Dopo una partenza strana, caratterizzata da piogge torrenziali che, almeno nell'Italia del Nord e del Centro, mitigavano di poco la temperatura ma rendevano l'aria più soffocante come se fossimo in un paese tropicale, poniamo a Bangkok, adesso sta iniziando, dopo quella da calendario, l'estate metereologica. D'ora in poi, a meno che l'inquinamento globale non abbia sconvolto proprio tutto, farà caldo, sempre più caldo. Per i vecchi l'estate è una stagione, oltre che tremendamente malinconica, insidiosa. Nel mio libro, 'Il Ribelle dalla A alla Z', organizzato come un dizionario, alla voce Giovinezza scrivo: «La vecchiaia inizia quando l'estate da promessa di felicità diventa una fonte di preoccupazione». In Italia solo il 30% degli anziani vive in famiglia, con i propri figli, e siamo già messi bene rispetto ai Paesi del centro e nord Europa dove la percentuale si aggira intorno al 4%. Una volta tanto il nostro atavico familismo, deleterio sotto altri aspetti perché fa presto a trasformarsi in clientalismo quando non in mafia, presenta dei vantaggi. Ma d'estate anche i figli, dopo undici mesi di lavoro, hanno diritto a farsi le ferie in santa pace senza trascinarsi dietro il vecchio genitore. E il vecchio resta solo. Tremenda è la solitudine del vecchio, sempre ma in particolare d'estate («Azzurro, il cielo è troppo azzurro......neanche un prete per chiacchierar» cantava Celentano su parole di Paolo Conte, eppure si riferiva a una persona giovane, possiamo immaginare, o vivere se ne abbiamo l'età, quanto per un vecchio sia 'troppo azzurro' quel cielo che rimanda ad altre estati, felici, di una giovinezza ormai perduta).
Ci si preoccupa molto dei cani abbandonati d'estate -le associazioni animaliste e la 'Pubblicità progresso' ce ne fanno una testa così- meno dei vecchi lasciati soli. L'estate del 2003 fu particolarmente calda. Nelle grandi città, e in particolare a Milano, i vecchi morivano a frotte. Per il caldo certamente. Una caratteristica bizzarra di un corpo vecchio è di sentire meno il calore, di non accorgersene, e quindi di andarsene più o meno beatamente all'altro mondo, di qui tutte le raccomandazioni a bere anche se non si ha sete. Un giovane se ha caldo beve, in modo naturale, senza che ci sia bisogno che qualcuno glielo dica. Ma morivano anche, se non soprattutto, di solitudine.
Il lettore penserà che i personaggi più o meno noti sono avvantaggiati. Fino a un certo punto. La vecchiaia comincia a uguagliare tutti in attesa di quel livellamento generale che è la morte ('a livella' coma la chiamava giustamente Totò).
Un 2 luglio di molti anni fa ero andato al Giornale per riscuotere un debito di gioco da un collega che faceva il bookmaker clandestino, 'il clanda' come si dice in gergo (cose da educande, intendiamoci, ci giocava anche Indro). Passando vicino alla stanza della Direzione, che era aperta per il gran caldo, vidi Montanelli seduto alla scrivania, davanti alla macchina da scrivere, immobile. Entrai e dissi ridendo: «Che ci fai, Direttore, qui al giornale in questo pomeriggio canicolare e patibolare di luglio?». «Se vado a casa penso alla morte. E allora preferisco stare qua a fingere di scrivere». Letizia Moizzi, la nipote, mi ha raccontato che negli ultimi anni Montanelli, un po' per gioco e un po' sul serio, pensava di ritirarsi in un ospizio per anziani, di lusso naturalmente. «Tu verrai qualche volta a trovarmi. E, come si faceva una volta inserendo cento lire nel juke box, mi solleciterai a raccontare, di me, delle mie esperienze, della mia vita. E si apriranno le cateratte». Da molti anni Alain Delon, che ai suoi tempi ha avuto le più belle donne d'Europa, d'estate fa la cura del sonno. Non la vuole vedere, l'estate. E' proprio quella luce luminosa, troppo luminosa, quel sole spavaldo, fatto per altre età, che ferisce, oltre agli occhi indeboliti, la loro sensibilità. E sono e si sentono soli, più soli che mai.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 11 luglio 2014
