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Nell'orgia di retorica seguita alla scomunica dei mafiosi, del tutto priva di significato nella sua genericità, è passata inosservata una frase di Papa Bergoglio: «Chi non adora Dio di conseguenza adora il Male». Frase di una gravità inaudita che non può essere «voce dal sen fuggita» perché detta da uno che sa, o dovrebbe sapere, quel che dice. Io non adoro Dio, semplicemente non credo alla sua esistenza. Ma se mai ci credessi penserei che è un sadico perché ha creato l'uomo, l'unico essere vivente ad avere una lucida consapevolezza della propria fine. Un essere tragico. «La sola scusante di Dio è di non esistere» ha scritto Baudelaire. Ed è la cosa più misericordiosa che si possa dire nei confronti di questo Soggetto.

A me questi adoratori di Dio, soprattutto del Dio monoteista, sia esso ebreo, cristiano o musulmano, cominciano a stare profondamente sulle palle. Dimenticano con troppa disinvoltura le infamie di cui si sono coperti. Gli ebrei con la pretesa di essere «il popolo eletto da Dio» hanno fondato quel razzismo di cui in seguito diverranno tragicamente vittime. Ma almeno non hanno mai avuto mire espansive. In quanto agli altri due 'adoratori del Dio unico' hanno distrutto, al seguito dei propri eserciti, intere popolazioni e culture, più miti, da quelle dell'America precolombiana a quelle dell'Africa centrale. Prima che, nel 1789, entrasse in campo un'altro Dio, questa volta laico, anzi una Dea, la Dea Ragione, le guerre di religione sono state le più spietate. Il Medioevo europeo era cristiano ma essendo la grande maggioranza della popolazione contadina, oserei dire che, nella gente comune, era un cristianesimo che tendeva al pagano, all'animismo, un po' come per le popolazioni dell'Africa nera. Le guerre le facevano i professionisti, i cavalieri. Ma furono guerre ridicole. A parte casi limite, come la battaglia di Anghiari (1440), resa famosa da un abbozzo di Leonardo, dove su undicimila combattenti si sarebbe avuto, a detta di Machiavelli, un solo morto (le stime, più attendibili, di Flavio Biondo parlano di sessanta caduti) o come quella di Bremule (1119) dove i morti furono tre o come quella guerra che, a leggere le cronache, «imperversò un anno in Fiandra» dopo l'assassinio di 'Carlo il Buono' (1127), ma in cui caddero sette cavalieri dei quali uno solo in combattimento, è assodato che il bilancio di quasi tutti i conflitti medioevali si riduce a poche centinaia di morti. C'è però un'eccezione, il 1500, il 'secolo di ferro' caratterizzato dalle guerre di religione. Nella sola 'notte di San Bartolomeo' (1572) furono uccisi 20 mila ugonotti. E ce ne vuole di ferocia per fare un tale massacro all'arma bianca. Ma è solo un esempio, fra i tanti.

Adesso ci sono guerre, mezzo di religione e mezzo di potere, fra sunniti e sciiti in Iraq, causate dall'intervento militare del 2003 dei pii protestanti americani («Dio protegga l'America», e perché non il Burkina Faso?) e guerre di religione in Nigeria fra gli estremisti islamici di Boko Aram e altri islamici il cui obbiettivo finale è però l'Occidente (Boko Aram significa letteralmente «L'educazione occidentale è peccato»). In queste guerre ci vanno spesso di mezzo anche i cristiani. La cosa non mi commuove. Non dovevano andare, loro o i loro predecessori, animati da spirito missionario, dallo spirito del Bene, in luoghi che non li riguardavano affatto.

Io temo il Bene perché, rovesciando la famosa frase di Goethe, «operando eternamente per il Bene realizza eternamente il Male». Preferisco il Male che si presenta come tale. Io sto col Male.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2014

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Mentre la Nazionale italiana perde la faccia (tranne Buffon, ma Buffon, come il suo grande predecessore Zoff, è friulano, appartiene a un'altra razza, Gemona insegna), i nostri uomini politici, che la faccia non l'hanno mai avuta, si azzuffano sulla questione se i componenti del nuovo Senato debbano godere dell'immunità parlamentare, come i loro colleghi deputati, pur non essendo eletti dal popolo.

La questione è molto semplice: l'immunità va tolta a tutti, senatori e deputati, tranne che per «le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» come recita l'articolo 68 della Costituzione. I nostri padri fondatori garantirono una serie di guarentigie, tra cui l'immunità, ai parlamentari in un'epoca storica completamente diversa, culturalmente e moralmente, dall'attuale. Esisteva allora un'etica condivisa, di tradizione ottocentesca, per cui si riteneva che l'onestà fosse un valore per tutti, classe politica, borghesia, proletariato, mondo contadino. Si giudicò quindi opportuno tutelare i membri del Parlamento, massima espressione della volontà popolare, da qualche iniziativa avventata della magistratura requirente. Il solo sospetto era considerato già di per sè così infamante da poter distruggere una carriera politica. Un ministro della Destra storica si suicidò perché accusato di essersi portato a casa dall'ufficio un po' di cancelleria. Siamo ai primi del Novecento. Ma la moralità personale degli uomini politici del primo dopoguerra, selezionati dal conflitto, dei De Gasperi, degli Scelba, degli Andreotti, dei Saragat, dei Nenni, dei Togliatti, degli Almirante e dei loro seguaci era fuori discussione. Pietro Nenni, tanto per fare un esempio, finì la sua lunghissima carriera politica avendone come ricavato una modesta villetta a Formia. Da allora le cose in materia di moralità pubblica sono andate radicalmente cambiando in un crescendo di marciume morale che è sotto gli occhi di tutti. Oggi un ex ministro degli Interni ritiene normale che una metà di una sua casa sesquipedale gli sia stata pagata da un imprenditore, «a sua insaputa» (quel povero ministro novecentesco si rivolterà nella tomba). Dal 1948 fino al 'caso Genovese' le Camere non hanno mai concesso l'autorizzazione a procedere a un arresto con la sola eccezione per un missino che durante una manifestazione aveva sparato e ucciso. L'immunità si era trasformata in impunità. E fu proprio questo senso di impunità assoluta che convinse i partiti che potevano fare tutto quello che volevano, taglieggiare gli imprenditori, e indirettamente i cittadini, né più né meno come fa la mafia. Nel 1993, sull'onda dell'indignazione per la corruzione emersa da Tangentopoli, l'art.68 fu modificato concedendo alla Magistratura di avviare indagini su un parlamentare senza dover chiedere l'autorizzazione delle Camere. Ma questa autorizzazione resta obbligatoria per procedere ad arresti, perquisizioni, intercettazioni. Particolarmente grottesca è l'autorizzazione per le perquisizioni e le intercettazioni telefoniche. E' chiaro che il parlamentare, avvertito, farà sparire dalla sua casa, dai suoi uffici, dalle sue pertinenze ogni documento compromettente e si guarderà bene dall'usare il telefono.

