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Nella sua Stanza intitolata per l’occasione  “Ormai per gli anziani nessuno si indigna” (Il Giornale 28-11) Vittorio Feltri scrive: “fino a qualche decennio fa gli anziani erano, all’interno delle famiglie e nella comunità in generale, più rispettati”. Tutto vero. Quando eravamo giovani Feltri ed io le famiglie erano allargate perché si facevano allora almeno quattro o cinque figli (se si risale anche di poco più indietro i figli potevano essere anche dieci o undici), gli spazi degli appartamenti erano sufficientemente ampi per ospitare anche i nonni che potevano così essere accuditi dai figli e dai nipoti. Era insomma risparmiata loro la solitudine, che è una delle tragedie dell’anziano di oggi (la solitudine, secondo le statistiche, uccide più del fumo).

Ma a Feltri sembra sfuggire quello che è il più grave problema dell’anziano di oggi, più grave della solitudine: la perdita di ruolo. Nel medioevo europeo, società prevalentemente agricola, il capo famiglia lasciava gradualmente i lavori più faticosi ai figli e ai nipoti ma gli rimaneva la conoscenza, cioè sapeva per esperienza le cose che i più giovani ignoravano. Quindi conservava un ruolo e la sua vita un senso.

Oggi la situazione si è capovolta: sono i giovani a detenere il sapere, soprattutto nei settori più importanti, quelli tecnologici e digitali. Con la velocità cui stanno andando le trasformazioni tecnologiche e digitali, oggi si può essere obsoleti già a quarant’anni.  Scrive lo storico Carlo Maria Cipolla nella sua Storia economica dell'Europa pre-industriale: “nella società agricola il vecchio è il saggio, in quella industriale un relitto”.

L’invecchiamento del mondo occidentale nel suo complesso (in Italia il tasso di natalità è dell’ 1,2, per avere un pareggio demografico bisognerebbe superare di qualcosa il 2, siamo il paese più vecchio del mondo avendo superato in questa poco gloriosa classifica anche il Giappone) pone dei problemi sociali ed esistenziali che non riguardano direttamente l’anziano in quanto tale ma la società in cui vive.

C’è innanzitutto, con tutta evidenza, il problema economico. Già oggi un manipolo di giovani deve mantenere legioni di anziani. Se aspirano alla pensione, ammesso che si abbia questa sinistra aspettativa, devono togliersela dalla testa, non l’avranno.

Il marketing dopo aver creato nel Sessantotto e dintorni l’apologia dei giovani, perché dopo il boom erano diventati dei forti consumatori con i soldi risparmiati dai padri (tutto il meccanismo si regge sul “produci, consuma, crepa” come cantano i CCCP) scoprì che anche i vecchi potevano diventare un mercato interessante, per quanto consumatori molto deboli, perché stavano diventando sempre più numerosi. Quindi ci fu l’altra faccia della truffa, dopo aver ingannato i giovani sul loro futuro si ingannarono i vecchi con l’ipocrita brocardo: “vecchio è bello!”, per cui il vecchio era costretto a scopare, col cialis, anche se non ne aveva più alcuna voglia, a sgambettare impudicamente nei dancing, a immergersi in musiche che non lo riguardavano affatto, eccetera. Altrimenti era un “tagliato fuori”.

C’è poi una questione esistenziale. I vecchi detestano frequentare i vecchi perché in essi si riflettono. Lo psicanalista Cesare Musatti, l’ho ricordato altre volte ma è bene ribadirlo, superati abbondantemente i novant’anni, e quindi al di sopra di ogni sospetto, disse: “una società popolata in maggioranza da vecchi mi farebbe orrore”.

C’è poi il problema di tutti i problemi, che li racchiude tutti. Il tasso di natalità dei popoli mediorientali è del 2,5, nei neri subsahariani va oltre il 5 . Nonostante le condizioni miserande, a nostro dire, di questa gente, costoro continuano a figliare (quante donne incinte vediamo fra i migranti che cercano di approdare a quello che, per interessi economici e propaganda televisiva, gli è stato spacciato come il “sol dell’avvenire”?). Lo ha cantato bene quello straordinario menestrello che è Ivano Fossati in Pane e coraggio: “Proprio sul filo della frontiera, il commissario ci fa fermare/ Su quella barca troppo piena, non ci potrà più rimandare/ Su quella barca troppo piena, non ci possiamo ritornare”. Quindi è assolutamente inutile che noi si cerchi di estirpare Hamas o l’Isis e tutti gli Isis del mondo perché questi continueranno a figliare e noi no. E alla fine, per una questione fisica, ci sommergeranno.