Anna Tortora, la sorella di Enzo, il presentatore vittima di uno dei più colossali errori giudiziari degli anni '80, di un'inchiesta condotta come peggio non si poteva dai Pm Diego Marmo e Felice Di Persia (cento casi di omonimia su duecento arresti), andava su tutte le furie quando, dieci anni dopo, i tangentisti, col supporto degli 'garantisti di giornata' (fra cui si era arruolato Vittorio Feltri -il più forcaiolo dei forcaioli finché dirigeva L'Indipendente- dopo essere passato alla corte di Berlusconi), paragonavano la vicenda di suo fratello alle proprie. Adesso, a trent'anni di distanza, uno di quei Pm, Diego Marmo, ha ammesso i suoi errori e Feltri, molto abile nell'attribuirsi medaglie al merito, ne approfitta per gloriarsi di essere stato una 'mosca bianca' nel difendere, a suo tempo, il presentatore di Portobello (Il Giornale, 28/6). Mosca senz'altro, bianca un po' meno. Ricordava Giangiacomo Schiavi in un articolo sul Corriere del 27/5/2008 che il primo a scendere in campo in difesa di Tortora era stato Enzo Biagi, seguito da Indro Montanelli, Giorgio Bocca ma anche dal 'cronista solitario' Vittorio Feltri. Per la verità il primo a difendere Tortora, con un articolo pubblicato sul Giorno una settimana dopo il suo arresto ('Io vado a sedermi accanto a Tortora' Il Giorno, 25/6/1983), sono stato io. Certo non avevo l'autorevolezza di quei colossi ma scrivevo pur sempre sul terzo quotidiano italiano di cui ero una delle prime firme, alla pari perlomeno col 'cronista solitario'. Questa tendenza, sistematica, a obliterarmi, sempre e comunque, comincia a darmi sui nervi e mi spiace che vi ceda anche Giangiacomo Schiavi, giornalista che stimo molto credo ricambiato visto che mi affidò la prefazione all'autobiografia di Gigi Rizzi, Io,BB e l'altro '68, da lui curata, recentemente ripubblicata dal Giornale dell'insolvente Sallusti, che non paga i pezzi che mette in pagina.
Ma non è questa, ovviamente, la questione. E' che l'articolo di Feltri è strumentale, tutto teso com'è a instaurare un parallelo fra Tortora e Berlusconi. «Adesso mi viene un dubbio. Che riguarda Berlusconi Silvio, da Arcore. Non sarà che fra sei lustri anche coloro che oggi si accaniscono contro di lui riveleranno di avere un filo esagerato nel perseguirlo?». Anna Tortora, che è morta alcuni anni fa, di tumore come il fratello, si rivolterà nella tomba. Nessun paragone è possibile fra Tortora e Berlusconi. Tortora, eletto nelle file dei radicali, rinunciò all'immunità parlamentare, Berlusconi non solo non ha rinunciato a nulla ma ha fatto di tutto per nascondere i suoi reati, o eliminandoli per legge (falso in bilancio) o allungando a dismisura, con norme ad hoc, i tempi del processo in modo da poter godere della prescrizione in sette casi (e in almeno due di essi la Cassazione ha accertato che l'ex Cavaliere quei reati li aveva effettivamente commessi ma era scaduto il tempo per perseguirli). Tortora, sia pur alla fine del suo calvario, è stato assolto, Berlusconi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale. Ma, cosa ai miei occhi più grave di tutte, fra il 1979 e il 1980, insieme al sodale Previti, scippò alla marchesina Annamaria Casati Stampa, minorenne, orfana, sconvolta da una tragedia familiare, la villa di Arcore e un immenso contado per quattro soldi. Una truffa da magliari, miliardaria, moralmente ripugnante. Per averla raccontata, peraltro basandomi su un libro, documentatissimo, di Giovanni Ruggeri ('Gli affari del Presidente') Previti, dopo essere stato tirato più volte per i capelli, mi fece causa. E la perse. Era tutto vero.
