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Renzi ha fatto un solo errore quando è andato a Erbil a mostrare i muscoli e fare il ganassa com’è nel suo stile. Poi ha scelto un profilo basso e ha fatto benissimo. Non è nel nostro interesse seguire l’avventurismo dei francesi che ci è già costato in Libia, non in termini di vite umane ma perché ha aperto la via a una migrazione senza controllo che si rovescia sulle nostre coste. Per la verità anche Berlusconi era allora contrario all’attacco in Libia ma poi si accodò. Anche la Merkel è molto prudente, manda i Tornado ma solo per ricognizione. Non vedo perché noi dovremmo fare diversamente. Finora noi italiani non siamo stati toccati dal terrorismo Isis perché, a differenza di americani e francesi, non siamo andati a intrometterci in una guerra che non riguardava gli occidentali ma era un regolamento di conti tra una parte dei sunniti e una parte degli sciiti. Dice: e la solidarietà europea? Questa solidarietà ci potrà essere, anche con intervento armato, solo quando l’intera Ue avrà preso una decisione univoca. E non perché un singolo Paese come la Francia, ammalato da sempre di una ridicola grandeur, è all’attacco un po’ dappertutto, dall’Iraq alla Siria al Mali. Un premier ha il diritto e il dovere di non mettere in pericolo la vita dei suoi cittadini quando, com’è almeno per ora, non ce n’è alcun bisogno.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2015

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Una volta c’era solo l’innocente Prova del cuoco, con un’ironica e autoironica Antonella Clerici che aveva l’aria di non crederci troppo. Adesso i programmi di tipo gastronomico che passano sulle Reti italiane sono una trentina o forse più. C’è naturalmente Masterchef (e anche un Masterchef per bambini) che viene presentato, nei toni e nei contenuti, più che come un onesto mangiare come una sorta di sfida all’O.K Corral. Segue una sfilza di altri programmi tratti spesso da format americani o riproposti paro paro: Ale contro tutti, Alice Master Pizza, Anthony Bourdain: Viaggio di un cuoco, Bake Off Italia-Dolci in forno, Il boss delle cerimonie, Il boss delle torte, Il boss delle torte: la sfida, Capotavola, Casa Alice, Che diavolo di pasticceria, La Chef e la Boss, Cucina con Ale, Cucina con Buddy, Cucina con Ramsay, Cucina esplosiva, Cucine da incubo, Cuochi e fiamme, Dolci dopo il tiggì, Fast and Food, Finger Food Factory, Fuori di gusto, Fuori menù, Gordon Ramsay- Cose dell’altro mondo, Gordon Ramsay’s F World, Gordon Ramsay: diavolo di uno chef, Gourmet Trains: Viaggi del gusto, Grassi contro magri, Hell’s Kitchen, Hollyfood- L’appetito vien guardando, I menù di Benedetta, Il club delle cuoche, Il contadino cerca moglie, Il re del cioccolato, Junk Good, L’ost, La bottega dei Cupcake, Molto Bene, La notte degli chef, Orrori da gustare, Party Planners, Passa il piatto, Ramsay’s Best Restaurant, Ricette a colori, Ti ci porto io, Torta di matrimonio cercasi, Torte da record, Tutto in 24 ore. Già a questo punto a una persona normale verrebbe da vomitare (infatti vomita anche se in modo più sofisticato dei crapuloni dell’Antica Roma che si mettevano due dita in bocca per poter ricominciare). Alla Fiera del libro di Francoforte di quest’anno è stata creata per la prima volta una sezione dedicata al cibo, la Gourmet gallery con 80 espositori provenienti da 30 paesi ed è stato inventato una sorta di Nobel del libro gastronomico vinto da 500 anni di fusion di Gastòn Acurio.

Il food è uno dei settori trainanti dell’economia. Non c’è città europea che non sia zeppa di ristoranti e ristorantini esotici.

Questa bulimia va di pari passo con un’altra delle ossessioni del nostro mondo quella delle diete, accompagnate, per chi se lo può permettere, dal personal trainer con cui tenersi in forma. I due fenomeni sono solo apparentemente in contraddizione, ma in realtà la loro combinazione è una perfetta metafora del nostro modello di sviluppo. Noi dobbiamo ingurgitare, cioè consumare, il più possibile, ma anche espellerlo il più rapidamente possibile. E’ la Crescita, bellezza. Ciò che cresce deve essere rapidamente distrutto per poter ricominciare. Se così non fosse salterebbe tutto il meccanismo su cui si sostiene la nostra società. Questo a livello di sistema. Individualmente è la stessa cosa: dobbiamo accaparrarci costantemente di nuovi gadget, nuovi I-Phone, nuove auto con varianti irrilevanti, nuovi vestiti, nuove scarpe, eccetera, eccetera. L’eterno dilemma se è nato prima l’uovo o la gallina qui è risolto. E’ il sistema, che ne ha estremo bisogno per non collassare, che ci convince, attraverso la pubblicità, vero motore di tutto l’ambaradan, a consumare non perché in realtà ci dia un vero piacere ma perché si possa continuare a produrre. Insomma l’uomo, ridotto a consumatore, è il lavandino, il water attraverso cui deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo.

