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Paul Tibbets è il pilota che sgancio' l'atomica su Hiroshima. Nel 1985 un giornalista del The Columbus Dispatch, Mike Harden, lo intervisto' e, alla luce delle spaventose conseguenze di quella Bomba, gli chiese: «Lo rifarebbe oggi?». «Certo» rispose «Sono stato educato alla disciplina. Ai miei tempi se uno riceveva un ordine da chi ne aveva l'autorità, obbediva». Non capisco perchè quello che, a quel tempo, valeva per Paul Tibbets non dovesse valere anche per Erich Priebke. Perchè gli americani la guerra l'hanno vinta e i tedeschi persa?

Nel 1947 fu processato Kappler, le ferite del secondo conflitto mondiale erano molto più sanguinanti di quanto possano essere oggi, ma proprio perchè si era ancora vicinissimi alla guerra se ne conoscevano le leggi. E infatti Kappler, il diretto superiore di Priebke, non fu condannato per la rappresaglia in sè, che era ammessa e legittimata dalla Convenzione di Ginevra, ma perchè in un macabro eccesso di zelo fece fucilare cinque persone in più di quanto previsto. Quando gli Alleati occuparono la Germania, i francesi emisero bandi di rappresaglia nella proporzione di 20 a uno, i russi di 50 a uno e gli americani, sempre grandiosi, di 200 a uno. Ma poichè la Germania era rasa al suolo e non ci fu nessuna resistenza partigiana manco' l'occasione di applicarli.

Tibbets in un'altra occasione, intervistato da un giovane giornalista televisivo, disse: «Posso raccontarle quello che ho fatto, ma dubito che noi due riusciremo a comunicare. Lei è troppo giovane. Lei non puo' capire». Non si puo' capire in tempo di pace cio' che è avvenuto in tempo di guerra. Perchè sono due dimensioni incommensurabili, in cui vigono regole completamente diverse. Cio' che è lecito in guerra, uccidere, è assolutamente proibito in pace. Per questo, in tutti i tempi e presso tutte le culture, il passaggio dalla pace alla guerra è sempre stato segnato da rigorosi riti di demarcazione. In epoca moderna dalla dichiarazione di guerra. Negli ultimi decenni queste sane abitudini si sono perse. Oggi la guerra si fa, con cattiva coscienza e percio' non la si dichiara. Si preferisce chiamarla 'missione di pace', 'operazione di peacekeeping', 'intervento umanitario'. Con cio' ingenerando non solo una grande confusione ma spazzando via quel poco di 'ius belli' che aveva sempre regolato le guerre (per esempio nel trattamento dei prigioneri di cui, non essendoci più una guerra dichiarata, si puo' fare carne di porco, vedi Guantanamo). Quando parliamo di crimini commessi durante l'ultima guerra mondiale (che naturalmente ci furono come dimostra la sacrosanta condanna di Kappler o la strage di Cefalonia dove i tedeschi uccisero i soldati italiani loro prigionieri) dobbiamo fare lo sforzo di riferirci al contesto in cui avvennero. Se Priebke si fosse rifiutato di obbedire a Kappler sarebbe stato un eroe. Ma non era Salvo D'Acquisto, non era un eroe. Era un uomo dallo spessore intellettuale e morale di un domestico che vestiva un'uniforme da soldato. E vorrei proprio vedere fra coloro, giornalisti, opinionisti, conduttori televisivi, che oggi fanno tanto i muscolari e le 'anime belle' chi, nel 1944, avrebbe osato resistere a un ordine che veniva direttamente da Adolf Hitler.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2013

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Come se non bastassero i reati liberticidi contemplati nella legge Mancino (istigazione all'odio razziale, antisemitismo, xenofobia) cui si è aggiunto di recente l'omofobia, adesso la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all'unanimità una nuova fattispecie di reato, il negazionismo, per cui si punisce con la reclusione da uno a sette anni chi «nega l'esistenza di crimini di genocidio o contro l'umanità». Ma prima di entrare nel merito di questo reato di nuovo conio, che ha nel mirino soprattutto se non esclusivamente i negazionisti dell'Olocausto, è bene chiarire che cosa si intende per istigazione. Se io dico «Gli ebrei che vivono a Venezia devono essere uccisi» è istigazione a delinquere perchè incito, sia pur genericamente, a commettere un reato, l'omicidio. Ma questo vale per tutti i reati contemplati dal Codice penale (art.115 c.p.). Ma se io dico «Odio tutti gli ebrei che vivono a Venezia» dico una cosa stupida ma non istigo nessuno a commettere un reato a meno che non si consideri tale l'odio in sè e per sè come fa la legge Mancino. Ma l'odio, come la gelosia o l'ira, è un sentimento e nessun regime, nemmeno il più totalitario, aveva mai tentato, prima degli attuali regimi che si dicono liberali, di mettere le manette ai sentimenti. Ecco perchè considero la legge Mancino ultraliberticida, perchè manda al gabbio non solo le idee che non piacciono alla 'communis opinio' ma anche ai sentimenti.