Intanto l'ex parlamentare Dc, Gianstefano Frigerio, in carcere a Milano per l'Expo, chiede a varie cariche dello Stato di essere interrogato da un Pubblico ministero a lui gradito. Cioè non è più il Capo dell'ufficio a scegliere il Pm che deve interrogare un arrestato, ma l'arrestato a scegliersi il Pm. Viviamo in un mondo capovolto. Dove la figuraccia rimediata dalla Nazionale, cui i giornali hanno dato tanto spazio, perde ogni importanza.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 27 giugno 2014

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Mentre i giornali italiani si estenuano sulle bizze dell'invido Robledo, sui twitter di Renzi e perfino su Berlusconi, in Medio Oriente, con l'avanzata irresistibile delle forze dell'Isis (Stato islamico dell'Iraq e del Levante) sta accadendo qualcosa di decisivo per il nostro futuro.

Per capire cosa sta succedendo in Iraq bisogna fare un lungo passo indietro. L'Iraq, come Stato, è una creazione cervellotica degli inglesi che nel 1930 misero insieme tre comunità, curdi, sunniti, sciiti, che nulla avevano a spartire fra di loro. La finzione tenne finché le potenze coloniali poterono tenere in stato di sudditanza le popolazioni mediorientali e arabe. Cambiò quando questi Stati conquistarono una vera indipendenza. Nel 1979 andò al potere in Iraq Saddam Hussein. Solo un dittatore poteva tenere insieme, con metodi brutali, quelle tre comunità così ostili fra loro. Nel 1980 Saddam attaccò l'Iran convinto che la cacciata dello Scià e l'avvento di Khomeini lo avessero indebolito. Per cinque anni le Potenze si limitarono a fornire armi a entrambi i contendenti perché potessero ammazzarsi meglio. Ma nel 1985 quando gli iraniani stavano per prendere Bassora, intervennero gli Stati Uniti e rimpinzarono Saddam di armi, comprese quelle di 'distruzione di massa'. La guerra Iraq-Iran finì nel 1988. Allora Saddam carico di armi le rovesciò sul Kuwait, altra invenzione, nel 1960, questa volta americana, per gli interessi petroliferi Usa. E fu la prima guerra del Golfo. Le truppe del generale Schwarzkopf attraversarono il deserto a velocità da autostrada, ma dopo aver fatto, con i bombardamenti sulle città, 160 mila morti civili, fra cui 32.195 bambini, si fermarono sorprendentemente a 50 chilometri da Bagdad, lasciando in sella Saddam. Perché Saddam serviva in funzione antiraniana e anticurda (gli Usa hanno sempre temuto che l'indipendentismo curdo-iracheno innescasse quello in Turchia, la loro grande alleata nella regione).

Nel 2003 gli americani invasero l'Iraq e in seguito se ne andarono lasciandosi alle spalle 650 mila morti, un governo fantoccio, quello di Al Maliki, un esercito da loro addestrato al costo di 25 miliardi di dollari e una pseudodemocrazia che consegnava di fatto metà dell'Iraq all'Iran, perché gli sciiti iracheni (il 62% della popolazione) sono fratelli siamesi di quelli iraniani. Ma i sunniti, che con Saddam erano i padroni del Paese, non ci sono stati a subire il potere degli sciiti e ne è nata una sanguinosa guerra civile fra il disinteresse dell'Occidente perché ormai le major avevano il controllo del petrolio. Ma gli occidentali sono caduti dalla padella nella brace perché nell'Isis non convergono solo i sunniti dell'Ovest dell'Iraq, ma guerriglieri siriani, somali, turkmeni e persino europei (600 francesi, 500 inglesi, 300 tedeschi e 250 belgi), formando una specie di internazionale del radicalismo islamico le cui ambizioni vanno ben al di là della conquista di buona parte dell'Iraq (con l'esclusione dell'area curda). Vogliono impiantare uno stato islamico ultraoltranzista e da qui fare base per una guerra totale all'Occidente. L'esercito fasullo di Al Maliki si è subito squagliato come neve al sole e molti dei suoi soldati passano con gli insorti (la stessa cosa succederebbe in Afghanistan se la Nato lasciasse veramente quel Paese), gli americani non sono in grado, materialmente e moralmente, di mandare truppe sul terreno ed ecco perché devono contare sugli interessi convergenti con l'arcinemico Iran, uno dei Paesi dell' 'Asse del Male' e sugli odiati pasdaran, gli unici capaci di combattere, avendone pari determinazione e coraggio, gli jihadisti internazionali.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2014