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Pochi minuti prima che alle fatali ore 19 di domenica scorsa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella pronunciasse il suo inaudito discorso, inaudito nel senso letterale del termine: di cosa mai udita prima, stavo scrivendo per Il Fatto un articolo che iniziava così: “Il Presidente Sergio Mattarella sta rischiando grosso. Rischia, ex articolo 90 della Costituzione (quello che nel diritto romano si chiamava ‘delitto di lesa maestà’) l’impeachment per ‘alto tradimento’ perché sta violando quella Costituzione a cui ha solennemente giurato di essere fedele” (di questa quasi contemporaneità è testimone il collega Andrea Coccia che mi ha intervistato pochi minuti dopo per Linkiesta). Mi riferivo naturalmente al fatto che il Capo dello Stato come dice l’art.92 nomina sì il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri, ma questa nomina è un puro atto di ratifica notarile come si evince dall’intero Titolo III dedicato alle funzioni, ai poteri, agli obblighi del Presidente della Repubblica. Ma il discorso di Mattarella delle fatali ore 19 di domenica, che passerà alla Storia, come immeritatamente vi passerà il suo autore, va ben oltre le più sottili disquisizioni su che cosa significhi realmente il suo potere di nomina, e sorpassa anche il fatto che Paolo Savona sia stato inquisito per aggiotaggio, reato poi prescritto. Perché Mattarella ha dettato l’indirizzo politico cui si deve attenere il governo, quello giallo-verde o quelli che lo dovessero seguire e questo è sicuramente al di fuori e contro la Costituzione. Ci troviamo di fronte, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, ad un colpo di Stato.

Quell’inaudito discorso ha provocato naturalmente la reazione non solo di Di Maio e dei suoi elettori, che chiedono l’impeachment del Presidente della Repubblica, così come lo chiede Giorgia Meloni che pur da questo progettato governo si era autoesclusa, e di Salvini, in un modo solo più sfumato, con l’affermazione che non crede più in Mattarella come arbitro neutrale nella contesa politica. Ad esser molto benevoli, parlando in gergo calcistico, si potrebbe dire che la partita è sfuggita di mano all’arbitro. Ma non è così. Sergio Mattarella ha violato scientemente la Costituzione per motivi che restano oscuri. Secondo Salvini perché è al servizio di interessi sovranazionali, della Germania e della Francia in particolare (in questo senso il leader della Lega intende l’’alto tradimento’). Secondo noi non è così, Mattarella risponde ai poteri economici, finanziari, mediatici, giornalistici, personali di tutti coloro che sono ben incistati da un quarto di secolo nel sistema, fra cui c’è lo stesso Mattarella, e che temono di perdere poteri, privilegi, ricchezze con l’arrivo del governo Cinque Stelle-Lega.

Inoltre, anche se la questione è di secondo grado rispetto a quella principale, il comportamento di Mattarella è in totale contrasto con l’assunto del suo discorso tutto centrato sul “bene degli italiani”. Mattarella infatti prolunga ulteriormente e all’infinito un vuoto politico per colmare il quale Cinque Stelle e Lega avevano lavorato duramente , con sacrifici di entrambe le parti, in particolare di Salvini che ha rotto di fatto con Forza Italia. E tutto questo proprio mentre urgono decisive questioni nazionali e importanti impegni internazionali che lo stesso Mattarella ha richiamato per giustificare il suo inaudito, inconcepibile, illegittimo diktat al governo Cinque Stelle-Lega.

Come si reagisce, in democrazia, a un colpo di Stato operato dal Presidente della Repubblica? Con l’impeachment. Non con nuove elezioni come vorrebbe l’esasperato, giustamente esasperato, Salvini. Giustamente Alessandro Di Battista ha replicato che è incomprensibile andare a nuove elezioni quando, allo stato, c’è già un candidato premier eletto democraticamente, attraverso le regolari procedure costituzionali, dalla maggioranza dei cittadini italiani.

Ma quando si è in presenza di una situazione antidemocratica c’è anche la possibilità di una risposta diversa. Quella violenta dei cittadini che si vedono lesi nei propri diritti democratici fondamentali. Come ha detto Luigi Di Maio in questa occasione si è dimostrato che la democrazia è una farsa, perché il voto non conta nulla piegato com’è ad altri interessi, nazionali o internazionali che siano (è la tesi che ho sostenuto nel mio libro Sudditi. Manifesto contro la Democrazia, del 2004). Mattarella ha quindi irresponsabilmente aperto la strada alla possibilità di una guerra civile. Di Maio e Salvini hanno responsabilmente invitato i loro sostenitori alla calma. Ma è molto difficile mantenere la calma quando da anni si è sottoposti ad abusi e soprusi di ogni genere, culminati oggi nell’inaudito, illegittimo, incostituzionale operato di Sergio Mattarella. Come ha detto un altro Presidente un po’ meno irresponsabile di costui, Sandro Pertini: “A brigante, brigante e mezzo”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 maggio 2018

