0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

L’altro ieri ho telefonato all’Ufficio necrologi del Corriere della Sera. “Qual è il nome del defunto?” mi ha chiesto la gentilissima signorina. “Mullah Omar”. “Lei è un parente?”. “No”. “Pensa che ci saranno altri necrologi per questo defunto? Perché, sa, noi dobbiamo accorparli”. “Credo proprio di no”. “Ma mullah non è un nome e il Corriere ha come regola di mettere nome e cognome del defunto”. “Non è proprio così- ho risposto- molte volte ho visto solo dei Gigi, dei Pigi, dei Lallo. Comunque non ha importanza, si chiamava Mohammed. Quindi mettiamo Mohammed Omar, va bene?”. “Sì. Ma ho un intoppo nel computer. Potrei richiamarla fra dieci minuti?”. “Senz’altro”. Dopo dieci minuti l’impiegata sempre molto gentile, collaborativa e pure simpatica (mi aveva trovato anche il codice fiscale che non ricordo mai) mi ha richiamato. “Ma lei è uno del mestiere”. “Più che altro un ex. Sono in pensione da anni”. “Dalle fotografie non si direbbe. Sembra molto più giovane”. “Grazie. Purtroppo gli anni ci sono. Possiamo andare?”. Ho dettato quindi il necrologio che recitava così:


“Massimo Fini rende onore al Mullah

Mohammed Omar

combattente, giovanissimo, contro gli invasori sovietici, perdendo un occhio in battaglia, combattente, vittorioso, contro i criminali ‘signori della guerra’ che avevano fatto dell’Afghanistan terra di abusi, di soprusi, di assassinii, di stupri, di taglieggiamenti e di ogni sorta di violenze sulla povera gente, riportandovi l’ordine e la legge, sia pure una dura legge, la Sharia, peraltro non estranea, almeno nella vastissima area rurale, ai sentimenti e alle tradizioni della popolazione di quel Paese, infine leader indiscusso per quattordici anni della resistenza contro gli ancora più arroganti e moralmente devastanti occupanti occidentali. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”.

Finito il testo lei mi ha detto: “Mi perdoni, per un necrologio del genere devo chiedere l’autorizzazione”. “Capisco. Mi può far sapere nel pomeriggio se la cosa è andata a buon fine?”. “Se non mi sente troverà il necrologio sul Corriere e sul corriere.it. Altrimenti la chiamo”. Verso le sei mi ha telefonato, molto imbarazzata: “Per ordini superiori il suo necrologio non può essere pubblicato. Mi spiace molto, mi scusi”. “Non si preoccupi. Non è lei che, semmai, deve scusarsi”.

E così la censura è arrivata anche sui necrologi. Credo sia la prima volta che ciò accade in una democrazia, luogo deputato della libertà di pensiero e di espressione delle proprie opinioni.

Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora.

m.f.

Il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2015

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

La notizia della morte del Mullah Omar è stata data almeno una mezza dozzina di volte da quando nel 2001 il leader dei Talebani riuscì a buggerare gli americani che gli davano la caccia con quella rocambolesca fuga in moto. L’ultima l’aveva data l’Isis a gennaio che, informando della morte di Omar, aveva nominato un nuovo Emiro dell’Afghanistan, Khadim. Ma il Mullah era talmente morto che un mese dopo il sedicente Emiro Khadim e 45 dei suoi seguaci erano stati disarmati e catturati dagli uomini di Omar.

