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Fra le tante email che mi sono arrivate a proposito del necrologio negato dal Corriere al Mullah Omar c’è quella di un lettore, Ettore Fumagalli, che, senza entrare nel merito di quel necrologio, che comunque non condivide, mi chiede se mi sono convertito alla religione islamica (“Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”). Se non sono insomma una specie di Magdi Cristiano Allam al contrario.

Se c’è qualcosa che è lontanissima dal mio modo di vedere il mondo è la cupa religione islamica, come mi sono estranei, anzi odiosi, tutti i monoteismi, da quello della Chiesa fondata da Paolo (Cristo è un’altra cosa, è un simpatico e affascinante borderline, uno che delira, che crede veramente di essere figlio di Dio ma che sulla Croce dubita, umanamente dubita, “Padre, padre, perché mi hai abbandonato?”, in quello che, per me, è il più commovente verso del Vangelo) all’ebraismo pur essendo io di madre ebrea e quindi tecnicamente, secondo le leggi razziali di quella comunità, che io rifiuto, un ebreo. Semmai mi sento più vicino, ma solo culturalmente, all’animismo dei neri che hanno una visione magica e spirituale dell’esistenza e della Natura, o meglio la avevano finché è esistita un’Africa Nera, prima che fosse penetrata dall’islamismo, dai pii missionari a seguito dei colonizzatori europei e infine distrutta, non solo culturalmente, ma socialmente ed economicamente dal modello di sviluppo occidentale (sui barconi dei disperati viaggiano anche ghanesi, ivoriani, senegalesi, cioè gente di Paesi dove non c’è nessuna guerra, ma solo la fame).

Nel Mullah Omar e nei suoi Talebani io non difendo la loro ideologia, difendo il diritto elementare di un popolo, o di parte di esso, ad opporsi all’occupazione dello straniero, comunque motivata. Se neghiamo agli afghani questo diritto allora dobbiamo buttare nel cesso la nostra Resistenza, su cui abbiamo fatto tanta retorica, che durò solo un anno e mezzo ed ebbe il supporto degli Alleati, mentre in Afghanistan va avanti da quattordici anni senza l’aiuto di nessuno (se ci fosse stato, come si è spesso favoleggiato, quello dell’Isi pakistano, almeno un missile terra-aria ai guerriglieri afghani sarebbe arrivato, invece son soli contro tutti, Nato, russi e Iran compreso).

A me pare che nel civilissimo Occidente sia venuta meno ogni forma di ‘pietas’ o di misericordia come direbbe Papa Bergoglio (che Domineiddio l’abbia sempre in gloria). Persino i terribili, esecrabili ed esecratissimi Talebani, dopo aver giustiziato, per ordine di Omar, Naisbullah responsabile di essere stato il Quisling dei sovietici a Kabul, ne riconsegnarono il corpo alla famiglia perché potesse avere un’onorata sepoltura. L’ordine era del Mullah ma Abdul Razak, il comandante talebano entrato a Kabul, lo eseguì a modo suo. E  le modalità furono atroci. Razak prese con sé tre soli uomini (segno che si sentiva sicuro dell’appoggio della popolazione) si recò nel compound dell’Onu dove Naisbullah si era rifugiato col fratello, lo evirò e lo finì con un colpo di pistola. La stessa sorte toccò al fratello. I due corpi, straziati, furono poi appesi ad una garitta, come monito. Ma queste modalità furono un’iniziativa di Razak, disapprovata da Omar che non era un uomo che amava le atrocità gratuite e tantomeno le umiliazioni (il giorno dopo concederà a tutti l’amnistia) come confesserà lo stesso Razak due anni dopo in un’intervista concessa a Kan Behraoz, Taliban commander admits ordering Naish killing, in News 16/2/1998.

Catilina era per lo Stato romano l’equivalente di un Bin Laden di quei tempi, ma il suo corpo, dopo la morte in battaglia, fu restituito agli anziani genitori. E anche a Nerone, pur costretto al suicidio e condannato alla damnatio memoria, non fu negata una tomba. Sulla quale il popolino di Roma, che aveva sempre amato questo imperatore che aveva preso le sue difese contro i senatori latifondisti e fancazzisti, continuò per trent’anni a portare fiori.

Oggi vedo che i civilissimi occidentali gettano in mare il cadavere del nemico senza tante cerimonie o sputano sulla bara di un nazista centenario e ne occultano la sepoltura.

