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I Talebani afgani hanno riconquistato Kunduz. E’ un fatto di grande importanza simbolica e strategica. Kunduz fu la prima città a cadere, con l’aiuto determinante dei tagiki, nelle mani degli invasori occidentali, è cruciale nella via di transito verso il nord dell’Afghanistan ed è la prima città che i Talebani, dopo essersi rimpadroniti dell’intera area rurale del Paese, riescono a prendere. L’esercito fantoccio messo in piedi dagli Stati Uniti per sostenere il presidente altrettanto fantoccio Ashraf Ghani alle loro dirette dipendenze si è liquefatto in poche ore. Si ripete un po’ quel che è successo con l’esercito iracheno creato dagli americani per sostenere il Quisling al Maliki (60.000 uomini che si sono dati alla fuga davanti a qualche centinaio di guerriglieri Isis). Ed era ovvio che andasse così. Kabul all’epoca del Mullah Omar aveva un milione e 200.000 abitanti, oggi ne ha 5 milioni e mezzo. L’artigianato locale è stato distrutto dagli invasori, occidentali e non (i burqa vengono fabbricati industrialmente dai cinesi) e i giovani non hanno altra alternativa che arruolarsi, senza nessuna convinzione, nel cosiddetto esercito ‘regolare’ oppure di confluire nelle file talebane. E’ questa situazione che tra l’altro spiega il fenomeno del tutto nuovo delle migrazioni afgane verso l’Europa.

In un comunicato il mullah Akhtar Mohammad Mansour, che ha assunto la leadership del movimento indipendentista talebano dopo la morte di Omar, ha invitato gli abitanti a “condurre la loro vita normalmente in assoluta sicurezza. I commercianti, i lavoratori, gli staff degli ospedali, il comune e gli enti governativi devono continuare a fare la propria vita senza paura. I mujaheddin non pensano a rappresaglie, ma sono venuti con un messaggio di pace”. Ha ordinato ai mujaheddin di “concentrare l’attenzione sulla tutela delle vite, delle proprietà e dell’onore dei cittadini di Kunduz. L’Emirato Islamico non ha alcuna intenzione di colpire le loro proprietà personali, commettere esecuzioni extragiudiziali, saccheggiare o non rispettare l’inviolabilità delle case. In quanto ai funzionari governativi e al personale della sicurezza se si pentiranno delle loro azioni e rinunceranno al legami con l’opposizione, per loro sono aperte le porte del perdono dell’Emirato Islamico”. Un comunicato che è in perfetta armonia con la linea sempre seguita dal Mullah Omar che dopo la conquista di Kabul nel 1996 concesse subito un’amnistia generale. Infine Mansour ha chiesto al governo di Kabul di “ammettere la sconfitta e di pensare al futuro dell’intero Paese”. E ha preso le distanze dall’Isis. Del resto in una lettera aperta che il Mullah Omar inviò il 16 giugno 2015 ad Al Baghdadi, firmata dall’allora suo numero due Mansour, e pubblicata dal Il Fatto il 30 luglio, Omar intimava al Califfo di non intromettersi nelle questioni afgane perché, questa era la sostanza del messaggio, la lotta di indipendenza afgana non aveva nulla a che vedere con le mire espansionistiche dell’Isis.

Naturalmente a sostegno dell’inesistente esercito ‘regolare’ afgano sono intervenuti i bombardieri degli Usa che conservano un enorme base militare nell’aeroporto di Bagram.

A questo punto la domanda è: che cazzo ci sta a fare la Nato, italiani compresi, in Afghanistan? I Talebani afgani non sono mai stati terroristi. Non c’era un solo afgano nel comando che abbatté le Torri Gemelle, non c’era un solo afgano nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte dopo l’11 settembre. E il pretesto della presenza di Bin Laden in Afghanistan non regge più, non solo perché Bin Laden è stato dato per morto nel 2011 (in realtà era morto molto prima, probabilmente fra il 2004 e il 2005), ma per la ragione più concreta che i Talebani si erano trovati in casa Bin Laden e se ne sarebbero volentieri sbarazzati tanto che il Mullah Omar accettò, sia pur a certe condizioni, la proposta di Bill Clinton del dicembre del 1998 di far fuori il Califfo saudita (documenti del Dipartimento di Stato). Fu Clinton ha tirarsi indietro.