Naturalmente questa bulimia omnicomprensiva ha anche la funzione di riempire il vuoto di valori che si è creato nella nostra società e che ci rende così vulnerabili difronte a culture e a mondi più spartani. Non si tratta di nutrirsi di muschi e licheni come gli asceti e gli eremiti (anche se adesso ci vogliono gabellare i pipistrelli e i vermi come il non plus ultra della sofisticatezza alimentare) o di meditare solitari seduti su una colonna come gli stiliti, ma di ritrovare un onesto equilibrio nel nostro rapporto con il cibo e con tutto il resto. E io ho una grande nostalgia di quando con qualche amico si mettevano le gambe sotto il tavolaccio di una trattoria, con pane, salame e un buon bicchiere di rosso senza farsi le seghe mentali dei niente affatto innocenti cuochi alla moda.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2015

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E’ la solita storia. Della complessa vicenda del Mali, a lungo ignorata, i giornali occidentali raccontano solo l’ultima parte e cioè, in sostanza, l’attacco all’hotel Radisson di Bamako, formalmente la capitale del Paese. Ma si ignorano, o si fa finta di ignorare, i precedenti. Il Mali del nord in gran parte desertico è abitato prevalentemente dai Tuareg, antico popolo nomade sostanzialmente laico o che di islamico ha solo un’infarinatura. Tanto per fare un esempio le donne possono divorziare e dal momento che le tende sono di loro proprietà, l’ex marito si ritrova senza un tetto e deve cercare ospitalità presso parenti di sesso femminile (madri, sorelle). A partire dal 2008 i Tuareg vengono massacrati da squadre di miliziani legati al governo di Bamako, sostanzialmente sotto la protezione, chiamiamola così, di quello della Francia ex potenza coloniale dell’area. Inizia una guerra civile fra il Nord e il Sud del Mali, che contrappone i Tuareg, gli animisti ed elementi islamisti a cui i Tuareg si sono nel frattempo legati per far fronte comune contro il Sud. E’ una guerra interna. L’Isis non centra nulla. Siamo nel 2008 e il Califfato è di là da venire. E’ una guerra di indipendenza ma quando nel 2013 i ribelli stanno per prendere la capitale Bamako intervengono i francesi con l’operazione chiamata Serval (formalmente la Francia è chiamata ad intervenire dal governo fantoccio di Bamako, cosa che ricorda molto da vicino gli interventi sovietici nell’Ungheria in rivolta del 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968, interventi ‘invocati’ dai governi di Budapest e di Praga). La superiorità militare garantita dai francesi al governo di Bamako respinge i Tuareg e i loro alleati che sono costretti a ritirarsi verso gli estremi confini nord del Paese. Nel frattempo però è nato l’Isis e molti dei ribelli maliani, anche se non tutti (ci sono profonde divisioni all’interno su questa questione) cominciano a vederlo come punto di riferimento. Ed ecco come una guerra locale, in cui gli occidentali (accanto ai francesi ci sono naturalmente anche gli americani) non avrebbero dovuto metter becco lasciando che fosse il verdetto del campo di battaglia a decidere, finisce per inserirsi nella guerra globale fra Occidente e radicalismo islamico.

La guerra ha una sua ecologia e andarci a ficcare il dito dall’esterno produce sempre effetti controproducenti e paradossi che si ritorcono regolarmente contro di noi. Come abbiamo visto di recente in Somalia. Siamo intervenuti contro gli shebab che avevano sconfitto i ‘signori della guerra’ locali e riportato l’ordine e l’unità nel Paese (una situazione che ricorda molto quella afgana). E così gli shebab si sono legati all’Isis. Come abbiamo visto in Libia. Come abbiamo visto in Egitto dove il colpo di Stato del generale tagliagole Al Sisi ha fatto fuori, con la nostra complicità (oggi è considerato un prezioso alleato) i Fratelli Musulmani che avevano vinto le prime elezioni libere di quel Paese. Risultato: migliaia di Fratelli sono accorsi in Iraq e in Siria a combattere col Califfato, mentre in Egitto appoggiano l’Isis che nel frattempo è arrivato anche lì.

Quando lo capiremo che dobbiamo smetterla di pretendere di dominare il mondo intero in nome dei nostri interessi, o peggio ancora dei nostri ideali? Perché continuando di questo passo finirà che sarà il mondo ‘altro da noi’, indotto alla violenza estrema dalla nostra prepotenza, a dominar noi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2015