Su Repubblica del 2/8 ho letto due begli articoli di Alberto Manguel ed Emiliano Morreale sulla ‘guerra senza epica e la fine dell’eroe Rambo’. Questo è verissimo per noi occidentali che non combattiamo più con gli uomini ma con le macchine ed è difficile fare di un drone un eroe. Non per i nostri nemici. Tantomeno per il Mullah Omar. Che non ci ha semplicemente messo la faccia (questo è capace di farlo anche Renzi, tanto può sempre rifarsela), ci ha messo il suo corpo, ci ha rimesso un occhio, è stato ferito gravemente quattro volte, ci ha messo il suo coraggio, fisico e morale, la sua tenacia, la sua dignità. (Sia detto di passata: all’inizio il Mullah Omar non era un antioccidentale era semplicemente un a-occidentale, non voleva cioè che i nostri costumi e valori che non condivideva entrassero nel suo Paese e lo travolgessero, come è poi puntualmente avvenuto). Quindi in quella che viene chiamata la ‘guerra asimmetrica’ l’eroe, piaccia o no, è lui. Per questo, nemico che fosse, ho dedicato un necrologio alla sua memoria. “Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 6 agosto 2015

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L’altro ieri ho telefonato all’Ufficio necrologi del Corriere della Sera. “Qual è il nome del defunto?” mi ha chiesto la gentilissima signorina. “Mullah Omar”. “Lei è un parente?”. “No”. “Pensa che ci saranno altri necrologi per questo defunto? Perché, sa, noi dobbiamo accorparli”. “Credo proprio di no”. “Ma mullah non è un nome e il Corriere ha come regola di mettere nome e cognome del defunto”. “Non è proprio così- ho risposto- molte volte ho visto solo dei Gigi, dei Pigi, dei Lallo. Comunque non ha importanza, si chiamava Mohammed. Quindi mettiamo Mohammed Omar, va bene?”. “Sì. Ma ho un intoppo nel computer. Potrei richiamarla fra dieci minuti?”. “Senz’altro”. Dopo dieci minuti l’impiegata sempre molto gentile, collaborativa e pure simpatica (mi aveva trovato anche il codice fiscale che non ricordo mai) mi ha richiamato. “Ma lei è uno del mestiere”. “Più che altro un ex. Sono in pensione da anni”. “Dalle fotografie non si direbbe. Sembra molto più giovane”. “Grazie. Purtroppo gli anni ci sono. Possiamo andare?”. Ho dettato quindi il necrologio che recitava così:


“Massimo Fini rende onore al Mullah

Mohammed Omar

combattente, giovanissimo, contro gli invasori sovietici, perdendo un occhio in battaglia, combattente, vittorioso, contro i criminali ‘signori della guerra’ che avevano fatto dell’Afghanistan terra di abusi, di soprusi, di assassinii, di stupri, di taglieggiamenti e di ogni sorta di violenze sulla povera gente, riportandovi l’ordine e la legge, sia pure una dura legge, la Sharia, peraltro non estranea, almeno nella vastissima area rurale, ai sentimenti e alle tradizioni della popolazione di quel Paese, infine leader indiscusso per quattordici anni della resistenza contro gli ancora più arroganti e moralmente devastanti occupanti occidentali. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”.

Finito il testo lei mi ha detto: “Mi perdoni, per un necrologio del genere devo chiedere l’autorizzazione”. “Capisco. Mi può far sapere nel pomeriggio se la cosa è andata a buon fine?”. “Se non mi sente troverà il necrologio sul Corriere e sul corriere.it. Altrimenti la chiamo”. Verso le sei mi ha telefonato, molto imbarazzata: “Per ordini superiori il suo necrologio non può essere pubblicato. Mi spiace molto, mi scusi”. “Non si preoccupi. Non è lei che, semmai, deve scusarsi”.

E così la censura è arrivata anche sui necrologi. Credo sia la prima volta che ciò accade in una democrazia, luogo deputato della libertà di pensiero e di espressione delle proprie opinioni.

Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora.

m.f.

Il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2015

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La notizia della morte del Mullah Omar è stata data almeno una mezza dozzina di volte da quando nel 2001 il leader dei Talebani riuscì a buggerare gli americani che gli davano la caccia con quella rocambolesca fuga in moto. L’ultima l’aveva data l’Isis a gennaio che, informando della morte di Omar, aveva nominato un nuovo Emiro dell’Afghanistan, Khadim. Ma il Mullah era talmente morto che un mese dopo il sedicente Emiro Khadim e 45 dei suoi seguaci erano stati disarmati e catturati dagli uomini di Omar.