Col reato di negazionismo ci si spinge ancora un po' più in là. Come osserva il magistrato penale Mauro Morra in una mail che mi ha gentilmente inviato: «Non si sanziona più solo l'istigazione o l'apologia di delitti contro l'umanità, ma anche il semplice fatto di negarne l'esistenza». Un puro reato di opinione se mai ne n'è stato uno. Il che ha l'ulteriore conseguenza di impedire la ricerca. In Austria, dove questo reato esiste già, è stato condannato alla reclusione per tre anni (ne ha scontato poi circa la metà) lo storico inglese David Irving che in base a delle sue ricerche, pubblicate nel libro La guerra di Hitler, non nega l'Olocausto ma ne ridimensiona l'entità. Peraltro ha pochissimo significato se gli ebrei finiti nelle camere a gas siano stati, per ipotesi, quattro milioni invece di sei, perchè non è una questione di quantità ma di qualità, cioè il crimine e l'orrore stanno nel motivo per cui furono internati e uccisi: per il solo fatto di essere ebrei. E' questa la specificità dell'Olocausto, il motivo che lo differenzia dagli altri 50 milioni di morti della seconda guerra mondiale. Ma se uno storico vuole fare ricerche in tal senso ha il pieno diritto di farlo, assumendosene la responsabilità che è morale ma non puo' essere penale, a meno che, senza voler fare paragoni blasfemi ma solo per intendere meglio i principi che sono in gioco e le conseguenze della loro violazione, non si voglia tornare all'epoca di Galileo e del cardinale Bellarmino.

Infine il reato di negazionismo sarebbe controproducente rispetto ai suoi fini.] Perchè come ogni proibizionismo ecciterebbe la trasgressione, soprattutto nelle menti giovanili. Come ci insegna la Storia, anche recente, e come sa chiunque abbia, o abbia avuto, figli adolescenti.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 25 ottobre 2013

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Cio' che impressiona nella vicenda Priebke (ma non solo in quella, penso per esempio alla legge recentemente votata dal Parlamento ungherese che vieta ai clochard di dormire di notte per strada, cosa che non si era vista mai, nemmeno nei 'secoli bui', anzi tantomeno nei 'secoli bui') è la progressiva scomparsa di qualsiasi forma di pietas nel cosiddetto mondo civilizzato, nella 'cultura superiore', insomma nell'Occidente inteso in senso lato. Quando parlo di pietas non intendo la 'misericordia' che Papa Bergoglio ha sempre in bocca, perchè in materia di onoranze funebri la Chiesa cattolica non è stata mai, e non è, misericordiosa. Il diritto canonico attualmente vigente le vieta per «apostati, eretici, scismatici, per chi ha scelto la cremazione per ragioni contrarie alla fede cristiana, per i peccatori manifesti il cui funerale darebbe pubblico scandalo». Le vieta tuttora, almeno formalmente, ai suicidi che pur sono persone che, per arrivare ad un atto cosi' estremo, devono aver sofferto parecchio («Perchè dei suicidi non hanno pietà» canta Fabrizio De Andrè nel brano in ricordo di Tenco). Nel Medioevo i suicidi potevano essere sepolti solo in terra 'sconsacrata'. Cio' di cui parlo qui è la pietas intesa in senso latino, virgiliano. A Nerone, l'imperatore 'maledetto' condannato alla 'damnatio memoriae', nessuno si sogno' di negare i funerali che furono pagati, con duecentomila sesterzi, dalle sue nutrici Egloge e Alessandra. Nessuno si sogno' di negagli una tomba. E per trent'anni e più il popolino di Roma, che amava questo imperatore che lo aveva difeso contro gli aristocratici latifondisti e fannulloni, continuo', indisturbato, a portare fiori su quella tomba. A tutt'oggi esiste in Roma un luogo chiamato 'Tomba di Nerone', anche se il tumulo e i resti mortali dell'imperatore non ci sono più, inghiottiti dal tempo. Catilina era 'il pericolo pubblico numero uno' per lo Stato romano. Ma dopo che fu sconfitto in un'epica battaglia (3000 catilinari contro 18 mila soldati 'regolari') il suo corpo fu restituito agli anziani genitori. Quello di Bin Laden è stato scaraventato in mare, come un sacco di patate, dagli americani.

La vicenda Priebke non interroga quindi la Chiesa ma lo Stato italiano e la sua società. Un paese civile non rifiuta funerali e una dignitosa sepoltura a nessuno, foss'anche il peggiore dei criminali. In un Paese civile non si dovrebbe assistere a un'oscena gazzarra, con sputi, calci, urla, contro un feretro, come è accaduto l'altro giorno ad Albano Laziale, cosa, anche questa, mai vista, se si ecettua, forse, lo scempio di Piazzale Loreto, ma allora, almeno, si era ancora vicinissimi alla guerra. Sono scene che si commentano da sole. «Cosi' ci mettiamo sullo stesso piano dei nazisti» ha commentato, intervistato dal Tg di Sky, un tranquillo cittadino romano, sulla quarantina, che non aveva affatto l'aria del naziskin. Quando in agosto centinaia di ebrei romani strinsero d'assedio l'abitazione di Priebke per impedirgli di festeggiare il suo centesimo compleanno concludevo cosi' il mio intervento sul Gazzettino (3/8): «A me questo accanimento, a 70 anni di distanza dai fatti, contro gli ectoplasmi del nazismo, queste larve oggi totalmente inermi, fa venire i brividi. Mi sembra di cogliervi lo stesso spirito di rappresaglia e di vendetta per cui abbiamo giustamente condannato i nazisti. E a questo punto mi chiedo chi siano, oggi, i veri 'nostalgici dell'odio'».

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2013