Questa volta però la notizia è più attendibile. Non tanto perché è stata data da un funzionario anonimo del governo di Kabul. Ma perché Omar si trovava in una situazione difficilissima, stretto fra il tentativo dell’Isis di penetrare in Afghanistan e l’esercito ‘regolare di Kabul’. I rapporti fra Omar e Al Baghdadi erano tesissimi. Il Califfo aveva definito Omar “demente e ignorante”. Come risposta Omar aveva mandato una lettera aperta, firmata dal suo numero due Akhtar Mohammad Mansour, in cui diceva sostanzialmente due cose: 1° Che l’Isis non aveva niente a che fare col movimento indipendentista afgano. 2° Accusava Al Baghdadi di star frammentando il mondo islamico dividendolo in varie fazioni (lettera del 16 giugno 2015). In precedenza, in concomitanza col 19° anniversario della nomina del Mullah Omar a guida suprema dell’Emirato islamico d’Afghanistan, il movimento talebano aveva diffuso un lungo documento in cui ripercorreva la lunga biografia del Mullah, esaltandone le doti e ribadendo la sua assoluta leadership sul movimento indipendentista afgano (documento del 20 marzo 2015, firmato dal portavoce storico di Omar, Oari Muhammad Yousuf). Ma questo era un segno di debolezza. Non si ha bisogno di affermare la propria leadership se la si ha in pugno. Il fatto è che molti giovani talebani sono attratti dall’Isis che con la sua ferocia ha conquistato vasti territori in Siria e Iraq, mentre il movimento di Omar, usando metodi meno bestiali, ci ha messo 14 anni a riconquistare solo la pur notevole parte rurale dell’Afghanistan (attacchi solo a obbiettivi militari e politici; nessun sequestro a fini di estorsione, ad eccezione di quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, che comunque fu poi liberato, trattamento civile dei prigionieri che, una volta liberati, hanno tutti dichiarato di essere stati trattati con rispetto – il 19 dicembre dopo l’attacco dei talebani pakistani alla scuola di Peshawar dove studiano i figli dei militari pakistani il movimento talebano afgano aveva condannato senza se e senza ma quell’eccidio: “L’Emirato islamico è scioccato da quanto avvenuto e condivide il dolore della famiglie dei bambini uccisi nell’attacco”). Inoltre all’interno del movimento c’è una divisione fra chi vuole continuare ad oltranza la guerra d’indipendenza contro l’occupazione straniera e chi vuole arrivare ad una sorta di ‘pacificazione nazionale’ attraverso il dialogo e i contatti tenuti recentemente a Oslo fra il governo di Kabul e alcuni rappresentanti degli insorti.

Se la notizia della morte del Mullah Omar è vera le domande sono due. Uno. Chi ha ucciso il Mullah Omar? L’Isis? Mi pare improbabile. L’Isis per ora ha intaccato solo marginalmente il territorio afgano ed è difficile che i suoi uomini siano riusciti là dove per 14 anni ci hanno provato inutilmente i servizi americani cercandolo per ogni dove con i loro occhiutissimi satelliti, senza trovarlo. E’ più ragionevole pensare che le ragioni di questa sua morte vadano cercate negli accordi in corso a Oslo. Se Omar era d’accordo con la pacificazione diventava impresentabile, non era accettabile per gli americani che Omar, sul quale pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari, rientrasse a Kabul se non da vincitore da semivincitore. Se non era d’accordo, come io penso, bisognava eliminarlo per indebolire i ‘duri e puri’ del movimento talebano. Quindi, per la prima volta dopo 14 anni il Mullah Omar è stato tradito da qualcuno dei suoi.

La seconda domanda è: che cosa succederà ora? La morte del Mullah Omar segna la fine dei sogni di indipendenza dell’Afghanistan. Diventerà ufficialmente un protettorato americano. Ma la notizia non è positiva per l’Occidente, perché spalanca le porte alle mire espansioniste dell’Isis che non si accontenta di prendersi, eventualmente, l’Afghanistan ma vuole allargare la sua presenza ad altre aree dell’Asia Centrale, tanto che l’Isis nell’area ha preso il nome di Khorasan, una regione storica che comprende, fra gli altri, anche Turkmenistan.

Quanto a me, io rendo onore al Mullah Omar, combattente giovanissimo contro gli invasori sovietici, dove perse un occhio in battaglia, combattente e vincitore dei criminali ‘signori della guerra’ (Massud, Ismail Khan, Heckmatyar, Dostum) che nel conflitto scoppiato fra costoro per impadronirsi del potere lasciato vacante dai sovietici, agivano nel più pieno arbitrio, assassinando, stuprando, taglieggiando, sbattendo fuori dalle case i legittimi proprietari per metterci i loro adepti. Omar, che nei suoi 6 anni di governo (1996-2001) riportò nel Paese l’ordine e la legge, sia pur una dura legge, la Sharia, ma senza mai abbandonarsi agli eccessi feroci dell’Isis. Infine per 14 anni è stato guida della rivolta contro gli ancora più arroganti e devastanti occupanti occidentali. Preso il potere il Mullah non ne approfittò mai e continuò a fare la vita spartana che aveva sempre fatto, non favorì la sua famiglia e neanche il piccolo villaggio, Singesar, che non ebbe nessun vantaggio dal fatto che uno dei suoi ‘enfant du pays’ fosse diventato il capo del Paese. Un uomo di una morale e di una coerenza assolute. E, forse, è proprio questo che, alla fine, lo ha perduto. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar.

