Sono tali e tante e di diverso genere le violenze che da circa un secolo stiamo compiendo sul mondo arabo-musulmano che poi non ci si può meravigliare se una parte di questo mondo si radicalizza e partorisce un fenomeno ben più inquietante, vale a dire l’Isis che è il nostro contro specchio, come noi vogliamo imporre i nostri valori o disvalori all’universo mondo così è per Isis. Gli Isis sono particolarmente pericolosi perché, a differenza di altri gruppi combattenti, pur valorosi e coraggiosi, hanno la vocazione al martirio. Per loro morire non è solo indifferente, è una liberazione perché vanno dritto e di filato nell’empireo delle Urì. Isis si sta espandendo in tutto il mondo tranne che nelle due Americhe, quella del nord e quella del sud, e in Australia perché troppo lontane.
Attualmente Isis è presente nei Balcani, in molti Stati europei, soprattutto in Francia e Germania (non in Italia grazie all’intelligente politica di appeasement col mondo arabo che fece Giulio Andreotti in un’epoca in cui l’alleanza con gli Stati Uniti era obbligata, appeasement di cui godiamo i benefici ancora oggi, altro che predatori “piani Mattei” di Meloni e compagnia) è presente in Somalia, gli al-Shabaab, nel Sinai e in quella striscia di costa egiziana dedicata al turismo di massa, è presente in Libia dove i “trafficanti di morte” per salpare dalle coste libiche devono pagare una taglia all’Isis, è presente in Bangladesh, in Pakistan e in Afghanistan. Proprio pochi mesi fa due poliziotte afghane, poliziotte non poliziotti, sono state assassinate da un commando Isis. Bisogna anche dire che i Talebani sono stati gli unici a combattere seriamente l’Isis, ma stretti fra gli occupanti occidentali e appunto l’Isis hanno dovuto cedere un po’ di terreno. Una buona mano gliela diede, a suo tempo, Putin forse scottato dalla sconfitta della Russia dopo dieci anni di occupazione ad opera non dei Talebani ma dei “Signori della guerra” afghani, fatto che avrebbe dovuto pur insegnare qualcosa agli occidentali, riconoscendo al movimento talebano lo status di “movimento politico indipendentista non terrorista”. Putin, cui non manca certo l’intelligenza, si rendeva perfettamente conto che se Isis avesse sfondato in Afghanistan si sarebbe poi sparso nelle repubbliche ex sovietiche, quasi tutte a maggioranza musulmana, avvicinandosi pericolosamente a Mosca.
Nel 1991 il FIS, Fronte Islamico di Salvezza, per nulla estremista, aveva vinto a stragrande maggioranza le prime elezioni libere in Algeria, sconfiggendo i generali tagliagole che la governavano da decenni. Allora con un processo alle intenzioni si scrisse che il FIS avrebbe instaurato una dittatura. Insomma su questa ipotesi del tutto arbitraria si ribadiva la dittatura precedente con l’appoggio di tutto l’Occidente, in particolare della Francia. Dal FIS si staccò allora un “Gruppo Islamico Armato”, GIA in sigla, e furono anni di una sanguinosissima guerra civile. Un colonnello francese, che era stato al soldo dei generali tagliagole, confessò in un’intervista che questi stessi generali, tornati arbitrariamente al potere, incendiavano i villaggi attribuendo questi incendi al GIA per fomentare l’ostilità nei confronti di questo gruppo.
Ancora peggio, se possibile, è andata in Egitto nel 2012. I Fratelli Musulmani, alla cui guida c’era l’ingegnere Mohamed Morsi, morto poi in un’udienza per un attacco cardiaco molto sospetto, tipo quello di Milošević, avevano vinto le prime elezioni libere in Egitto dopo anni di dittatura. Ma bastò circa un anno di governo, in cui la Fratellanza non aveva imposto alcuna legge tipo Shari’a, per farlo fuori. Quale l’accusa? Che il suo governo era stato inefficiente. Ora è ovvio che essendo stati per decenni all’opposizione i Fratelli non potevano avere pratica di governo. Inoltre se bastasse l’inefficienza per legittimare un colpo di Stato, non so quanti governanti europei rimarrebbero al loro posto. Poi, beffa nella beffa, al governo andò il generale al-Sisi che era stato il braccio armato di Mubarak cioè il dittatore scalzato, con regolari elezioni, dai Fratelli.
