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«Vinceremo. Siamo i più forti» ha dichiarato Barack Obama. Ho qualche dubbio. Certamente oggi l'Occidente ha una potenza militare mai raggiunta nella Storia. Ma le armi, da sole, non bastano. A volte, soprattutto se tecnologiche, possono essere addirittura controproducenti, come è stato in Afghanistan. Ci vogliono i valori. Di là ne hanno di fortissimi, per sbagliati che siano, da noi c'è il vuoto. Solo gli jihadisti possono credere che ci sia ancora qualcosa di cristiano in Occidente. Quando Nietzsche, verso la fine dell'Ottocento, proclama la «morte di Dio» costata semplicemente, con qualche decennio di anticipo, perché è un genio, che Dio è morto nella coscienza dell'uomo occidentale. E se si può resuscitare Lazzaro è impossibile farlo con un Dio morto. Certo in Occidente, e specialmente in Italia, si parla spesso di valori cristiani, ma in modo così generico che non si capisce più in che cosa consistano. Peggio: si dimenticano, o si fa finta di dimenticare, alcuni messaggi forti del fondatore del cristianesimo. Cristo è entrato nel Tempio, ha preso a frustate i mercanti e ha concluso l'happening dicendo: «Voi fate della Casa di Dio una spelonca di ladri e di bari». Ha detto: «E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco varchi le porte del Paradiso» (poi, traducendo meglio, si è scoperto che non si trattava di un cammello, ma era comunque qualcosa di sufficentemente grosso). Ha detto ancora: «Non si vive di solo pane» in un'epoca in cui di pane non ce n'era poi molto. Questi messaggi vengono costantemente obliterati perché disturberebbero il manovratore, vale a dire il sistema mercatista in cui ci siamo infognati.

E la Democrazia allora? La Democrazia è un sistema di regole e di procedure, non un valore in sè. E' un sacco vuoto che andrebbe riempito di contenuti. Purtroppo non il pensiero liberale ma la sua prassi non è riuscita a riempire questo sacco se non di contenuti quantitativi e materiali. Non si può vivere avendo come obiettivo quello di cambiare una Opel Corsa con una Bmw. E questo spiega il fenomeno dei foreign fighters che accorrono nelle file dell'Isis per trovarvi una ragione di vita. Per ora sono cittadini occidentali di origine araba o comunque musulmana. Ma potrebbe venire il giorno in cui saranno occidentali tout court, senza alcuna ascendenza araba o religiosa. Se questo dovesse accadere sarebbe la dissoluzione del mondo occidentale. Anche perché non possiamo buttarci le Atomiche sui piedi.

Sono i valori a dare il coraggio. Per capire come siamo conciati su questo versante basta vedere American Sniper di Clint Eastwood, ambientato nell'Iraq del 2003, che più che un film di guerra sembra un western, dove c'è tutta la retorica americana del coraggio cowboy. Gli jihadisti non hanno bisogno di fare retorica sul proprio coraggio. Ce l'hanno. E non si tratta solo del kamikaze incosciente che va a farsi saltare in aria come se stesse per accendersi una sigaretta. C'è qualcosa di più profondo. Amedy Coulibaly porta la sua sposa da cinque anni, Hayat Boumeddiene, incinta, a Madrid perché non vuole che sia coinvolta negli attentati. Passano l'ultima notte insieme. Poi lui parte e sa che va a morire. Chi di noi sarebbe capace di una scelta del genere foss'anche per il più nobile degli ideali? Io certamente no.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2015

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Nelle more dei fatti di Parigi è passata quasi inosservata una notizia di grande interesse. Un gruppo di scienziati della prestigiosa Johns Hopkins University, dopo una serie di approfondite ricerche, ha concluso che solo un terzo dei tumori ha alla sua origine lo stile di vita o fattori ereditari, i due terzi sono dovuti, per usare un termine di uno di questi ricercatori, Bert Vogelstein, alla sfortuna. E' una notizia liberatoria che se non fa piazza pulita del terrorismo diagnostico e della medicina preventiva dovrebbe perlomeno frenarne gli eccessi, per cui oggi negli Stati Uniti si tolgono le ghiandole mammarie a ragazzine di dodici tredici anni, con i traumi che sono facilmente immaginabili, per metterle al sicuro dal rischio di sviluppare tumori in età adulta dato che la loro madre o altre parenti di sesso femminile sono morte di cancro al seno (a questa operazione si è sottoposta anche la bellissima Angelina Jolie, sia pur in età matura).

Ma il significato della ricerca degli studiosi della Johns Hopkins va oltre. Per la prima volta la Scienza, solitamente così sicura di sè, ammette la propria limitatezza di fronte all'Imponderabile, al Caso, a quello che i Greci, tanto più sapienti, chiamavano Fato per cui ognuno di noi ha un destino, imperscrutabile, il cui senso si può cogliere solo alla fine della nostra esistenza. Così come quasi ogni fatto che ci capita nella vita quotidiana può essere valutato solo a posteriori. Quante volte a chiunque di noi è accaduto di accorgersi che un'esperienza che all'apparenza appariva un bene si è rivelata invece un male e viceversa?