Massimo Fini

Versione integrale dell’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 30 luglio 2015

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Corse-Matin, l’unico giornale pubblicato in Corsica, dove mi trovo in questo momento (fino a vent’anni fa era scritto in lingua locale, ora ha ceduto al francese) si occupa normalmente di abigeati, di furti di mucche, delle feste popolari che si tengono nei vari paesini e di quel che resta del movimento indipendentista che proprio in questi giorni ha deciso di smilitarizzarsi e di lasciare la macchia. Anche alla Francia, che qui gode di pochissime simpatie, soprattutto nel centro dell’Isola, è data, Tour a parte, scarsa attenzione. Il Corse ha però una pagina dedicata agli avvenimenti internazionali (Monde) molto interessante. Perché spesso riporta notizie importanti, ignorate dai grandi giornali occidentali, europei, americani, per non dire di quelli italiani. Una era pubblicata sul Corse del 22 luglio. Da anni alcune centinaia di musulmani bosniaci sono andati a combattere in Iraq e in Siria nelle file dell’Isis. Ma alcuni mesi fa Al Baghdadi, o chi per lui, ha ordinato a questi guerriglieri di rientrare in Bosnia, di occupare le case e i terreni lasciati dai serbi dopo la guerra civile, quando per l’intervento degli americani, da vincitori sul campo di battaglia vennero trasformati in vinti, e di installarvi campi di addestramento e di reclutamento, soprattutto nella regione di Osve nel nord del Paese e in altre zone limitrofe.

Qual è il significato di questa mossa? L’Isis vuole portare in Bosnia la guerriglia e non semplicemente attentati terroristi e kamikaze. Ma la Bosnia vuol dire Balcani e i Balcani sono Europa, sia pur un’area particolare di Europa. Per la prima volta quindi l’Isis entra in Europa con dei manipoli di guerriglieri, e non con qualche ‘lupo solitario’ o con i poveracci che sbarcano dai gommoni (Al Baghdadi è troppo intelligente per affidare la vita dei suoi combattenti a questi viaggi senza speranza). E tramite la Bosnia ha la possibilità di allargare le sue mira. Il fragilissimo governo bosniaco, che tiene insieme con lo sputo tre comunità che si sono sempre odiate, musulmani, croati, serbi, ha già dichiarato di non essere in grado di fronteggiare il fenomeno. L’Isis potrebbe prendersi un pezzo di Bosnia, come si è preso un pezzo di Iraq e un pezzo di Siria, e poi puntare su Croazia e Slovenia, che non sono famose per la capacità dei loro eserciti, e costituirvi dei capisaldi come ha fatto in Libia con Sirte e in Egitto nel Sinai. A questo punto i guerriglieri dell’Isis si troverebbero vicinissimi ai confini orientali italiani.

Questo, naturalmente, è il ‘wishful thinking’ di Al Baghdadi. E non è affatto detto che diventi realtà. Ma la sua sola possibilità dice ancora una volta, come abbiamo ripetuto fino alla nausea, quanto stolida sia stata l’aggressione americana alla Serbia del 1999, quando l’11 settembre era di là da venire, complice il governo D’Alema che forniva agli yankee le nostre basi di Aviano. L’intento degli Stati Uniti era di creare nei Balcani una striscia di islamismo moderato (Albania più Bosnia più Kosovo) a favore del loro grande alleato nella regione, la Turchia, che proprio in questi giorni ha concesso agli Usa l’uso della propria base aerea di Incirlik in funzione anti-Isis (ma anche, occultamente, anticurda). Umiliando la Serbia, paese europeo a tutti gli effetti, di religione ortodossa, abbiamo favorito la componente islamica dei Balcani. E se nel 1999 si poteva pensare che gli islamici dei Balcani fossero dei musulmani moderati, oggi, dopo l’aggressione all’Afghanistan del 2001, all’Iraq del 2003, alla Somalia del 2006/7, alla Libia del 2011, la cosa non è più così sicura. Tutt’altro. Una parte degli islamici dei Balcani è certamente anti Isis, ma un’altra parte, cospicua, ne sente l’attrazione. Gli americani possono impiparsene, stanno a diecimila chilometri di distanza. Noi l’Isis l’abbiamo sull’uscio di casa. E non viaggia sui barconi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 luglio 2015