapriccianti che fanno malissimo all'immagine dell'Italia». Ma questa 'Vispa Teresa' che è in politica dall'età di 22 anni non sapeva che queste 'cose raccapriccianti' sono il metodo usuale per finanziare, oltre ai manigoldi propriamente detti, i partiti e quindi indirettamente anche lui che ne fa parte da vent'anni? E' inutile e volgare fare la faccia feroce («li cacceremo a pedate nel sedere») quando i buoi sono scappati. Altre stalle vuote si chiuderanno se i partiti italiani, che sono il vero cancro del sistema, rimarranno quello che sono. Pare che il Pd abbia accumulato 10 milioni di debiti. Ora, per avere dieci milioni di debiti bisogna che per le sue casse siano passati centinaia di milioni. Un cittadino normale, che non sia un ladro, di debito può avere solo qualche migliaio di euri.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 15 giugno 2014

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Che futuro può avere un Paese dove i controllori sono corrotti quanto e più dei controllati? Il ministro dell’Economia Padoan si è affrettato a esprimere la sua “totale fiducia nella Guardia di Finanza e nei suoi membri” e Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità anticorruzione, recentemente nominato da Renzi, ha affermato: “Una parte della Nazione è sana. E’ stata la stessa Guardia di Finanza che ha proceduto nei confronti di altri esponenti del corpo”. Peccato che i finanzieri non abbiano proceduto in modo autonomo ma su ordine dei magistrati, quei magistrati cui adesso il Parlamento vorrebbe tagliare definitivamente le unghie imponendo loro la responsabilità civile diretta (Il che vuol dire paralizzarli perché nessun giudice oserà più emettere un provvedimento se per un suo errore può vedere azzerato, economicamente, il lavoro di una vita. Cosa diversa è se un magistrato, nella sua attività, commette un reato, allora deve essere denunciato al Tribunale competente e, se riconosciuto colpevole, andare in gattabuia come qualsiasi altro cittadino. Ma questa possibilità esiste già, ovviamente, nel nostro ordinamento). Nulla vieta di pensare che quegli stessi finanzieri che hanno arrestato i loro colleghi vengano, un domani, a loro volta arrestati per reati consimili. La Gdf “è sana”. Non diciamo sciocchezze. Sono decenni che grandi e medi imprenditori pagano i finanzieri perché chiudano un occhio sulle loro evasioni fiscali. Berlusconi docet. Ma non è stato certamente l’unico, solo il più spudorato. Raffaele Cantone mi pare una persona perbene, ma dovrà servirsi di 26 controllori e chi ci assicura che fra questi non ci siano dei corrotti o dei corruttibili? ‘Qui custodiet custodes’? Anni fa si scoprì che il capo della Guardia di Finanza, un certo Del Giudice (nomen non omen), era anche il capo dei contrabbandieri. Questo è un Paese marcio fino al midollo, il più pulito c’ha la rogna.

Due cose giuste comunque Cantone le ha dette. Nella vecchia Tangentopoli gli imprenditori e a volte anche i politici si presentavano spontaneamente ai magistrati e confessavano, qualcuno si vergognava persino. Oggi questo non avviene. Ha detto poi Cantone che per corrotti e corruttori “il rischio vale la candela” perché la probabilità di finire in carcere è risibile rispetto ai guadagni milionari. E infatti, nella Tangentopoli d’antan e in quelle successive, a parte qualche breve periodo di detenzione preventiva nessuno ha fatto veramente il carcere (A parte Sergio Cusani, cui la lezione è servita e oggi è un uomo nuovo. Quel Cusani che nel breve periodo di libertà, fra carcerazione preventiva e condanna, veniva quasi ogni giorno a casa mia rannicchiato sul divano, alto com’è, con le ginocchia quasi sul mento, a liberarsi e confessarsi). Oggi si fa le meraviglie perché la corruzione è peggio che ai tempi di Tangentopoli. E come poteva essere diversamente? Era passato pochissimo tempo da Mani Pulite che la classe politica, ripresasi dallo choc, e i media sempre compiacenti, hanno trasformato i magistrati nei veri colpevoli e i ladri nelle vittime e spesso in giudici dei loro giudici. Che cosa si poteva ricavare da questa pedagogia se non la garanzia di un’impunità perpetua per i mascalzoni? E così sarà anche questa volta. C’è già chi, sia pur con cautela, prepara il terreno. Era appena scoppiato lo scandalo Expo che l’insolvente Sallusti scriveva che i giudici agivano per avere ‘i titoloni’ sui giornali (Il Giornale, 9/5/2014). Tranquilli, i felloni di oggi ve li ritroverete, bel belli, insieme a delle ‘new entry’, fra dieci anni. Ma la colpa è nostra. All’epoca di Tangentopoli ci furono almeno delle manifestazioni di piazza e di rabbia. Oggi siamo inerti, mitridatizzati. Mentre ci vorrebbe ben altro che le cesoie evocate da Erri De Luca.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2014