 

Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2023

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Umiliare i vinti sembra una specialità degli occidentali o comunque di coloro che si riconoscono in questa cultura. L’altro giorno a Beit Lahia una quarantina di guerriglieri di Hamas che si erano arresi sono stati prima fatti inginocchiare e poi stesi al suolo nudi e bendati. Non è una novità.

 Agli inizi della guerra contro l’Iraq nella prigione di Abu Ghraib le televisioni di tutto il mondo (adesso si è diventati più cauti su queste scene, anzi si cerca di sorvolare) filmarono un prigioniero iracheno, a quattro zampe, nudo, con una soldatessa americana a cavalcioni, filmarono anche l’oscena piramide con cui gli americani costrinsero i prigionieri, sempre regolarmente nudi, a formarla arrampicandosi l’uno sull’altro.

Nel 2001 dopo l’aggressione occidentale all’Afghanistan i guerriglieri talebani, prigionieri, dopo essere stati esposti alle televisioni scatenate di tutto il mondo imploravano i loro custodi :  “piuttosto uccideteci, ma non umiliateci”. E i loro custodi, che erano pur sempre degli afghani, cercavano di incoraggiarli: “dai, si tratta solo di due minuti poi te ne torni in prigione” (si sa che nella cultura afghano-talebana è proibito raffigurare la persona umana, del Mullah Omar esiste una sola fotografia). In seguito i prigionieri furono sedati e muniti di ridicoli pannoloni per affrontare la traversata. Arrivati a Guantanamo furono messi in gabbie all’aperto  illuminate dai riflettori ventiquattr’ore su ventiquattro, perciò dovevano “fare i loro bisogni” come si dice pudicamente, cioè cacare e pisciare davanti a tutti. Se c’era bisogno di spostarli li si metteva su una carriola per renderli ancora più ridicoli.

Questa storia delle gabbie è un’ossessione yankee. Dopo la guerra  il grande poeta Ezra Pound, che era stato mallevadore di tanti letterati americani, ma che era colpevole di essere rimasto in Italia durante il Fascismo fu messo, a Tombolo,  in una gabbia illuminata giorno e notte. La cosa umiliò a tal punto il grande Ezra che, ritiratosi in seguito a Rapallo, si calò in un mutismo assoluto che tenne per dieci anni.

Al processo di Norimberga i gerarchi nazisti dovevano indossare in aula pantaloni senza cintura e senza elastico per cui quando deponevano dovevano tenersi su le braghe risultando così grotteschi.

Quando fu catturato Osama Bin Laden si scrisse che si era protetto dietro una delle sue mogli. Fake naturalmente, ma parve invece normale che catturato “il nemico pubblico numero uno” lo si gettasse sbrigativamente in mare. In realtà si volevano nascondere i tanti segreti che Bin Laden portava con se, compreso l’ambiguo ruolo  che aveva avuto nei primi anni dell’occupazione occidentale e che avrebbe potuto svelare i veri motivi dell’attacco alle torri gemelle. Quando fu preso Al-Baghdadi i giornali scrissero che al momento della cattura si era messo a piangere. Fake naturalmente.

Questo sadismo, basato sull’umiliazione è estraneo a culture diverse dalle nostre. Possono compiere atti efferati, feroci, come l’aggressione di Hamas il 7 ottobre ha ampiamente dimostrato, ma non conoscono e non praticano il sadismo dell’umiliazione.

Si può uccidere, in guerra, un uomo, ma non umiliarlo. L’umiliazione è più grave dell’omicidio perché una persona, uomo o donna che sia, se la porta dietro per tutta la vita.

Il sadico è un vigliacco. Intendo il sadico non nel senso visionario e quasi poetico  di Lautréamont, ma il sadismo brutale e volgare alla De Sade. Scrive lo stesso De Sade che uno dei peggiori carnefici delle “ 120 giornate” “si sarebbe spaventato davanti a un bambino un  po’ deciso”.

Il nucleo forte dell’umiliazione è il ridicolo perché una persona di cui tutti possono ridere non è più nemmeno una persona, non è più nulla.

Tutti i nostri nemici sono diventati dei terroristi, si tratti di Hamas o di Putin o dei Talebani (anche se ultimamente sui Talebani la visione è un po’ cambiata). Quindi sono cadute tutte le leggi di guerra che per “i terroristi” non valgono. Non c’è più il fair-play che pure è esistito sino alla fine della seconda guerra mondiale. Al nemico si concedeva spesso, se si era battuto valorosamente, “l’onore delle armi” e c’era una differenza etica fra il fucilarlo con il volto davanti al plotone di esecuzione o fucilarlo alla schiena.