Questa volta però la notizia è più attendibile. Non tanto perché è stata data da un funzionario anonimo del governo di Kabul. Ma perché Omar si trovava in una situazione difficilissima, stretto fra il tentativo dell’Isis di penetrare in Afghanistan e l’esercito ‘regolare di Kabul’. I rapporti fra Omar e Al Baghdadi erano tesissimi. Il Califfo aveva definito Omar “demente e ignorante”. Come risposta Omar aveva mandato una lettera aperta, firmata dal suo numero due Akhtar Mohammad Mansour, in cui diceva sostanzialmente due cose: 1° Che l’Isis non aveva niente a che fare col movimento indipendentista afgano. 2° Accusava Al Baghdadi di star frammentando il mondo islamico dividendolo in varie fazioni (lettera del 16 giugno 2015). In precedenza, in concomitanza col 19° anniversario della nomina del Mullah Omar a guida suprema dell’Emirato islamico d’Afghanistan, il movimento talebano aveva diffuso un lungo documento in cui ripercorreva la lunga biografia del Mullah, esaltandone le doti e ribadendo la sua assoluta leadership sul movimento indipendentista afgano (documento del 20 marzo 2015, firmato dal portavoce storico di Omar, Oari Muhammad Yousuf). Ma questo era un segno di debolezza. Non si ha bisogno di affermare la propria leadership se la si ha in pugno. Il fatto è che molti giovani talebani sono attratti dall’Isis che con la sua ferocia ha conquistato vasti territori in Siria e Iraq, mentre il movimento di Omar, usando metodi meno bestiali, ci ha messo 14 anni a riconquistare solo la pur notevole parte rurale dell’Afghanistan (attacchi solo a obbiettivi militari e politici; nessun sequestro a fini di estorsione, ad eccezione di quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, che comunque fu poi liberato, trattamento civile dei prigionieri che, una volta liberati, hanno tutti dichiarato di essere stati trattati con rispetto – il 19 dicembre dopo l’attacco dei talebani pakistani alla scuola di Peshawar dove studiano i figli dei militari pakistani il movimento talebano afgano aveva condannato senza se e senza ma quell’eccidio: “L’Emirato islamico è scioccato da quanto avvenuto e condivide il dolore della famiglie dei bambini uccisi nell’attacco”). Inoltre all’interno del movimento c’è una divisione fra chi vuole continuare ad oltranza la guerra d’indipendenza contro l’occupazione straniera e chi vuole arrivare ad una sorta di ‘pacificazione nazionale’ attraverso il dialogo e i contatti tenuti recentemente a Oslo fra il governo di Kabul e alcuni rappresentanti degli insorti.

Se la notizia della morte del Mullah Omar è vera le domande sono due. Uno. Chi ha ucciso il Mullah Omar? L’Isis? Mi pare improbabile. L’Isis per ora ha intaccato solo marginalmente il territorio afgano ed è difficile che i suoi uomini siano riusciti là dove per 14 anni ci hanno provato inutilmente i servizi americani cercandolo per ogni dove con i loro occhiutissimi satelliti, senza trovarlo. E’ più ragionevole pensare che le ragioni di questa sua morte vadano cercate negli accordi in corso a Oslo. Se Omar era d’accordo con la pacificazione diventava impresentabile, non era accettabile per gli americani che Omar, sul quale pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari, rientrasse a Kabul se non da vincitore da semivincitore. Se non era d’accordo, come io penso, bisognava eliminarlo per indebolire i ‘duri e puri’ del movimento talebano. Quindi, per la prima volta dopo 14 anni il Mullah Omar è stato tradito da qualcuno dei suoi.

La seconda domanda è: che cosa succederà ora? La morte del Mullah Omar segna la fine dei sogni di indipendenza dell’Afghanistan. Diventerà ufficialmente un protettorato americano. Ma la notizia non è positiva per l’Occidente, perché spalanca le porte alle mire espansioniste dell’Isis che non si accontenta di prendersi, eventualmente, l’Afghanistan ma vuole allargare la sua presenza ad altre aree dell’Asia Centrale, tanto che l’Isis nell’area ha preso il nome di Khorasan, una regione storica che comprende, fra gli altri, anche Turkmenistan.

Quanto a me, io rendo onore al Mullah Omar, combattente giovanissimo contro gli invasori sovietici, dove perse un occhio in battaglia, combattente e vincitore dei criminali ‘signori della guerra’ (Massud, Ismail Khan, Heckmatyar, Dostum) che nel conflitto scoppiato fra costoro per impadronirsi del potere lasciato vacante dai sovietici, agivano nel più pieno arbitrio, assassinando, stuprando, taglieggiando, sbattendo fuori dalle case i legittimi proprietari per metterci i loro adepti. Omar, che nei suoi 6 anni di governo (1996-2001) riportò nel Paese l’ordine e la legge, sia pur una dura legge, la Sharia, ma senza mai abbandonarsi agli eccessi feroci dell’Isis. Infine per 14 anni è stato guida della rivolta contro gli ancora più arroganti e devastanti occupanti occidentali. Preso il potere il Mullah non ne approfittò mai e continuò a fare la vita spartana che aveva sempre fatto, non favorì la sua famiglia e neanche il piccolo villaggio, Singesar, che non ebbe nessun vantaggio dal fatto che uno dei suoi ‘enfant du pays’ fosse diventato il capo del Paese. Un uomo di una morale e di una coerenza assolute. E, forse, è proprio questo che, alla fine, lo ha perduto. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar.

Massimo Fini

Versione integrale dell’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 30 luglio 2015