Dopo gli attentati dell’11 settembre mentre le folle di tutti i Paesi del mondo arabo scendevano in piazza per manifestare la loro gioia, il governo afgano inviò a quello degli Stati Uniti un comunicato ufficiale che diceva: “Noi condanniamo fortemente i fatti che sono avvenuti negli Stati Uniti al World Trade Center e al Pentagono. Condividiamo il dolore di tutti coloro che hanno perso i loro familiari e i loro cari in questi incidenti. Tutti i responsabili devono essere assicurati alla giustizia”. Ma quando nell’ottobre del 2001 gli Stati Uniti pretesero la consegna di Bin Laden, il governo afgano chiese che fossero fornite delle prove o perlomeno degli indizi che il Califfo saudita era effettivamente alle spalle degli attentati terroristi, sia quelli dell’11 settembre che quelli in Kenya e Tanzania del 1998. Gli americani risposero arrogantemente: “Le prove le abbiamo date ai nostri alleati”. A questo punto il governo talebano replicò, come avrebbe fatto qualsiasi altro governo, che a quelle condizioni, fuori da ogni legalità, non poteva consegnare una persona che stava comunque nel proprio Paese. Su questa questione di principio il Mullah Omar si giocò tutto, il potere e, alla fine, la vita.

Gli afgani non sono mai stati terroristi. Storicamente non sono mai usciti dal proprio Paese e hanno solo subìto aggressioni prima dagli inglesi, poi dai sovietici e infine dagli occidentali. Adesso, pur sunniti, hanno preso le distanze, senza se senza ma, dall’Isis. Non costituiscono quindi alcun pericolo per l’Occidente. Ripeto la domanda: che cazzo ci stiamo a fare in Afghanistan? Questa infamia che dura da quattordici anni e che è costata, oltre che 200.000 vittime civili, la distruzione economica, sociale, morale di un Paese deve finire. Papa Bergoglio, che è stato di recente negli Stati Uniti, i principali responsabili delle guerre in Asia Centrale e in Medio Oriente, dall’Afghanistan del 2001 alla Libia del 2011, non ha nulla da dire in proposito?

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 1 ottobre 2015

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E' ineccepibile il tentativo di Angela Merkel di ripristinare, a livello europeo, il principio del diritto d'asilo per chi fugge dalle guerre. E' un diritto che esiste dalla notte dei tempi (come il dovere del soccorso in mare) e che comunque è sanzionato da tutte le convenzioni internazionali. Naturalmente la Merkel è stata ferocemente criticata da tutte le destre europee che vedono gli immigrati come il fumo negli occhi, sotto qualsiasi forma si presentino. Poi è stata nuovamente criticata, sempre dalle destre, quando ha sospeso il trattato di Schengen: ecco prima incita i migranti a venire in Europa e poi li stoppa alle sue frontiere. Come ha spiegato al Fatto il direttore di Die Zeit Giovanni di Lorenzo: «è una misura temporanea causata dal massiccio afflusso di profughi». Un modo per regolare il traffico evitando ingorghi che rallentano le operazioni. Insomma Angela Merkel, qualsiasi cosa faccia, ha sempre torto per i governi europei, di destra e di sinistra, è un pungiball su cui scaricare le proprie inefficienze. Invece Angela è l'unico uomo di Stato esistente in Europa. Lo dimostra anche il suo tentativo, ovviamente cauto, di avvicinarsi alla Russia e di sganciarsi dagli Stati Uniti. Perché 'l'amico americano' non è più affatto un amico. In economia è un competitor sleale perché mentre l'Europa pratica, sotto la guida della Merkel, una politica di austerità, quelli, dopo il crac del 2008, hanno immesso nel sistema crediti, che sono denaro, per trilioni di dollari creando una bolla speculativa che prima o poi ricadrà addosso a tutti (del resto tutte le crisi finanziarie globali a partire da quella di Wall Street del 1929 sono venute dall'America). Negli Esteri gli Usa stanno praticando, ormai da tre lustri, una politica irresponsabile di aggressività nei confronti del mondo musulmano che ha dato origine, fra l'altro, all'insidiosissimo fenomeno dell'Isis. Loro se lo possono permettere perché quel mondo ce l'hanno a diecimila chilometri di distanza, noi no perché ci sta sull'uscio di casa. In ogni caso sono convinto che se mai l'Europa politica si farà davvero, sarà e dovrà essere a guida tedesca. Perché la Germania, per posizione geografica, per popolazione, per cultura, ne ha se non il diritto la forza. E comunque se dobbiamo dipendere da qualcuno, meglio dai tedeschi che dagli americani com'è stato finora.