Recentemente, circa un mese fa, il governo giordano ha messo al bando la Fratellanza Musulmana, che non è un movimento improvvisato, esiste dai primi del Novecento, sostenuto da molti Enti benefici. I beni della Fratellanza sono stati confiscati, 16 dei suoi membri arrestati e al gruppo, che è il più forte movimento di opposizione in Giordania e ovviamente appoggia i palestinesi, è stato proibito, che cosa? Di fare opposizione. In nome della democrazia naturalmente. Nuovo terreno fertile per l’Isis che finora in Giordania non aveva messo piede.
18 maggio 2025, il Fatto Quotidiano
L’epica partita Inter-Barcellona ha riportato all’onor del mondo la questione dello stadio di San Siro. I nerazzurri hanno vinto contro una squadra decisamente più forte, con i suoi geni diciassettenni, Yamal e Cubarsí, ne vale a scusante dei blaugrana la pur pesante mezza indisponibilità di Robert Lewandowski, uno dei più prolifici bomber di tutti i tempi (726 reti in 1053 partite, media 0.69). Hanno vinto per altri motivi. Proviamo ad elencarli. Ci hanno messo più rabbia. Alla fine degli interminabili 120 minuti, e qualcosa di più con i recuperi, i ragazzi di Inzaghi non correvano più, camminavano, letteralmente stremati dallo sforzo per affrontare una squadra molto più tecnica e teoricamente più forte. Per l’Inter che aveva mancato tutti gli obiettivi annuali la sfida col Barca era l’ultima Thule. Per il Barca l’urgenza era minore perché ha già vinto la Coppa del Re e con tutta probabilità la Liga contro gli arci-nemici del Real, anche se una vittoria in Champions non può essere paragonata alla vittoria di un campionato. Poi c’è stato il tifo nerazzurro aiutato anche dalla struttura e dal mito dello stadio di San Siro. Il Camp Nou dove gioca abitualmente il Barca non è meno mitico come il Bernabeu o Anfield Road, stadio del Liverpool ma attualmente il Barca, per motivi di ristrutturazione, gioca al Montjuic, che non è la stessa cosa. Se la partita di andata, decisiva, si fosse giocata al Camp Nou e non al Montjuic sono convinto che il risultato sarebbe stato diverso.
La vittoria dell’Inter si deve quindi anche, e molto, a San Siro che mi rifiuto di chiamare Meazza. Per noi meneghini doc, tifosi e no, San Siro è il vero simbolo di Milano più del Duomo e alla pari solo con i tram, quei tram che ci furono così preziosi all’epoca della prima crisi energetica del 1973. Abbattere San Siro è più che una bestemmia in chiesa. E poi abbatterlo non si può perché è sotto il vincolo, culturale e paesaggistico, dell’Accademia di Belle arti. I fondi americani, proprietari di Inter e Milan lo costruiranno, se va bene, un po’ più in là o, come è stato ventilato dalla proprietà interista, a Rozzano. San Siro diventerà come un tempio azteco, affascinante ma vuoto. Quello che interessa ai proprietari yankee per nulla ostacolati dal sindaco Sala è ciò che verrà costruito intorno, grandi hotel, centri congressi, centri commerciali, negozi di lusso. Ciò cambierà non solo l’ecologia ma la socialità del quartiere come è successo con i grattacieli costruiti davanti a casa mia sul terreno della ex stazione delle Varesine. Il risultato è che gli abitanti che vivevano sul lato destro, guardando verso nord, hanno dovuto sloggiare perché gli affitti erano diventati troppo alti. Così i negozietti si sono ridotti al minimo. Nel mio quartiere c’è un fruttivendolo, un panificio, un casalinghi che tiene solo per affezione e un mini-market. Se ho bisogno di un martello devo rivolgermi a eBay.