Dal punto di vista etico la vittoria nella seconda guerra mondiale non ci ha fatto bene, soprattutto agli americani. Quando ci fu lo sconcio di piazzale Loreto con i corpi di Mussolini, degli altri gerarchi e della Petacci appesi per i piedi (alla Petacci fu però legata la gonna perché non si vedessero le pudenda, ipocrisia tipicamente cattolica e italiana) il comandante americano della piazza intimò ai capi dell’insurrezione: “togliete subito quei corpi, noi americani abbiamo un luogo apposito che si chiama obitorio”. E Sandro Pertini esclamò: “l’insurrezione si è disonorata”. Poi posti i corpi a terra, per non farsi mancar nulla, le donne pisciarono sui cadaveri.

Oggi tutto è cambiato da quei tempi in cui esistevano ancora delle regole. Anche nel privato. Perché si violentano delle ragazze in gruppo e si trasmettono poi i filmati sui social agli amichetti? L’obiettivo non è tanto avere un rapporto sessuale, per quanto efferato e distorto, oggi che col permissivismo non dovrebbero esserci problemi nei rapporti tra i ragazzi e le ragazze? Perché l’obiettivo vero è umiliarla, farle pagare non si sa quale colpa ancestrale, quindi ridicolizzarla e renderla, appunto, una “non persona”.

Oggi quindi il sadismo governa il mondo agli alti e ai bassi livelli. E non fa bene né ai primi né ai secondi.

 

Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2023

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“Non è stato il sonno, ma il Sogno della Ragione ad aver partorito mostri” (m.f)

Secondo il recente Rapporto Censis l’attuale generazione, quindi i giovani, è no stress, cioè “mette al primo posto il valore del tempo libero”. È una tendenza in atto da tempo e ne avevamo dato conto in un pezzo dedicato al Luddite Club, un gruppo di giovani americani che si rifiuta testardamente di lavorare. Ma a parte questi estremismi, segni di questa tendenza erano già venuti a galla: dimissioni volontarie, il rifiuto di fare anche un solo minuto in più di straordinario, quando sono a casa non rompermi. Il Censis definisce sonnambuli questi giovani, perché indifferenti a tutto. Polito, che da quando si è messo a fare l’editorialista non capisce più nulla, afferma che i giovani non hanno poi di che lamentarsi: “L’Italia di oggi non è mai stata più sana, mai così occupata, mai più libera” (Corriere della Sera, 3/12/23). Polito non capisce che le esigenze dei giovani di oggi, e non solo dei giovani, per quanto questo possa apparir strano, non sono economiche ma esistenziali. Manca il sogno, la possibilità di poter sognare qualcosa. Mancano ideali. La generazione del Sessantotto, per quanto cogliona perché cavalcava un’ideologia, il marxismo-leninismo, che sarebbe morta di lì a vent’anni con il collasso dell’Urss, questi ideali, almeno nei suoi esponenti migliori, quindi per fare un esempio Mario Capanna e non i Paolo Mieli che stavano in quell’accozzaglia in attesa di incistarsi nel sistema con un atteggiamento rapinatorio peggiore di quello dei “padroni delle ferriere”, ce li avevano. Pensavano seriamente di poter cambiare il mondo. E poiché il mondo non è cambiato affatto, ma anzi è peggiorato in tutti i settori, si possono capire i “giovani sonnambuli” di oggi.

In alcuni Paesi europei, Germania, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera, ci si è accorti di questa inversione di tendenza nel rapporto fra lavoro e “tempo liberato”, che non è il famigerato “tempo libero” che è ancora un tempo di consumo, ma un tempo da dedicare a se stessi, alla qualità della vita, alla riflessione. Del resto Papa Wojtyla aveva ammonito che almeno la domenica fosse dedicata al “riposo operoso” (per altro ci sarà pure una ragione se anche Domineddio “il settimo giorno si riposò”). Nei Paesi di cui abbiamo detto hanno capito l’antifona e si lavora solo quattro giorni alla settimana, dal lunedì al giovedì, non perché siano particolarmente filantropi ma hanno constatato che se si è riposati si produce meglio e di più (tutto in questo mondo gira intorno all’economia).

Se non c’è più nulla da sognare che cosa resta a un giovane? Può accontentarsi di ciò che ha senza distruggersi inseguendo, lavorando come una bestia, il sogno americano “dall’ago al milione” (“il lavoro nobilita l’uomo ma lo rende simile alla bestia”). Può rifugiarsi nei sentimenti, che sfuggono alle leggi dell’economia (amore quindi e non odio che può dirigersi solo verso qualcosa che si disprezza, e i “giovani sonnambuli” come non hanno nulla da apprezzare, non hanno nemmeno nulla da disprezzare).  Del resto è Camus ad affermare che “anche un giovane povero può crescere felice col sole e il mare”. E chi non ha nemmeno il mare, dove si consumano gli amori più intensi? È fottuto.

Il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2023