Ma nell'impostazione proposta e imposta dalla Merkel nei confronti dei migranti c'è un tarlo. I cosiddetti 'migranti economici' devono essere rispediti nei loro Paesi. Chi sono i cosiddetti 'migranti economici'? Sono neri dell'Africa subsahariana che non fuggono da nessuna guerra ma dalla fame. Nella generale ignoranza che ormai contraddistingue il mondo occidentale si pensa che l'Africa Nera sia sempre stata alla fame. Non è così. Ai primi del Novecento era alimentarmente autosufficiente, lo era ancora in buona sostanza (al 98%) nel 1961. L'autosufficienza è scesa all'89% nel 1971, al 78% nel 1978 e così via precipitando. La situazione di oggi è sotto gli occhi di tutti. Cos'è successo nel frattempo? Che i Paesi industrializzati, sempre alla ricerca di nuovi mercati, per quanto poveri, perché i propri sono saturi, hanno introdotto in Africa Nera il loro modello di sviluppo, disarticolando la cultura, la socialità e l'economia di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui quelle popolazioni avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni. E quindi la fame. E' uno dei tanti effetti perversi della globalizzazione.

E qui si pongono due questioni. Una è teorica. Se il capitale ha diritto ad andarsi a cercare il luogo della terra dove ritiene di poter essere meglio remunerato, lo stesso diritto non dovrebbero averlo gli uomini? Il denaro vale quindi più degli uomini? Questo nemmeno il vecchio Adolfo avrebbe osato sostenerlo.

Questione pratica. I neri africani (escludendo il Sud Africa che fa caso a sè) sono 700 milioni. Se solo una quota significativa di questa gente viene da noi ne saremo sommersi. Aiutarli economicamente? Sarebbe 'un tacon peso del buso' perché li integrerebbe ancor più strettamente in un sistema che è destinato inesorabilmente a stritolarli. Dar loro «non il pesce ma gli strumenti per pescarlo» come dicono molte anime pie? Nel padiglione Onu all'Expo c'è un comico filmato il cui senso è che noi dovremmo insegnare agli africani come si fa l'agricoltura. Ma se sono millenni che quelli hanno vissuto di agricoltura! Semmai dovrebbero essere loro a insegnarla a noi. Ai tempi di un G7 di molti anni fa ci fu un controsummit dei sette Paesi più poveri del mondo, con alla testa l'africano Benin, al grido di «Per favore non aiutateci più!».

La sola cosa che dovremmo fare è andarcene da quei mondi, con le nostre aziende assassine e la nostra cultura paranoica. Via, raus, 'foera di ball'. Ma a parte che non lo faremo mai (e adesso ci si sono messi anche i cinesi che si comprano l'Africa Nera e la sua terra a regioni) nemmeno questo sarebbe risolutivo. I neri africani sono in una posizione di non ritorno. Non possono ritornare alle loro economie perché le terre che, sotto il nostro impulso o imposizione, hanno abbandonato si sono desertificate e non ci sono più nemmeno le comunità che, col loro reticolo di solidarietà, consentivano a quel mondo di esistere. Non possono che andare avanti. Cioè non possono che venire verso di noi. E verranno e ci distruggeranno come noi abbiamo fatto con loro. E' la sorte che ci siamo meritati.

Massimo fini

Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2015

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Intervista di Silvia Truzzi.

Palavobis di Milano, anno 2002: Paolo Flores d'Arcais aveva organizzato la prima grande manifestazione per la legalità. Massimo Fini conclude il suo intervento con una citazione: «A brigante, brigante e mezzo». Il ministro Castelli, probabilmente ignorando che il riferimeno fosse una frase pronunciata da Sandro Pertini, a momenti voleva farlo arrestare. E dunque con Fini proviamo a capire cos'è stata l'opposizione al berlusconismo.

Proviamo a definire l'oggetto: cos'ha significato combattere il sistema Berlusconi?