C’è un altro discorso che non riguarda però gli stadi di calcio ma gli ippodromi prima che, con la crisi dell’ippica, sparissero anche quelli. A fianco delle piste di allenamento c’erano sette cascine abitate da contadini autosufficienti. Per gli stessi motivi che riguardano gli stadi li si voleva abbattere. Ora abbattere una cascina a Milano, sia pur in periferia, è come abbattere una Pieve in Toscana. Ci fu una rivolta degli abitanti cui partecipai anch’io con degli articoli sul Giorno. Vincemmo la battaglia perché si ritenne che almeno i cavalli avessero il diritto di respirare, gli uomini no. Ma fu una vittoria solo temporanea. Un giorno, girando da quelle parti, vidi sul terreno della gloriosa scuderia De Montel sei orribili edifici rosa. Ne chiesi ragione al sindaco Tognoli incontrato pochi giorni dopo. Lui, abbassando gli occhi, disse: “Vuol dire che il piano regolatore lo consente”. Eh già, lo consentiva perché era stato cambiato a favore degli affari di Salvatore Ligresti (è il famoso scandalo Ligresti per cui ebbi un processo e vinsi solo perché i socialisti, dopo Mani Pulite, non erano così più potenti a Milano).
Gradualmente, ma inesorabilmente, tutto ciò che ha caratterizzato per secoli Milano viene spazzato via. Innanzitutto Milano non è mai stata una città di grattacieli ma di case di quattro o sei piani. C’era il grattacielo Pirelli, un gioiello, ideato da Gio Ponti e realizzato da Pier Luigi Nervi nel 1960 e la più discutibile Torre Velasca. Tutto qui.
Piano piano scompaiono altre cose e abitudini milanesi. Le edicole per esempio. L’altra mattina, era domenica, passeggiavo in via Vittor Pisani tenendo sotto il braccio un pacco di giornali, che avevo preso all’edicola vicina che però se fa affari non li fa con i giornali ma con i gadget, un tizio mi ha fermato e mi ha detto: “Ma lei legge ancora i giornali?”. L’altra edicola della zona è tenuta eroicamente da un bangla che è presente dalle cinque del mattino a mezzanotte e oltre. Salvini dovrebbe andare a nascondersi sotto terra.
Scomparso è il Commissario di quartiere che ci conosceva tutti e quindi se in zona accadeva qualcosa di malavitoso sapeva dove andare a cercare. Un paio di anni fa mi citofonano. E’ la portiera, non più italiana naturalmente. Mi dice: “C’è la polizia”. “Faccia salire”. Si presentano due pulotti, uno ‘buono’ e uno ‘cattivo’, come è consuetudine. “Dobbiamo perquisire l’appartamento”. “Fate pure però io devo scrivere un pezzo”. Perquisito l’appartamento, mi chiedono se ho un garage. Perquisito anche quello mi chiedono se ho una cantina. “Sì”, rispondo, “ma ho perso le chiavi, sfondate pure la porta”. “Ah, sfondare no”. Qualche dubbio gli era venuto entrando in un appartamento pieno di libri che è la mia difesa contro i ladri, perché solo un ladro cretino può prendere di mira un appartamento dove da rubare ci sono solo libri e una televisione che oggi costa meno di una radio del Dopoguerra quando fu, sì, strumento essenziale (Radio Londra). Qual era il crimine? “Contraffazione di marchio industriale”. Ora il Commissario di quartiere avrebbe saputo che io posso essere accusato di tutto, di stupri, di assassinio, di ogni genere di reato tranne quello. Se ci fosse stato il Commissario di quartiere non avrebbero perso inutilmente tutto quel tempo. Cosa era successo? Un caso di omonimia, il mio numero era stato trovato sull’agenda di un trafficante di Firenze. Un piccolo ‘caso Tortora’ anche se con conseguenze, per fortuna, farsesche. Dissi ai pulotti: “Se guardate la mia agenda con questa accuratezza, potete arrestare mezza Milano e anche mezza Roma”. Se ne andarono scornati come un manipolatore di via Prè che ha sbagliato a mescolare le carte.
Non c’è più il ghisa, il mitico ghisa che era un’autorità assoluta nel quartiere: “C’è lì il ghisa, dillo al ghisa, chiedilo al ghisa”. L’altro giorno, tornando da un funerale, ho chiesto a una vigilessa bassa e tarchiata che pareva non aver niente da fare dove fosse un posteggio taxi. “E che ne sacciu?” mi ha risposto. E’ inutile quasi dire che il ghisa era un ben piantato e bel ‘giovanotto’ (allora si usavano questi termini) milanesissimo.