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Una settimana fa c'è stato uno scambio di prigionieri fra Talebani e americani. Il sergente Bowe Bergdahl, catturato in Afghanistan nel 2009, è stato liberato in cambio di cinque capi talebani detenuti a Guantanamo, Abdul Washid, ex numero due dell'intelligence talebana, il mullah Norullah Nori, responsabile a Mazar-e-Sharif, Mohammed Nabi, capo della sicurezza a Qalat, Mohammad Fazl e Khairrullah Khairkhwa uno degli uomini più vicini, a suo tempo, al 'famigerato' (termine di Guido Olimpio) Mullah Omar. I media occidentali hanno preferito sputtanare Bergdhal raccontando che si era fatto catturare mentre cacava in una latrina, piuttosto che riferire le sue parole al momento del rilascio: «Compatibilmente con la situazione in cui ci trovavamo, io e i miei carcerieri, sono stato trattato bene e con rispetto». Dichiarazione in linea con quelle di tutti i prigionieri rilasciati dai Talebani, dal giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, a Céline Cordelier, operatrice della Ong francese Terre d'enfance che, liberata dopo 25 giorni dirà: «Non dimenticherò mai che mi hanno nutrito e trattata con delicatezza e rispetto», alla giornalista inglese Yvonne Ridley che, intrufolatasi di nascosto in Afghanistan e catturata, fu così stupita che i suoi giovani carcerieri, tanto malfamati, non solo la rispettassero ma fossero sinceramente preoccupati perché, in preda a un comprensibile timore, le era venuto un blocco allo stomaco e non riusciva a mangiare e, poi appurato che non era una spia, l'avessero scortata, sotto i bombardamenti americani, fino alla frontiera del Pakistan perché potesse mettersi al sicuro, che, poco dopo, si fece musulmana. In quanto al fotoreporter Gabriele Torsello rapito nell'aprile del 2006, Oari Yousuf Ahmadi, il principale portavoce del Mullah Omar, dichiarerà all'agenzia di stampa afgana, Paihwok: «Chiediamo ai rapitori di liberare l'ostaggio, perché pensiamo che non sia corretto colpire l'Italia uccidendo un cittadino innocente. I sequestratori di Torsello sono ladri che agiscono solo per denaro diffamando il movimento talebano. Li trascineremo davanti a un nostro tribunale se riusciremo a prenderli» (Corriere della Sera 25/10/2006) .

Sappiamo come sono stati trattati i prigionieri talebani a Guantanamo. Rinchiusi in gabbie di ferro, esposti notte e giorno alla luce dei riflettori, alla pioggia, al freddo, al sole (trattamento già riservato, dopo la seconda guerra, al grande poeta Ezra Pound, mallevadore di molti letterati statunitensi, esposto alla curiosità della canaglia, come una bestia, perché colpevole, vivendo in Italia, di non aver osteggiato il fascismo). Torturati col waterboarding, con la deprivazione del sonno, con temperature al di là di ogni sopportazione, torture considerate giuridicamente legittime perché fuori dal territorio Usa (suprema ipocrisia, quella che ha portato a rapire, in Italia, in una 'extraordinary rendition', con la complicità italiana, il predicatore Abu Omar e a trasferirlo, via Aviano, nell'Egitto dell'allora alleato Mubarak perché fosse 'trattato' come si deve). Prigionieri portati in giro in carriola per renderli ridicoli, mentre già nel viaggio dall'Afghanistan a Guantanamo, che dura una quindicina di ore, inchiodati al sedile, erano stati muniti di pannoloni, per umiliarli ancora di più.

E allora dov'è la 'cultura superiore'? Dov'è l' 'eccezionalismo' americano rievocato anche l'altro giorno da Obama? 'Eccezionalismo' una mascheratura terminologica del razzismo classico, poiché quello esplicito, dopo Hitler, non è più presentabile. Se questo è 'l'eccezionalismo americano' io ci sputo sopra. Mi fa schifo. A me non interessano le ideologie, non mi interessa la democrazia, mi interessa il comportamento degli uomini. E fra lo pseudonero Obama, la giudiziosa mogliettina Michelle, dedita a opere di bene, e il truce Mullah scelgo Omar. Io mi sento, io sono talebano.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2014