Tortora, uomo solitario, era una persona perbene. Berlusconi non lo è mai stato. E se oggi viviamo in «un Paese di merda», come si esprime con l'eleganza che gli è propria 'il cronista solitario', è anche merito suo.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2014
Con l'assassinio il 28 giugno del 1914, a Sarajevo, dell'Arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie per mano di un giovane serbo, Gavrilo Princip, ha inizio l'età contemporanea. Non quella moderna che era partita molto prima. In genere a scuola e nelle università si fa iniziare la Modernità con la scoperta delle Americhe, che poi scoperta non era, di Cristoforo Colombo (1492). Ma non è solo una data convenzionale è anche priva di senso. La Modernità comincerà due secoli e mezzo dopo con la Rivoluzione industriale che partita dall'Inghilterra a metà del XVIII secolo coinvolgerà prima l'intera Europa e il Nord America e poi, in seguito alla globalizzazione, che ne è una conseguenza inevitabile, tutto il pianeta. Sarà questa Rivoluzione a cambiare radicalmente la nostra esistenza, la vita materiale, la mentalità, gli stili di vita. Sarajevo 1914 da questo punto di vista non cambia assolutamente nulla. Muterà invece l'assetto geopolitico dell'Europa. La 'grande guerra' segnerà infatti la fine del grande e civilissimo Impero austro-ungarico che era riuscito a tenere insieme, senza ricorrere alla violenza, se non in modo sporadico, popolazioni culturalmente diversissime, austriaci, ungheresi, rumeni, bulgari, musulmani, sloveni, croati e serbi. Grande e civile Impero. Se Milano, nonostante tutti i mascalzoni e sottomascalzoni che l'hanno governata nel dopoguerra italiano, conserva ancora una burocrazia relativamente efficente, se non è Napoli o Palermo, è grazie all'imprinting che gli diede Maria Teresa d'Austria.
Il miracolo di tenere insieme, in quella che allora era la Jugoslavia, serbi, croati e musulmani riuscì anche al dittatore Tito, bisogna riconoscerglielo, ma con metodi assai più brutali, deportando intere popolazioni su quel territorio, un po' come aveva fatto, ma su una scala infinitamente maggiore, Stalin in Unione Sovietica.
Gli americani usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale e con le mani libere dopo il crollo dell'Urss del 1989, commisero l'errore, insieme ad alcuni Paesi europei, come la Germania, cui va aggiunto il Vaticano, di negare ai serbi di Bosnia l'indipendenza (o la riunione con la madrepatria di Belgrado) che avevano invece concesso senza fiatare a Slovenia e Croazia. Una Bosnia multietnica a guida musulmana aveva infatti senso in una Jugoslavia multietnica quale era stata quella di Tito. Ora non lo aveva più. E così i serbi di Bosnia scesero in guerra e poiché sul terreno, a detta di chi se ne intende, sono i migliori combattenti del mondo e oltretutto potevano contare sul retroterra della Serbia di Milosevic (mentre i musulmani questo retroterra non l'avevano, potevano contare solo su qualche aiuto dall'Iran), quella guerra la stavano vincendo. Ma americani ed europei decisero che invece dovevano perderla, per molte ragioni, fra le quali, e non delle minori, c'era che il loro grande protettore, Slobodan Milosevic, era a capo dell'ultimo Paese rimasto comunista, o meglio, paracomunista, in Europa. E si intestardirono nel mettere in piedi uno Stato che non era mai esistito e inesistente, la Bosnia.
E così oggi, a cento anni di distanza, Gavrilo Princip è considerato un terrorista a Sarajevo Ovest e un eroe a Sarajevo Est. E una volta che le forze internazionali si saranno ritirate dalla Bosnia, cosa che prima o poi, come in Kosovo, dovrà avvenire, tutto ha l'aria di poter ricominciare da capo.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 4 luglio 2014