Non ci sono più le cassette rosse per imbucare la posta, una per indirizzi di città, l’altra per il resto d’Italia. Non ci sono più le cabine telefoniche. Non c’è più lo ‘strascee’, “strascee, strasciaio” era la cantilena che ci svegliava la mattina. Lui ti dava gli stracci e tu due lire. C’erano poi altre forme di baratto. Poiché mio padre era direttore di un quotidiano la nostra casa era piena di giornali. Noi li davamo al fruttivendolo e lui, in cambio di un piccolo sconto, ci incartava la frutta e la verdura. Ma adesso c’è il packaging. Una mia giovane nipote si è laureata a pieni voti in Scienze alimentari. E’ stata assunta da una grande azienda ma è rimasta delusissima quando si è resa conto che non doveva occuparsi degli alimenti ma del loro involucro.
Sono la modernizzazione e la digitalizzazione, bellezza! Sì, d’accordo, ma a piace concludere con le parole di un nostro lettore, Gian Ranieri Cuturi: “Le Poste ci bombardano di spot televisivi autoelogiativi che concludono ‘tutto ciò che ti serve’. A me, per esempio, serve una cassetta postale vicino casa”.
14 maggio 2025, il Fatto Quotidiano
Massimo Cacciari in un’intervista al Fatto (5.5) ha dichiarato: “La Romania è tra i Paesi la cui maturità democratica è tutta da verificare”. Non capisco il senso di questa affermazione: la Romania è un membro della Ue e come tale ha tutti i requisiti per restarci a differenza dell’Ucraina che questi requisiti non ha e può ambire solo ad entrare nella Nato dove ci sono ogni sorta di manigoldi a cominciare dal dittatore turco Recep Tayyip Erdogan. Che poi a Bucarest si usino tutti i mezzi per bloccare gli oppositori (caso Georgescu, cui probabilmente si riferiva Cacciari) non è una specialità della Romania ma di buona parte delle cosiddette democrazie, lo si è tentato anche con Trump nelle ultime Presidenziali americane. Quale era la colpa di Georgescu agli occhi non dei rumeni, che l’hanno votato in grande maggioranza, ma delle classi dirigenti occidentali? Essere, oltreché indipendente, un politico filo-russo. La Russia anche se non è strettamente confinante preme sulla Romania ed è quindi naturale che i rumeni abbiano interesse ad avere buoni rapporti con la Potenza ex sovietica.
Devo dire che in Occidente si hanno molti pregiudizi nei confronti della Romania. La Romania fu alleata del nazismo, vero (Codreanu) ma lo è stata anche l’Ucraina con la differenza che in Romania non ci sono stati, o per lo meno non risultano, i bestiali pogrom anti-ebraici perpetrati dagli ucraini. Né in Romania ci sono attualmente forze che si ispirano direttamente al nazismo, fino a portarne le insegne, come il ‘battaglione Azov’.
La Romania è molto sottovaluta anche culturalmente. Certo non ha avuto Dante o Leopardi, ma più recentemente rispetto a quelle nostre glorie nazionali, ha espresso pensatori e artisti di prim’ordine da Cioran a Ionescu a Mircea Eliade, il massimo esperto di religioni (Trattato di storia delle religioni, 1949). Inoltre a Bucarest c’è il più importante Centro di studi neroniani, il che può parer strano, ma strano non è perché la Romania, come dice il nome stesso, deriva da Roma ed è molto interessata alla cultura latina. Infatti è una lingua neolatina. Il che ha importanti ripercussioni. Ho avuto in epoche diverse tre domestiche rumene. Una, Uka, non solo parlava perfettamente l’italiano ma ne conosceva anche sfumature che ai nostri connazionali, anche quando si credono colti, sfuggono. Inoltre, oltre a essere spiritosa, era, ed è, onestissima. Io in casa perdo continuamente soldi, un po’ per la mia avversione a tutto ciò che è denaro, o meglio, lo simboleggia, un po’ per i limiti della mia vista. Un giorno Uka mi si presenta con un biglietto da 500 euri e mi dice, usando il lei, mentre abitualmente ci davamo del tu: “Dottore, ci sono qui 500 euro”. Con quella cifra avrebbe potuto vivere senza far niente per qualche mese. E questa onestà l’ho ritrovata nelle domestiche che ho avuto successivamente, sempre rumene, non italiane. Qui a Milano vivono circa 50 mila rumeni, i rumeni della diaspora (in Italia sono circa un milione) e oltre a essere dei gran lavoratori sono estremamente solidali fra di loro. Quando possono si aiutano come possono.
