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Pubblichiamo la risposta integrale alla domanda: "Che cosa deve fare la diplomazia internazionale e che cosa deve fare l'Italia per fermare il conflitto?"

Pubblicata da "Il Fatto Quotidiano" il 24 luglio e tagliata per motivi di spazio.


I conflitti fra le parti, se non trovano altro modo di comporli, devono essere decisi dal campo di battaglia, senza pelose intromissioni esterne. Ciascuna si assumerà la responsabilità morale delle proprie azioni. Non ho alcuna fiducia nel concetto molto fumoso di 'diplomazia internazionale' , che altro non è, se si vuole precisarlo, che la difesa degli interessi occidentali, ovunque e comunque. Condanna e sanziona le violenti repressioni della Siria di Assad, ma non lo fa con quelle di Israele. Perché Israele è una parte importante di quel mondo occidentale di cui gli Stati Uniti, ai quali sono strettamente legati, sono la punta di lancia. E' il solito gioco, a cui assistiamo da decenni, dei due pesi e due misure. Ad ogni modo anche se esistesse questa fantomatica 'diplomazia internazionale', cioè se fosse equanime, in questo caso non potrebbe far nulla perché è evidente che nessuna delle due parti ha intenzione di arrivare ad una pace ragionevole. Sono anni che si disegnano inutili 'road map'.
L'Italia a livello internazionale non esiste. E' una dépendence americana e quindi non può fare niente di autonomo.
Stupisce semmai la totale scomparsa della sinistra nel nostro Paese.

Mentre a Parigi, a Londra, a Berlino, a Barcellona ci sono manifestazioni di piazza contro i massacri di Israele dovuti alla sua enorme superiorità militare, in Italia non si alza un alito di vento.
Precisando però che se le manifestazioni contro Israele, che è uno stato come tutti gli altri, sono assolutamente legittime, totalmente inaccettabili sono le manifestazioni contro ebrei che abitino a Parigi, a Londra, a Berlino, a Barcellona o altrove. Come è ovvio e come, per quel che mi riguarda ho sempre rimarcato, una cosa è lo Stato di Israele, altra è la comunità ebraica internazionale.



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Non è l'Italia che deve andarsene dall'Europa, come vorrebbero alcuni partiti, ma l'Europa che dovrebbe cacciarci a pedate nel sedere. Perché ci mancano gli standard minimi. Che non sono quelli economici e finanziari, che sono recuperabili e in parte recuperati, dall'odiatissimo, non a caso, governo Monti, ma etici, che sono irrimediabili. Non c'è settore della vita pubblica, e anche privata, che non sia corrotto. Parlamentari, presidenti di Regione, consiglieri regionali, personale delle abolende Provincie, sindaci, assessori, consiglieri comunali, Pubblica amministrazione, Guardia di Finanza, dai più alti ai più bassi livelli, polizia, vigili urbani. Non c'è luogo in cui la magistratura vada a ficcare il naso dove non salti fuori il marcio. E non ci sono distinzioni regionali: il Nord, con la sua ex 'capitale morale', Milano, vale il Centro e il Sud. Ci si potrebbe divertire come si fa nel gioco 'fiori e frutta', a stendere la carta geografica della Penisola e, a occhi chiusi, puntare il dito a caso. A meno che non si capiti su qualche cima delle Alpi o su qualche cucuzzolo degli Appennini, non c'è città, cittadino, paese o paesello, insomma non c'è agglomerato di italiani che sfugga al marciume generale.

Il premier di questo Paese incontra più volte un pregiudicato, in stato formale di detenzione, e con costui decide leggi fondamentali dello Stato. Una cosa simile non si era vista mai, nemmeno nel più sgangherato, misero e miserabile Paese del mondo. Il suo mandato era scaduto da soli due giorni che Sarkozy ha subito una perquisizione in casa propria (per essere precisi: in quella di Carla Bruni dove si era stabilito) e un paio di settimane fa è stato trattenuto per un giorno e una notte in stato di fermo. E non stiamo parlando della Germania, dove un presidente della Repubblica si è dimesso in sette minuti perché accusato, solo accusato, di aver ricevuto in anni lontani un mutuo agevolato o dei Paesi scandinavi dove resiste ancora l'etica protestante, ma della cugina Francia molto simile a noi in tanti difetti. Ma anche da loro ci sono dei limiti. Non si può permettere a un delinquente di determinare la politica di un Paese con la scusa, ridicola, che «ha il consenso». Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto resistenze inaudite per cercare di non rendere testimonianza in un processo, mentre la testimonianza è un dovere civico che riguarda tutti i cittadini (e se cerchi di sottrarti, i carabinieri, dopo due richiami, ti portano in Tribunale in manette), che non conosce guarentigie ne privilegi di sorta salvo quello, se si è una carica Istituzionale, di ricevere i Pubblici ministeri nel proprio ufficio e non nella sede del processo. Questi sono gli esempi che ci vengono 'dall'alto', a tutti i livelli.