Affermare il rispetto e il primato della legalità. Il suo opposto, il berlusconismo, è stato il riuscitissimo tentativo di affermare che la legge esiste solo per i poveri cristi. Infatti è stato creato un doppio diritto: uno per i poveracci, che obbedivano al «dura lex sed lex», e quindi «in galera subito e buttiamo pure le chiavi», come disse Daniela Santanchè; e poi un secondo diritto inesistente, riservato ai potenti che in sostanza erano legibus soluti.

L'antiberlusconismo che avrebbe paralizzato l'Italia quale sarebbe stato?

Ai tempi, quelli del Pd dicevano: «Non mi prenderai per un girotondino?». Cioè: non farmi il torto di considerarmi uno che chiede il rispetto della legge anche per i potenti. Tutto risale però agli anni Ottanta. Il tentativo di impedire a Berlusconi di possedere l'intero comparto radio-televisivo italiano fu fatto dalla magistratura. Poi intervenne Craxi e fu fatta la legge Mammì. Quando violi un principio, non sai mai dove vai a finire.

Perché il presidente del Consiglio ha scelto di dire adesso questa cosa?

Renzi rappresenta l'italiano tipo che durante la lotta tra fascismo e antifascismo aspettava di vedere chi avrebbe vinto per poi schierarsi. Nel periodo berlusconiano ha fatto il pesce in barile e ora gli fa comodo presentarsi come l'uomo nuovo, che non era stato toccato da quella contrapposizione né in un senso né nell'altro.

Il patto del Nazareno l'ha fatto lui.

Vero. Ma ha poco a che vedere con la questione morale: è un'intesa che poteva firmare con lui come con chiunque altro.

Bè, forse non proprio. Non è affatto neutro per un premier di sinistra stringere alleanze con Berlusconi.

Non è neutro nella misura in cui tratti con un «delinquente naturale» come lo ha definito il Tribunale di Milano. Però già allora Berlusconi era politicamente quasi morto.

Dicono: è una polemica vecchia e di nessuna attualità.

Sebra esserlo. In realtà non lo è se la traduciamo in battaglia per il rispetto delle legalità. La più grave responsabilità di Berlusconi - condivisa anche dalla sinistra – è stata di aver tolto al popolo italiano quel poco di senso di legalità che gli era rimasto.

E' vero che l'Italia è stata paralizzata?

E' stato fatto molto, ma in peggio. E' lungo l'elenco delle leggi che hanno cercato, riuscendoci in parte, di cancellare principi come l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Producendo effetti che durano ancora oggi, perché l'importanza dello Stato di diritto è molto scesa nella percezione dei cittadini. Mafia capitale ne è un esempio, ma è solo uno dei tanti.

All'inizio dell'ultimo ventennio era così?

No. La parabola di Di Pietro secondo me è la cartina di tornasole di questo ragionamento. Da eroe osannato, insieme al pool e a Borrelli, è diventato nel giro di pochissimo tempo il peggior nemico di quasi tutti. In fondo il sistema d'illegalità diffusa non dispiace agli italiani. Certamente non è il loro primo pensiero. Spiace dirlo, ma le battaglie che alcuni di noi hanno fatto sono state perfettamente inutili.

Gherardo Colombo, in un'intervista a questo giornale, ha detto che gl'italiani sono più sudditi che cittadini.

Ricordo nel 2002 una manifestazione di Micromega a piazza San Giovanni: c'erano un milione di persone: portare in piazza così tanta gente su un tema così - non per il lavoro o la crisi economica – non è facile. Il guaio è che non è servito a nulla. L'italiano oggi è fatto in questo modo, ma non è sempre stato così. Sono abbastanza vecchio per ricordare che negli anni Cinquanta l'onestà era un valore, nel mondo contadino, negli ambienti borghesi come in quelli proletari. E' una degenerazione etica e culturale cui hanno contribuito moltissimi fattori: Berlusconi è uno di questi, ma non il solo. Basta pensare a cos'era la televisione di Bernabei e cos'è stata dopo, con il pluralismo e infine con l'avvento del commerciale. Un processo che ha fatto rincretinire la gente: sembra che il popolo non aspettasse altro. Sennò non si capisce il capovolgimento per cui Tangentopoli da simbolo di riscossa è diventata un modello negativo. La democrazia è un sistema di parole, il modo migliore per ingannare la gente. Preferisco l'Isis...

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 30 agosto 2015