Del pari la ricerca della Johns Hopkins ci libera, o dovrebbe liberarci, di una delle più perniciose ossessioni del mondo contemporaneo: la pretesa del controllo. Noi vogliamo controllare tutto. Ci assicuriamo su tutto e poi ci assicuriamo sull'assicurazione in un processo psicologico, che sarebbe forse più esatto chiamare psicoanalitico, che è all'origine di tante delle nostre ansie e delle nostre nevrosi. Siamo convinti di esserci protetti nel migliore dei modi e poi una mattina usciamo di casa, ci cade un mattone sulla testa e la festa è bell'e che finita. Naturalmente questa ossessione del controllo è particolarmente presente nella medicina moderna (e sono convinto che la casualità che gli scienziati della Johns Hopkins hanno trovato per il tumore valga anche per molte altre malattie). Secondo i suoi canoni dovremmo fare almeno sei esami l'anno, test, visite di routine (pratica quanto mai sinistra perché raramente se ne esce senza danni e si viene inghiottiti nel girone infernale della medicina tecnologica), dovremmo auscultarci, palparci ad ogni momento, essere tesi a percepire ogni minimo segnale di un rischio che quasi sempre non è che il riflesso di un'ipocondria collettiva diffusa, non sempre disinteressatamente, dalla medicina di oggi, secondo la quale dovremmo vivere da malati quando siamo ancora sani, da vecchi fin da giovani.

«La vita è un rischio» scriveva Giuseppe Prezzolini. E' vivere che ci fa morire. E' ovvio. Ma per questo dovremmo rinunciare a viverla standocene imbozzolati nelle nostre paure? La ricerca della Johns Hopkins riporta in circolo un po' di sano fatalismo, «lontani dalle torture salutiste e dalle diete» come scrive Stefano Zecchi. Cerchiamo di goderci la vita, qui e ora, senza curarci troppo di un futuro di cui poco o nulla si può sapere. Per dirla con Lorenzo il Magnifico: «Quant'è bella giovinezza/che si fugge tuttavia/Chi vuol esser lieto sia/di diman non v'è certezza».

Massimo Fini

Il Gazzettino, 23 gennaio 2014

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Poiché non credo alla democrazia rappresentativa io non dovrei nemmeno partecipare a questo gioco. Comunque penso, come molti, che il nuovo Presidente della Repubblica dovrebbe essere un uomo che non si è mai compromesso con la classe dirigente, di destra o di sinistra, che ci ha governato negli ultimi trent'anni. Vai a trovarlo, in Italia. Penso che un uomo del genere possa essere cercato solo nelle arti nobili e in tempi non sospetti, prima che ne facesse cenno Renzi, avevo avanzato il nome di Riccardo Muti. Dice: ma Muti non ha nessuna esperienza di leggi, regolamenti, prassi costituzionali. Non ha alcuna importanza. Per questo esiste una burocrazia, senza la quale il Presidente della Repubblica o del Senato o della Camera non sarebbe in grado di esercitare le proprie funzioni e nessun premier o ministro di formulare leggi (per questo è pagata quel che è pagata). Anche la Pivetti è riuscita a fare il presidente della Camera. Comunque questo desiderio onirico è tagliato alla radice dal fatto che Muti o altri artisti della sua caratura non accetterebbero mai di lasciare il loro mestiere per le polverose stanze del Quirinale. Bisogna quindi ripiegare sui soliti noti. Io spero che Grillo non si incaponisca a riproporre Rodotà, una vecchia sòla sempre ben incistata sia nella Prima che nella Seconda Repubblica, una specie di Giuliano Amato in tono minore. Piuttosto, pistola alla tempia, Romano Prodi, che sì è un ex 'boiardo di Stato', ma non è mai stato coinvolto in episodi di corruzione, conosce le Istituzioni, è uomo di cultura, ha prestigio internazionale e che gode di qualche simpatia anche fra i grillini. Non piace né a Renzi, né, tantomeno, a Berlusconi? Una ragione in più per puntare su di lui. Zagrebelski? Certamente un uomo senza macchia e preparato, ma il Presidente della Repubblica, che rappresenta tutti gli italiani, dovrebbe essere un uomo minimamente conosciuto non un ufo che esce dal cilindro dei 'desiderata' della sinistra radical chic.

Ma in realtà qui stiamo girando intorno al nocciolo della questione. In tempi normali il Capo dello Stato, in quanto arbitro, deve essere una figura abbastanza incolore (com'è noto il miglior arbitro è quello che non si nota). Ma sull'Europa e quindi anche sull'Italia si stanno addensando nubi pesantissime. Ci vorrebbe come presidente o premier un uomo dalla fortissima personalità. Un Winston Churchill che quando fu eletto primo ministro agli albori della seconda guerra mondiale, parafrasando il celebre discorso di Catilina ai soldati prima della battaglia, disse agli Inglesi: «Vi prometto solo lacrime e sangue». Purtroppo non vedo in giro nessun Churchill.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 22 gennaio 2015