 

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Ci si può girare intorno quanto si vuole ma se da più di settanta giorni siamo in questa situazione di stallo è perché, con i pretesti più vari, non si vuole che i Cinque Stelle, “los grillinos” come li chiamano in Spagna, vadano al governo. Non si vuole cioè rispettare la volontà di 11 milioni e mezzo di cittadini cui si aggiungono 5 milioni e passa di elettori della Lega, in totale più di 17 milioni di persone. Non si vuole cioè rispettare la tanto e sempre strombazzata Democrazia.

Contro i Cinque Stelle sono tutti coloro che finora sono stati ben incistati nel sistema, partiti, poteri economici, ricchi, intellettuali, giornalisti. Fra chi cerca di mettere i bastoni fra le ruote il più importante, per il ruolo che ricopre, non certo per la sua autorevolezza, è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quale, scoprendo improvvisamente d’esser Luigi Einaudi, si arroga diritti che non ha, come quello di nominare di fatto i ministri o di escludere da questo ruolo le persone che non gli garbano. Purtroppo per Mattarella noi non siamo una Repubblica presidenziale ma parlamentare. Ed è il Parlamento, e solo il Parlamento, che può sfiduciare i ministri, in pectore o già in carica, o dar loro credito.

Matteo Salvini ha detto, a mio parere giustamente, che quello che è in atto oggi non è uno scontro fra destra e sinistra, categorie che dopo due secoli e mezzo di vita sono divenute obsolete, ma fra popolo ed élites (è lo stesso scontro che c’è in America fra Donald Trump, comunque lo si voglia giudicare, e i suoi avversari). Alla trasmissione radiofonica Tutta la città ne parla il giornalista di Repubblica Paolo Griseri obbiettava che le élites sono sempre esistite e sempre esisteranno. E’ vero, ma bisogna vedere a favore di chi queste élites governano od operano. Possono operare a favore della cittadinanza o invece a favore di se stesse e dei propri amici come in Italia è avvenuto perlomeno negli ultimi trent’anni. La questione non è nuova. Il mitizzato Ottaviano Augusto governò “in nome del popolo” ma a favore delle élites senatoriali, latifondiste e nullafacenti. L’imperatore Nerone, maledetto e dannato in saecula saeculorum, che pur di quelle élites faceva parte al più alto livello, governò invece in favore della plebe e di quelli che oggi chiameremmo i ‘ceti emergenti’, cioè produttivi e contro l’aristocrazia parassitaria. E per questo alla fine fu costretto al suicidio.

La storia si ripete incessantemente, c’è sempre qualcuno che si illude di scardinare un sistema prevaricatore: o fa una brutta fine o, arrivato al potere, diventa a sua volta prevaricatore (è stato il destino di molte Rivoluzioni, a cominciare da quella russa) o, ed è la cosa più subdola, i vecchi poteri, specialisti nel trasformismo, “fingono di cambiare perché nulla cambi”.

Scendendo molto di categoria uno di questi potrebbe essere il destino dei Cinque Stelle. Speriamo di no, perché sognare non è ancora proibito, almeno ufficialmente.

Ma scendiamo ancora di più, nell’infimo e nel ridicolo. Ieri Libero, diretto da Vittorio Feltri, titolava “Un laureato così non lo merita neppure l’Italia”. Naturalmente l’editoriale dello stesso Feltri era tutto un fare le pulci al candidato premier che lui, speranzosamente, chiama già ex, Giuseppe Conte. Da quale “vergine dai candidi manti” vien la predica. Il libertario Feltri è stato sospeso per sei mesi dall’Ordine dei giornalisti per aver pubblicato sul suo giornale articoli in cui si definiva il direttore dell’Avvenire Dino Boffo un “noto omosessuale attenzionato dalla polizia”. Già l’accusa rivolta a Boffo era di un moralismo ributtante e da vecchia zia –essere omosessuali non è una colpa- ma per soprammercato era anche falsa. Però a Boffo costò la carriera. “Un giornalista così non lo merita neppure l’Italia”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2018

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Forse Di Maio e Salvini avrebbero fatto meglio a giocarsela ai dadi la leadership per i primi due anni e mezzo di legislatura. Avere come presidente del Consiglio un signore che sarà anche autorevolissimo, nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori, ma che è totalmente sconosciuto alla popolazione, non è proprio il massimo. Dice: bravo, questo governo, che non appare proprio solido, cade presto e quello che fra Di Maio e Salvini si mettesse in lista d’attesa resterebbe fregato. Ragionando in politichese, che non è esattamente il nostro costume, si potrebbe obbiettare che le responsabilità dell’eventuale fallimento del governo verrebbero attribuite innanzitutto al premier in campo, mentre chi è restato in panchina avrebbe molte meno responsabilità per la perdita della partita, anzi potrebbe avvantaggiarsene.