La Romania ha avuto anche grandi calciatori, la mezzala Hagi che tutti conoscono e il meno noto Belodedici, libero, l’unico ad aver vinto due Champions con due squadre diverse, la prima con la Steaua e l’ultima con la Stella Rossa (’90-’91) quando non era stato avviato ancora il malvezzo per cui le squadre più titolate oggi si assicurano i calciatori migliori di ogni continente. La Steaua era una squadra fortissima tanto che nel 1989 arrivò alla finale della Coppa dei Campioni contro il Milan di Berlusconi. Perse clamorosamente 4 a 0. Come mai? Perché il malfattore di Arcore, che non se n’è mai lasciata sfuggire una, comprò i calciatori rumeni che erano poveri in un Paese povero. Non fu quindi difficile.
Sul dittatore Ceausescu i rumeni hanno opinioni differenti. C’è chi lo considera solo un dittatore che li ha costretti ad espatriare, c’è invece chi lo sente come un nazionalista (evidentemente non c’è solo Orban su questa linea) impegnato a far tornare grande la Romania. Comunque tutti lo stimano, io compreso, per il modo in cui ha saputo affrontare la morte. Fucilato senza processo fermò la moglie che voleva protestare e gridare qualcosa.
Tutti i rumeni, almeno quelli che io conosco, sono indignati per il servizio, chiamiamolo così, che è stato fatto a Georgescu annullando la sua vittoria alle Presidenziali del 2024 (22,94 per cento) con pretesti risibili, accusandolo, nientemeno, di aver utilizzato per la sua propaganda TikTok. Naturalmente i mezzi gli sarebbero stati forniti dalla Russia, insomma “ha stato Putin”.
Nell’ambito della questione Georgescu, considerato evidentemente un nemico della democrazia, Maurizio Ferrera si pone la domanda: “Una democrazia liberale può prendere dei provvedimenti contro chi si propone di minarne i fondamenti?” (Corriere, 5.5). La risposta è sì se si dà ascolto a Karl Popper che sintetizzando, afferma che per proteggere se stessa, la democrazia ha il diritto/dovere di difendersi, imponendo restrizioni a movimenti e organizzazioni che si propongono di sovvertirla. Un liberale senza se e senza ma come Norberto Bobbio ha contestato questa posizione. Del resto non c’è bisogno di ricorrere a Bobbio, basta Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”. Insomma la Democrazia nel pensiero di Popper è un totalitarismo come un altro.
Del resto sorge qui una domanda ancora più fondante: che cos’è realmente la Democrazia? E’ un animale sfuggente e polivalente che può essere utilizzato a proprio comodo. Non c’è nessun elemento della Democrazia che, preso in sé, non appartenga anche a sistemi che democratici non sono. Di queste aporie della democrazia ho dato puntuale conto nel mio libro Sudditi. Manifesto contro la Democrazia del 2004. In realtà la Democrazia è un sistema di regole e procedure, è un sacco vuoto che andrebbe colmato. Purtroppo l’edonismo contemporaneo, liberista, non è stato in grado di riempirlo se non con contenuti mercantili. Cosa che ha una conseguenza ancora più grave: l’estrema difficoltà per i giovani di trovare un modello spirituale. C’è la religione, si capisce, ma la religione soprattutto quella cattolica in Occidente si è ridotta a un puro simulacro, a una questione di eventi. Durante il papato di Wojtyla che utilizzò a manetta tutti i moderni strumenti della comunicazione moderna (Tv, jet, viaggi spettacolari, creazione di eventi, concerti, gesti pubblicitari, papamobile, papaboys) crollarono le vocazioni e si svuotarono i monasteri. E Papa Bergoglio non ha migliorato la situazione perché anche se forse in un modo un po’ più ingenuo e meno cinico ha utilizzato gli stessi mezzi. Ai funerali di Papa Bergoglio c’erano centinaia di migliaia di giovani, ma mai che se ne veda uno in chiesa.
Comunque il mio pensiero di fondo è tutto un altro ed è quello delle popolazioni animiste secondo le quali “la vita va avanti bene quando tutte le forze della natura sono in equilibrio”. Noi la Natura la stiamo distruggendo e questi popoli li abbiamo spazzati via. Democraticamente, s’intende.
11 maggio 2025, il Fatto Quotidiano