Secondo una ricerca di Nando Pagnoncelli sette italiani su dieci ritengono che la corruzione non riguardi episodi individuali, ma che sia l'intero sistema ad essere corrotto, in ogni ganglio. E hanno ragione. Peccato che nel frattempo si sia corrotto anche il cosiddetto 'cittadino comune'. Io vado a nuotare in un'antica e prestigiosa Società milanese che ha una bella piscina olimpionica, una delle poche a Milano, e il costo dell'iscrizione è alto. Non ci sono rumeni. Ma basta lasciare aperto l'armadietto che ti rubano gli asciugamani, i costumi, le mutande sporche.

Siamo l'unico Paese ad avere quattro mafie, quella propriamente detta, la camorra, la 'ndrangheta, la Santa Corona Unita insieme alle loro varie sottospecie che sono ben emerse negli scandali Mose ed Expo, con le quali stiamo infettando il resto d'Europa. Perché dovrebbero tenerci? Se fossi un europeo direi: via! Raus! Rimanete a marcire nel vostro truogolo un tempo chiamato 'il Bel Paese'.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2014

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Dopo una partenza strana, caratterizzata da piogge torrenziali che, almeno nell'Italia del Nord e del Centro, mitigavano di poco la temperatura ma rendevano l'aria più soffocante come se fossimo in un paese tropicale, poniamo a Bangkok, adesso sta iniziando, dopo quella da calendario, l'estate metereologica. D'ora in poi, a meno che l'inquinamento globale non abbia sconvolto proprio tutto, farà caldo, sempre più caldo. Per i vecchi l'estate è una stagione, oltre che tremendamente malinconica, insidiosa. Nel mio libro, 'Il Ribelle dalla A alla Z', organizzato come un dizionario, alla voce Giovinezza scrivo: «La vecchiaia inizia quando l'estate da promessa di felicità diventa una fonte di preoccupazione». In Italia solo il 30% degli anziani vive in famiglia, con i propri figli, e siamo già messi bene rispetto ai Paesi del centro e nord Europa dove la percentuale si aggira intorno al 4%. Una volta tanto il nostro atavico familismo, deleterio sotto altri aspetti perché fa presto a trasformarsi in clientalismo quando non in mafia, presenta dei vantaggi. Ma d'estate anche i figli, dopo undici mesi di lavoro, hanno diritto a farsi le ferie in santa pace senza trascinarsi dietro il vecchio genitore. E il vecchio resta solo. Tremenda è la solitudine del vecchio, sempre ma in particolare d'estate («Azzurro, il cielo è troppo azzurro......neanche un prete per chiacchierar» cantava Celentano su parole di Paolo Conte, eppure si riferiva a una persona giovane, possiamo immaginare, o vivere se ne abbiamo l'età, quanto per un vecchio sia 'troppo azzurro' quel cielo che rimanda ad altre estati, felici, di una giovinezza ormai perduta).

Ci si preoccupa molto dei cani abbandonati d'estate -le associazioni animaliste e la 'Pubblicità progresso' ce ne fanno una testa così- meno dei vecchi lasciati soli. L'estate del 2003 fu particolarmente calda. Nelle grandi città, e in particolare a Milano, i vecchi morivano a frotte. Per il caldo certamente. Una caratteristica bizzarra di un corpo vecchio è di sentire meno il calore, di non accorgersene, e quindi di andarsene più o meno beatamente all'altro mondo, di qui tutte le raccomandazioni a bere anche se non si ha sete. Un giovane se ha caldo beve, in modo naturale, senza che ci sia bisogno che qualcuno glielo dica. Ma morivano anche, se non soprattutto, di solitudine.

Il lettore penserà che i personaggi più o meno noti sono avvantaggiati. Fino a un certo punto. La vecchiaia comincia a uguagliare tutti in attesa di quel livellamento generale che è la morte ('a livella' coma la chiamava giustamente Totò).

Un 2 luglio di molti anni fa ero andato al Giornale per riscuotere un debito di gioco da un collega che faceva il bookmaker clandestino, 'il clanda' come si dice in gergo (cose da educande, intendiamoci, ci giocava anche Indro). Passando vicino alla stanza della Direzione, che era aperta per il gran caldo, vidi Montanelli seduto alla scrivania, davanti alla macchina da scrivere, immobile. Entrai e dissi ridendo: «Che ci fai, Direttore, qui al giornale in questo pomeriggio canicolare e patibolare di luglio?». «Se vado a casa penso alla morte. E allora preferisco stare qua a fingere di scrivere». Letizia Moizzi, la nipote, mi ha raccontato che negli ultimi anni Montanelli, un po' per gioco e un po' sul serio, pensava di ritirarsi in un ospizio per anziani, di lusso naturalmente. «Tu verrai qualche volta a trovarmi. E, come si faceva una volta inserendo cento lire nel juke box, mi solleciterai a raccontare, di me, delle mie esperienze, della mia vita. E si apriranno le cateratte». Da molti anni Alain Delon, che ai suoi tempi ha avuto le più belle donne d'Europa, d'estate fa la cura del sonno. Non la vuole vedere, l'estate. E' proprio quella luce luminosa, troppo luminosa, quel sole spavaldo, fatto per altre età, che ferisce, oltre agli occhi indeboliti, la loro sensibilità. E sono e si sentono soli, più soli che mai.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 11 luglio 2014