Ma noi non crediamo affatto che questo governo sia debole e tantomeno che Salvini, come alcuni temono, possa subire ricatti da Berlusconi. Cominciamo da questo secondo punto che è il meno importante. Aver raggiunto il potere come sarà il caso di Salvini cambia i rapporti di forza e gli stessi uomini. E’ significativo il precedente di Craxi. Capo di una piccola minoranza nel 1976 al Midas fu eletto segretario del Psi dalle maggioranze di quel partito che pensavano di poterlo manovrare e farlo fuori in qualsiasi momento. Invece fu Craxi a mettere nel sacco tutti dentro il Psi e anche fuori.

Ma il governo non nasce affatto debole per altri e più importanti motivi. Checché se ne vada dicendo e scrivendo da mesi M5S e Lega sono due movimenti che si integrano perfettamente. M5S ha nella sua ideologia fattori di sinistra, di centro, di destra. E’ in chiave moderna una sorta di Democrazia Cristiana che per almeno trent’anni riuscì a tenere insieme tutto con risultati più che discreti per il nostro Paese. Salvini farà quindi una politica di destra, soprattutto sull’immigrazione, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, cui i grillini non sono affatto contrari. A Di Maio spetterà di applicare la parte di sinistra del contestato contratto. Sul piano della politica interna non vediamo quindi grandi difficoltà.

I problemi che pongono entrambi gli schieramenti sono di politica estera e riguardano il loro latente antieuropeismo. Che l’Italia debba far sentire la sua voce in Europa, com’è suo sacrosanto diritto, chiedendo la modifica dei trattati che gli sono più ostici, è fuori discussione. Ma è anche fuori discussione che debba rimanere saldamente non solo nell’euro ma nella Ue. Nessun Paese europeo può reggere l’urto con Stati come gli Usa, la Russia, la Cina, l’India e degli ancor più forti, indecifrabili e indefinibili potentati economici e finanziari internazionali, che son coloro che di fatto menano la danza, insomma il famigerato mercato globale.

Ma la cosa a nostro avviso più preoccupante è che se nella pancia e nel contratto stipulato fra M5S e Lega ci sono accenti antieuropeisti non c’è nessuna presa di distanza dagli Stati Uniti e dal loro braccio armato, la Nato. L’Alleanza Atlantica, come abbiamo già scritto (“Un esercito europeo: così poi usciamo dalla Nato”, Il Fatto 15 maggio) è stata dal dopoguerra lo strumento con cui gli Usa hanno tenuto in stato di minorità, militare, politica, economica e alla fine anche culturale e linguistica, l’Europa che era uscita sconfitta tre quarti di secolo fa da quel conflitto. Sbarazzarsi di questa pelosa tutela, come ha capito benissimo Angela Merkel, è quindi una priorità. Ecco perché nel famoso discorso di Aquisgrana la statista tedesca ha detto apertis verbis che l’Europa ha l’assoluta necessità di crearsi un proprio, forte, competitivo esercito. Perché la potenza militare trascina con sé tutto il resto, fra cui l’economia e la possibilità di avere una reale influenza nei rapporti internazionali. Ed è la ragione per cui noi italiani dobbiamo accettare, agganciandoci a tedeschi e francesi, un ruolo un po’ più marginale in Europa per averne invece, insieme all’Europa, uno determinante nella politica internazionale.

Detto questo la cosa che più ci convince del nuovo governo è proprio ciò che più gli viene contestato. Tutti, sia a livello nazionale (a cominciare da Mattarella che, uomo da sempre incistato nel potere,cerca di mettere i bastoni fra le ruote e di arrogarsi anche la scelta dei ministri che in nessun modo gli compete) che internazionale bollano il governo giallo-verde come “antisistema”. Per quel che ci riguarda sono almeno trent’anni che ci battiamo contro questo “sistema” e chiunque ci abbia fatto il favore di tentare di sbarazzarcene, come la prima Lega di Bossi, o che cerca di farlo ora, come i Cinque Stelle e, in subordine, Salvini, non può che avere la nostra adesione e, nei limiti con cui può farlo legittimamente un giornalista, il nostro appoggio.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2018